V Video

R Recensione

6/10

I quattro dell'Apocalisse regia di Lucio Fulci

Western
recensione di Dmitrij Palagi

Un baro professionista (Stubby), una prostituta incinta (Bunny), un alcolista (Clem) e un ragazzo di colore che sostiene di parlare con i morti (Burt) si ritrovano a vagare senza meta per fuggire da una città dove la cittadinanza è appena stata massacrata da un misterioso gruppo di incappucciati. Per la strada incontreranno un quinto compagno di viaggio, Chaco il messicano. Quest’ultimo, in fuga dalla giustizia e privo di ogni limite morale, si presta ad ogni tipo di violenza, abbandonando i quattro in mezzo al deserto. Inizia così un percorso senza speranze, mirato alla vendetta e costellato di un universo improbabile e per certi aspetti inedito, ispirato dai classici dello spaghetti western ma modificato in diversi suoi aspetti.

“La legge è una risata, la morte un modo di vivere”

 Lucio Fulci torna allo spaghetti western e dimostra che si può essere ancor più violenti di Le colt cantarono la morte e fu... tempo di massacro (1966). Vietato ai minori di 18 anni I quattro dell’Apocalisse è un road movie che venne tagliato per abbassare il livello di censura ai 14 anni. Fin dall’inizio la brutalità degli eventi si mostra protagonista, con un misterioso gruppo di incappucciati che stermina il paese dove i quattro protagonisti sono incarcerati. Non ci sono particolari motivi, sfide personali, romantici eroismi, solitarie crociate. La violenza è fine alla provocazione, l’egoismo impera. L'eccezione è nel sottoproletariato, fatto da bari, prostitute, minatori celibi, ubriaconi e matti. La speranza è nel conglomerato primordiale. Fuori dall’etica borghese, sotto colori e suoni psichedelici, l’individualismo si presta a interpretazioni di vario stampo. Thomas Milian dichiarò di essersi ispirato, per meglio interpretare l’oscurità di Chaco, a Charles Manson (la scena dello stupro di una donna incinta richiama a un crimine effettivamente perpetuato dal capo dei “Figli di Satana”).

Perfino il cattivo indossa colori degni della migliore Woodstock e all’inizio le musiche psichedeliche della Cook and Benjamin Franklin Group (Vince Tempera, Massimo De Luca, Michele Seffer, Franco Di Lelio, Tony Esposito) possono sembrare fuori dal contesto, andando poi a incastrarsi in un insieme che si dimostra originale e quanto meno inatteso.

Ogni tanto scappa qualche sorriso, come nella sequenza in cui Chaco spara come un bambino di due anni verso l’aria, centrando ad ogni colpo la preda volatile. Eppure il film funziona, soprattutto nella seconda parte, perché fuori dai canoni classici e alla ricerca dell’essere umano più animale, capace di adattarsi anche alla pratica del cannibalismo.

Al di là delle rivalutazioni di Tarantino e Rodriguez (più o meno discutibili), il film è stato scelto per la retrospettiva sugli spaghetti western alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (2002) e dimostra la propria validità sul fronte della sceneggiatura, grazie al lavoro di Ennio De Concini, ispirato dai racconti di Francis Brett Harte (“The luck of roaring camp”).

Non ci si prende troppo sul serio e non si esagera nel sacrificare la trama alla violenza d’impatto, lasciando spazio anche a una recitazione di cui si fa fatica a lamentarsi, salvo alcune uscite della dolce Lynne Frederick.

Un viaggio più lungo di quanto può sembrare, una sorta di fuga priva di speranza dal proprio destino. Quasi commovente e nostalgico il villaggio innevato dei minatori, privo di speranza il deserto e infernale l’ambiente cittadino (cui fanno da contro altare le cittadine fantasma). Su questi tre livelli si sviluppa una storia atipica che riesce a dimostrare le capacità da regista di Fulci (da sottolineare la sequenza del parto).

Dedicato a chi ama il sottobosco della società, è uno dei pochi western (on the road) dove non ci si sfida mai a duello, dove non c’è mai nessuna regola etica oltre alla sopravvivenza e alla vendetta.

In questo delirio di realtà il ritmo è cadenzato e lento, puntellato da condensati di violenza. La cornice è quella del classico western italiano ma le regole vengono quasi tutte rivoluzionate in stile tipicamente proprio a Fulci, rendendo I quattro dell’Apocalisse l’occasione per comprenderne le reali capacità al di fuori del noto filone horror-splatter.

Incursione tardiva nel genere che con un cast più felice e qualche sequenza evitabile sarebbe potuto diventare caposcuola.

V Voti

Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 2 voti.

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.