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7/10

All Onorevole Piacciono Le Donne regia di Lucio Fulci

Commedia
recensione di Simone Coacci

Il candidato alla Presidenza della Repubblica Giacinto Puppis, “Giacintuzzo” per gli amici e per gli “amici degli amici”, è l’uomo politico perfetto. Un doroteo costruito in laboratorio. Il prototipo incarnato dell’ideale scudocrociato. Abito scuro e paludato, volto rassicurante, tetragono come la montatura dei suoi occhiali, moderato, abile nel verbo del politichese e nella liturgia degli intrighi palazzo. Dedito al partito di governo e alla specialità democristiana dell’ubiquo esercizio del potere con una devozione che rimanda alla sacralità del sacerdozio. Di fatti è stato cresciuto come un prete, in mezzo ai preti, è celibe e forse pure vergine, anche se qualcuno, ad un certo punto, ventila l’ipotesi che gli piacciano i…

Ma in realtà la sua debolezza è un'altra. L’onorevole, nonché Presidente del Consiglio (ahi, ahi!),  a furia di “tastare il meridione” è, per così dire, preda di pubblici raptus erotici durante i quali, in stato di semi-incoscienza, aggredisce, senza distinguo né inibizione alcuna, le natiche delle poverette che gli capitano a tiro (un primo ministro donna, la sua segretaria, persino un turista scozzese in kilt che, di spalle, ha scambiato per il gentil sesso).

Urge immediata e segretissima riabilitazione. Così, mentre l’onorevole Puppis è “in ritiro spirituale” e lo scrutinio elettorale per la massima carica dello stato prosegue con cadenza monotona e ossessiva senza approdare a nulla di fatto, sulla nostra sventurata italietta rischia di abbattersi il tornado di un complotto a sfondo clerico-militare-massonico-pornografico. E il popolo che dice? Niente, che deve dire? È troppo impegnato a seguire la campagna acquisti, il disco per l’estate, poi il Festival di Sanremo, la partita della nazionale e via discorrendo.

Nonostante il titolo e l’apparenza tutto sommato innocui, l’opera più controversa, maledetta, sequestrata, tagliuzzata, censurata (ancora oggi è raro vederlo in tv prima delle 3 notte), avveniristica, presaga dei suoi e dei nostri tempi, che il regista romano abbia mai realizzato.

La pellicola che fece tremare la già traballante maggioranza di governo alla vigilia delle elezioni del febbraio 1972. Visionato al Viminale dai vertici della DC in persona, contravvenendo apertamente a quanto previsto della costituzione. E quindi bocciato dagli organi preposti con la falsa motivazione di “ostentata oscenità e licenziosità del linguaggio”. L’offesa al comune senso del pudore che è l’ultimo rifugio di un governo di corrotti e mascalzoni. Se c’è un film chiave per comprendere perché, fra le tante e non sempre lusinghiere etichette che gli sono state appiccicate in quasi quarant’anni di onorata carriera, quella di “terrorista dei generi” sia la più aderente alla realtà dei fatti, nonché la più apprezzata e condivisa da Fulci stesso, questo è sicuramente All’Onorevole Piacciono Le Donne.

All’Onorevole… è un film che, appunto, parte da un presupposto di “genere” e, decostruendo dall’interno l’intelaiatura della commedia di costume a sfondo meridionalistico e pruriginoso (filone di cui Buzzanca era, in quegli anni, il volto simbolo nell’iconografia regionale dello star system “all’italiana”, e che aveva ne Il Bell’Antonio di Brancati e dell’inarrivabile coppia Germi-Mastroianni, l’inevitabile quanto bistrattato archetipo di riferimento), scaglia un attacco esplosivo e dinamitardo non solo all’attualità delinquenziale che coinvolge un’intera classe dirigente, ma anche alla bovina acquiescenza di un’opinione pubblica sempre con la testa altrove anche di fronte alla schiacciante evidenza delle cose e comunque, per sicurezza, tenuta all’oscuro di tutto, e ai modelli linguistici con cui certo cinema dell’epoca (nella fattispecie: la commedia all’italiana) troppo spesso edulcorava (o evitava di spingere fino alle estreme conseguenze) la rappresentazione di un Italia dilaniata dalle bombe e dagli scandali, l’essenza più sordida, oscura ed ipocrita che è nella natura (dis)umana di un esercizio del potere fine a se stesso.

In All’Onorevole… si vede un bipolarismo bloccato e imperfetto, un assolutismo di maggioranza che da anni governa ininterrottamente il paese, sempre nello stesso modo, pensando di poter prescindere da qualsiasi ricambio (vi ricorda qualcosa?). Un’opposizione perennemente latitante, inesistente, di cui in pratica non si parla mai (vi ricorda qualcosa?). Un Presidente del Consiglio che si ritira in un convento e in preda al proprio inconfessabile delirio “satiriaco” fa scempio di donnine compiacenti (scommetto che, se fate un attimo mente locale, anche questo vi ricorderà qualcosa…). Ci sono militari che progettano, prima in concorrenza e poi a braccetto con le forze dell’ordine, una sterzata autoritaria come soluzione all’immobilismo democratico, servizi segreti che spiano i suddetti e che vengono a loro volta spiati dalla cupola della mafia siciliana al vertice della quale vi è nientemeno che un cardinale della curia (monsignor Maravidi), un altissimo uomo pubblico e funzionario dello stato che salta in aria col suo aereo privato, tutto questo vi ricorda qualcosa?

Se si, allora non potete perdervi il film di Fulci.

Un’opera i cui meriti non si esauriscono nell’aver messo in scena col pessimismo dell’intelligenza e un’efficacia polemica fuori dal comune tutti i nodi politici più scottanti del proprio tempo o nell’averne preconizzati altrettanti, ma che conferma una volta di più l’eversiva efficacia dello stile e l’unicità del suo percorso di autore/regista all’interno del cinema italiano. All’Onorevole… è una sorta di “Hellzapoppin’” della Prima Repubblica. Una comica forsennata e catastrofica sulla rimozione dell’Eros - forza tellurica, primordiale, a-politica e a-sociale - che, una volta trovata la strada per affiorare agli strati superiori della coscienza, sgretola e manda in frantumi il super-io ufficiale del potere e dell’ordine costituito. Un meccanismo perfetto, quello dell’autoconservazione del paese legale, ad ogni costo e quasi sempre a spese degli interessi di quello reale, che s’inceppa quando uno dei suoi congegni fonde sotto la pressione dell’irrazionale.

Fulci può sbizzarrirsi in tutto il suo caleidoscopico ed eclettico repertorio: gag ricorrenti da slap-stick comedy (il deliquio di Puppis che precede la “tastata”, il coro ecclesiastico che sottolinea ogni volta il nome di “Padre Lucion”, il tormentone del povero On. Torsello che teme “che glielo stiano mettendo nel…”); l’alternarsi febbrile di registri visuali spesso agli antipodi (dal finto reportage che mette alla berlina l’ipocrisia della RAI indottrinata e a un solo canale dell’epoca, al realismo stilizzato delle stanze e delle parate del potere, al kitsch freudiano e psichedelico delle coloratissime visioni in cui Puppis/Buzzanca, con infantile e repressa sessualità da seminarista, immagina di cogliere il frutto proibito dall’albero della tentazione, ma al posto delle mele troviamo ovviamente “i culi”, pardon, “i popò”, come direbbe lui, all’oscurità barocca e ferale, degna quasi dei futuri horror fulciani, delle sequenze in cui i testimoni degli eccessi del senatore vengono “canonizzati”, ovvero uccisi dalla lupara bianca e trasformati, idea superbamente blasfema, in statue di cera raffiguranti santi e martiri), inquadrature sghembe e paradossali, ritmi scatenati che assomigliano più a quelli di Blake Edwards, dei fratelli Marx o al Dr. Stranamore di Kubrick che ai vari Risi, Salce e Monicelli (questi ultimi, fra l’altro, autori di due film quasi coevi su temi analoghi: rispettivamente Colpo Di Stato e Vogliamo I Colonnelli). E pazienza se dopo una prima parte straordinaria, il film scade in una pochade (gli amanti nudi e i loro persecutori che s’inseguono da una stanza all’altra) formalmente più prevedibile ed allineata. Ma non per questo rinuncia ad uno dei finali più beffardi e terrificanti nella storia del regista e del cinema italiano (perché, pur trattandosi di una commedia, questa è la commedia - nera, nerissima - del potere e in ballo, nell’indifferenza generale, c’è il destino del Belpaese non quello di una fantomatica cittadina infestata dai morti viventi).

Citazione finale per gli attori: a partire da un allucinato Buzzanca (che qui è truccato come l’allora presidente Emilio Colombo e si esibisce in analisi socio-economiche ingarbugliate ed incomprensibili, una parodia del compianto Moro), libero di mostrare tutte le potenzialità psicotiche e pirandelliane della sua, altrove fin troppo usurata, maschera dialettale, un gigionesco Lionel Stander (attore americano, d’idee anarchiche e progressiste, che si ricostruì una carriera in Italia dopo essere rimasto impigliato nella rete del Maccartismo) nei panni del Cardinal Maravidi, un mellifluo Renzo Palmer, sorta di Arlecchino goldoniano, di servo furbo della commedia classica, è il libertino Padre Lucion, mentre un appetitosa Laura Antonelli interpreta la suorina innamorata di Puppis che verrà, ahinoi, anch’essa “canonizzata” nel “supremo interesse della nazione”.

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Jack Skellington (ha votato 4 questo film) alle 12:07 del 15 agosto 2009 ha scritto:

ma per favore

simone coacci, autore, alle 10:09 del 28 agosto 2009 ha scritto:

Oh si, te lo do il favore, stanne certo...

Marco_Biasio alle 21:24 del 5 novembre 2010 ha scritto:

Chissà perchè, ma avevo la netta sensazione che questa recensione portasse il tuo nome Simone Il film l'ho visto anni fa e non me lo ricordo bene. Fulci comunque ha sparso perle di assoluta genialità in trent'anni e passa di carriera sfolgorante. Forse il filone delle commedie è quello un po' più in ombra (rispetto, magari, ai western o agli splatter). Ma poi sono gusti personali. Cerco di rivederlo e poi voto!

brunellodeluxe alle 19:43 del primo settembre 2015 ha scritto:

Ottima recensione,dettagliata e scritta benissimo.