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R Recensione

6/10

Se Sei Cosi Ti Dico Si regia di Eugenio Cappuccio

Commedia Italiana
recensione di Antonio Falcone

Piero Cicala è stato, insieme al suo complesso, una delle tanti meteore musicali degli anni ’80, una sola canzone di successo, Io te e il mare, Disco d’oro, poi il nulla: ora il cantante famoso, ormai 60enne, è cuoco in un ristorante a Savelletri, in Puglia, di proprietà della ex moglie Marta; non sempre però il destino è cinico e baro, ecco arrivare da Roma un agente televisivo alla ricerca della vecchia gloria, scelto come ospite de I migliori anni, trasmissione “amarcord”di Rai Uno; dopo un efficace restyling vintage il nostro è pronto a tornare in scena; nella capitale inoltre avrà modo di conoscere e seguire sino in Texas la famosa modella Talita Cortès, “perseguitata” da flash e giornalisti gossipari…

Terza regia di Eugenio Cappuccio (Volevo solo dormirle addosso, Uno su due), Se sei così ti dico sì è la classica sorpresa che non ti aspetti: ottima direzione degli attori, intensi primi piani, ferma padronanza della mdp e conoscenza del mezzo cinematografico (vedi la doppia fotografia, ad esaltare i toni caldi in Puglia e più fredda, “plasticata”, tra i lustrini televisivi), una sceneggiatura (lo stesso regista, Claudio Piersanti e la collaborazione di Guia Soncini) che offre spunti piuttosto interessanti, pur nella sensazione di una predominante leggerezza, con facili simbolismi, a volte anche dal sapore didascalico, ad insinuarsi in quella che in fondo è una sorta di parabola estremamente calata nel reale, connotata da toni amari e riflessivi, non priva di una certa ironia che si stempera man mano su note più soffuse e malinconiche.

Per quanto visto altre volte, risulta efficacemente impietoso il ritratto offerto del mondo dello spettacolo, televisivo e non solo, simile agli squali che, in piena frenesia alimentare, colpiti a morte son capaci di addentare le loro stesse viscere, il cui “quarto d’ora di celebrità” profetizzato da Warhol si vorrebbe perpetrare all’infinito, in una confluenza con la vita reale, sino alla totale commistione, che rasenta la patologia; funziona in particolare la contrapposizione speculare tra “il morto di fama” Cicala, ben reso da Emilio Solfrizzi, una caratterizzazione giocata sugli sguardi, le sfumature, il non detto, che fa venire in mente quella offerta in ruoli simili dai grandi della nostra commedia (Manfredi, ma soprattutto Tognazzi), evitando il facile patetismo, e Talita, che vive il suo momento magico gestendolo con apparente cinismo ed opportunismo, personaggio cui Belen Rodriguez offre se stessa, il suo modo d’essere, le sue contraddizioni di diva, andando oltre l’ostentazione delle sue grazie, oggetto di qualche gratuita inquadratura; buona la prova di Iaia Forte, nel ruolo della ex moglie di Cicala, artista mancata anche lei, capace di esprimere astio e rancore con una sola occhiata.

Anche se alla fine sarà l’umanità del loser a prevalere, rendendolo vincente con la sua voglia di riscatto, pronto a “cantare una nuova canzone”, il classico lieto fine da favola è lontano, lasciando comunque aperta la porta alla speranza, nella ritrovata sicurezza di essere così come si è, non come si è stati o come si vorrebbe che fossimo in una immutata esteriorità temporale, mera illusione propria più di un museo delle cere che di un’ esistenza degna di essere vissuta nella sua totalità, nel classico alternarsi di gioia e contrarietà a farsi riflettori puntati su quel palcoscenico dove, volenti o nolenti, siamo tutti attori chiamati a recitare la nostra parte.

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