R Recensione

7/10

Life regia di Anton Corbijn

Biografico
recensione di Giulia Betti

Nel 1955 si incontrarono diventando amici due giovani sul punto di dare una svolta alla propria carriera artistica. Un momento complesso per loro, quello in cui dimostrare a se stessi prima che altri altri di valere non solo per il proprio talento, ma anche per le scelte che avrebbero compiuto. I due erano James Dean, il cui film La valle dell'Eden stava per uscire nei cinema, e il fotografo dell'agenzia Magnum Dennis Stock. A quest'ultimo venne commissionato un servizio fotografico sull'attore stella nascente di 23 anni.

'Il passato è già  parte del mio futuro, e il presente è fuori dal mio controllo': utilizzando queste poche parole che Ian Curtis esprime il suo male di vivere, la sua intolleranza involontaria alla realtà, la necessità di respiro, il desiderio di annullarsi nel vuoto, strappare una pagina e riprendere a scrivere la propria esistenza su di un nuovo spartito, un foglio bianco e vergine che vuol dire possibilità. Ma si sa, che la possibilità  di cambiare il proprio passato è negata anche al più potente fra gli uomini, l'inarrivabile, il superbo. E' proprio questa citazione, estrapolata da Control, il primo lungometraggio del regista Anton Corbijn, che si materializza come un filo teso tra i protagonisti dell'opera d'esordio e dell'ultima pellicola dell'autore olandese. James Dean, icona culturale, emblema dell'anticonformismo, quello reale e non quello spacciato come tale tanto in voga nel contemporaneo, è il grande oggetto dell'ultimo good job di quello che è stato il regista di Linear, The American, A Most Wanted Man e naturalmente del grande dramma biografico sulla vita pubblico/privata del leader dei Joy Division. Due anime, quella di Ian Curtis e di James Dean, incontaminate dalla brama di successo e dalla cupidigia, al punto da renderle strane poichè estranee alla consuetudine e pure perchè immobili di fronte ad ogni genere di corruzione. Ma questi due artisti tormentati e veggenti condividono altresì un destino da immortali, due vampiri culturali scomparsi all'apice della propria carriera chi per scelta meditata, chi per induzione consapevole. Life, interpretato da due grandi attori come Robert Pattinson e Dane DeHaan, è un'opera ascrivibile come photo vivante a tutto tondo. La maestria del regista nella composizione del quadro e nel gusto per l'utilizzo delle luci ne tradisce il passato da fotografo impegnato in servizi per tutte le più grandi riviste del mondo. La sua esperienza come ritrattista di musicisti ed attori traspare non soltanto nell'estetica dei suoi film, ma in particolare nella scelta del soggetto per quest'ultima opera. Robert Pattinson viene infatti diretto da Corbijn nel ruolo di Dennis Stock, leggendario fotografo newyorkese socio dell'agenzia Magnum e famoso per i suoi scatti a Louis Armstrong, Billie Holiday, Sidney Bechet, Gene Krupa e Duke Ellington. Una personalità, una carriera e una passione quella di Pattinson/Stock indubbiamente molto vicina a quella di Corbijn. Life è la storia di un inseguimento, quello di un artista alla ricerca della notorietà e del meritato riconoscimento nei confronti di un altro artista che da questo improvviso successo cerca di scappare per ritornare alle origini, alla purezza immutata dell'infanzia, di quegli anni difficili perchè trascorsi senza una madre, morta prematuramente, ma colmi di calore e di affetto, quello dei propri nonni e zii, quaccheri e modesti fattori dell'Indiana. Inflessibile nelle proprie opinioni, immutabile nei comportamenti, è un essere rigido il James Dean raccontatoci per immagini da Anton Corbijn, inalterato dalla luce meschina dei riflettori e dall'untuoso tappeto rosso, pronto a farlo scivolare. Pare infatti impossibile credere che sia stato solo un caso l'avergli cucito addosso due personaggi, quello di Gioventù Bruciata e quello di La Valle dell'Eden, che di cognome fanno appunto Stark che tradotto in italiano significa rigido, e Trask anagramma del primo, e quindi impregnato dello stesso valore. Ed ancora più assurdo è rendersi conto che anche il cognome del terzo ed ultimo grande personaggio interpretato dal giovane artista, quel famoso Jett Rink de Il gigante, nasconde nel cognome un senso di impenetrabilità, una superficie levigata nella quale tutto scorre e nulla si introduce.

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Giulia 7/10

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