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R Recensione

7/10

Departures regia di Yôjirô Takita

Drammatico
recensione di Dmitrij Palagi

Dopo lo scioglimento dell'orchestra in cui suonava come violoncellista a Tokyo, Daigo Kobayashi torna insieme alla moglie a Yamagata in una provincia rurale del nord del Giappone. Alla ricerca di un nuovo lavoro, Daigo risponde a un annuncio per un impiego "di aiuto alla partenza" convinto che si tratti di un'agenzia di viaggi. Finirà in realtà in un'agenzia di pompe funebri. Spinto da necessità  economiche Daigo accetta comunque il posto, cercando di resistere alla vicinanza dei cadaveri (che non aveva mai visto prima) e nascondendo il nuovo impiego a vicini e fidanzata.

 

Il tema della morte suscita da sempre infinite riflessioni, con sviluppi altrettanto numerosi. La leggerezza dell'essere, la semplicità dell'esistente rende Departures uno dei film più piacevoli sull'argomento.

In fondo la morte la musica sono elementi primordiali, che riescono ad incrociare atteggiamenti diversi ma conquistando solo pochi in modo consapevole. C'è chi subisce, la morte come la musica, chi invece si adatta ai propri limiti e adegua il suo vivere (in un'orchestra o nella vita). Così la pratica del tanatoesteta (quello che aggeggia co' morti, per farli sembra più bellini, come direbbe un vicino di casa) non sfigura rispetto all'elitario mestiere del musicista di professione. Sono arti entrambi i mestieri (l'etimologia greca non tradisce). Non sarebbe corretto perdersi in altre riflessioni misticheggianti o filosofiche, visto che il film non verte molto su questo fronte, almeno non direttamente. Si punta invece sui corpi, raramente in vista e ma sempre al centro della pellicola: quegli stessi corpi con cui il regista ha avuto modo di sviluppare dimestichezza girando numerosi pinku eiga (genere giapponese dai contenuti erotici).

Ironico, detta i tempi della commedia ad un film drammatico, mai perso sui canali della tragedia e sempre fermo su uno sguardo sereno e al contempo smaliziato.

Le riprese si muovono su strade note anche in occidente, cadenzate dalle musiche di Joe Hisaishi (a cui siamo stati educati con Miyazaki). Un film terapeutico, su come riconciliarsi con la morte, destino innegabile per tutti noi e con il quale non ha senso né il rifiuto né la rabbia. Fa testo lo splendido incipit, con una nebbia buona per l'angoscia come per il vapore che accoglie e rilassa. La splendida sequenza iniziale si sviluppa su toni comici, riuscendo a introdurre lo spettatore nello spirito giusto, incantandolo per le due ore abbondanti. Basta con la pesantezza e l'esagerazione. Si tratta di passare un cancello e dirsi addio! Non c'è da prodigarsi in particolari dissertazioni o riflessioni. Ci sono dei corpi che vivono, che interagiscono tra loro, amandosi, odiandosi, perdonandosi, vergognandosi. Questi corpi sono destinati a morire. Nel momento in cui la vita finisce quello stesso corpo con cui si interagiva diventa fonte di paure e timori, tutto appare vacuo e senza senso. La necrocosmesi interviene con i suoi rituali, dissolvendo ogni preoccupazione, elaborando il lutto. Tutto qui.... come se fosse poca cosa.

Con una recitazione funzionale e riflessioni buone anche per i Baci Perugina (gli esseri vivi mangiano gli esseri morti per vivere. L'eccezione sono le piante) ci si innamora facilmente del film. Questa facilità tradisce la natura occidentale dell'opera, non a caso premiata alla notte degli Oscar e particolarmente apprezzata sul fronte statunitense. Il ritardo con cui è arrivato in Italia ha contribuito a dargli un minimo di fascino da cult. In realtà siamo davanti a una commedia piacevole, mediata con il drammatico, incentrata sulla bellezza della vita, fotografata sui volti della morte e del ricordo.

Un film sulla morte, al cui termini riuscirete a sentirvi più sollevati che amareggiati.

V Voti

Voto degli utenti: 6,7/10 in media su 3 voti.
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