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10/10

La Ballata di Cable Hogue regia di Sam Peckinpah

Western
recensione di Emanuele Mochi

Cable Hogue (Jason Robards), cercatore d’oro, viene tradito dai suoi due compari che lo lasciano solo e senz’acqua in mezzo al deserto. Trovata una sorgente tra i sassi e la sabbia, Cable sopravvive e ha l’intuizione di registrare quel terreno a suo nome per costruirvi una stazione di fermata per le diligenze. Facendo di sé stesso un self-made man con l’unico proposito di vendicarsi dei suoi due ex sodali, Hogue incontrerà nella sua strada Hildy (Stella Stevens), una bellissima prostituta con cui avvierà una tormentata storia d’amore e Joshua (David Warner), un ambiguo predicatore più interessato alle belle fanciulle che alla parola del Signore. Una volta ritrovati i suoi ex compari, Cable uccide uno dei due e perdona l’altro. Nel frattempo, Hildy, diventata una gran signora dopo aver sposato un uomo ricco, ritorna da Cable a bordo di un’automobile che, fatalmente, investirà a morte il protagonista.

Il dettaglio di una lucertola ferma sopra un sasso. Nello sfondo solo un deserto silenzioso di roccia e sabbia. Cable Hogue si avvicina di soppiatto per catturare l’animale. All’improvviso, il tuono di uno sparo. La lucertola salta in aria e possiamo vedere il piccolo rettile spappolarsi, attraverso un breve ralenti che ci mostra lo zampillare del sangue e ogni frammento di quella creatura partire in ogni direzione. Si tratta delle prime inquadrature che introducono questa meravigliosa Ballata di Cable Hogue.

E adesso un piccolo flashback. Siamo nel 1969 e Sam Peckinpah è reduce dal successo mondiale del suo film più celebre e celebrato, quel Mucchio Selvaggio che buona parte della critica e del pubblico di ogni parte del globo non esita, a ragione, a definire un capolavoro. Tuttavia, come ogni capolavoro che si rispetti, il Mucchio Selvaggio si attira anche numerose critiche: da più parti si levano in coro voci che sostengono che il film sia troppo violento e che il regista si crogioli nell’esibizione del sangue e della morte fine a sé stessi (di qui l’appellativo “Bloody Sam”, etichetta che il Maestro californiano non riuscì mai scollarsi). Perfino qualche critico, più velenoso di altri, insinuò che Peckinpah fosse molto bravo a scandalizzare, ma che dei suoi film, una volta depurati dal sangue e dalla violenza e dei lunghissimi ralenti con cui li rappresentava, non sarebbe rimasto granché.

Beh, di certo a queste malelingue, a questi benpensanti della domenica, avrebbero dovuto fischiare le orecchie quando nel 1970 uscì nelle sale La Ballata di Cable Hogue, una delle pochissime pellicole nella carriera del regista di cui abbia mantenuto il pieno controllo in ogni fase della produzione. E questa libertà gli costò cara: la Warner Bros, inspiegabilmente e maldestramente, si rifiutò di pubblicizzare adeguatamente la pellicola, che uscì praticamente in sordina e totalizzò incassi molto al di sotto delle aspettative, alimentando la leggenda di Peckinpah “artista maledetto”, inaffidabile, e causando l’inizio di un rapporto tutto in salita e irto di difficoltà tra il regista e le case di produzione con cui di volta in volta si troverà a lavorare (do you remember mr Orson Welles?).

Ad ogni modo, perché ho voluto porre l’attenzione su quella prima inquadratura della lucertola spappolata? Rispondo subito. Fin da quei primi fotogrammi, il vecchio Sam sta dando agli spettatori la chiave attraverso cui leggere il film: l’ironia. Solo per chi è in grado di intenderla, sia chiaro. Perché ironia? Perché quella prima inquadratura è l’unica in tutto il film ad utilizzare la tecnica del ralenti (che ancora oggi, in ogni manuale di storia del cinema, è quasi un patronimico ineluttabilmente associato al regista di Fresno) e, cosa ancor più clamorosa, è l’unica inquadratura in tutto il film di Bloody Sam a mostrare il Blood, e una delle poche a raccontare una scena di violenza, elemento insostituibile nel genere western, perfino in quelli più puritani.

Eppure la Ballata di Cable Hogue è un western, anzi, è la quintessenza del western.

Ma chi è questo Cable Hogue, protagonista di una ballata? E, a proposito, che diavolo significa: “Ballata”?

Andiamo con ordine.

Innanzitutto, Cable Hogue è un immenso Jason Robards, attore schivo e mai troppo celebrato, che in questo film dà prova di tutto il suo incredibile talento: il suo volto al contempo buono e rabbioso, vissuto e ingenuo, sporco ed elegante, burbero ma teneramente (terribilmente) umano, disincantato e allo stesso tempo innamorato della sua terra e della sua donna sostanzia ogni inquadratura, ogni primo piano e li eleva alla dignità dell’opera d’arte.

Cable Hogue è anche un gioco di parole, un enigma etimologico decisamente pregno di significato che dunque vale la pena e lo sforzo di decrittare. “Cable”, in inglese, significa testualmente “cavo/trasmettitore”, e rimanda dunque a un elemento molto comune e di uso quotidiano nel ‘900, ma che era ancora agli albori a cavallo tra XIX e XX secolo, epoca in cui il film è ambientato (potrebbe essere inteso come il simbolo della civiltà moderna?). Ma oltre a questo, “Cable” racchiude in sé in una (ironica) sintesi morfologica i nomi dei due protagonisti del primo fratricidio che la cultura romano-giudaica ci abbia tramandato, ovvero quello tra Caino e Abele: in inglese, Cain+Abel= “Cable”. E in effetti, il nostro Cable, come abbiamo già evidenziato, unifica in sé un po’ tutti gli aspetti della natura umana, per sua natura continuamente in conflitto. Ne riparleremo.

Anche il cognome del nostro protagonista vale la pena di essere brevemente sviscerato: “Hogue”, infatti, non significa nulla per come è scritto. Ma, per assonanza, alle orecchie di un anglofono non può non ricordare il termine “hog”, che significa “porco, maiale” e che, in forma verbale, diventa invece “accaparrare qualcosa”. Considerando che “Cable”, senza la lettera C, diventa “able”, cioè “abile”, il nome per intero potrebbe suonare come “abile porco” o “abile ad accaparrare”. Ed ecco qua come Sam Peckinpah, assieme ai due co-sceneggiatori John Crawford e Edmund Penney (Peckinpah non è accreditato, ma si dice che abbia dato una grossa mano in fase di script), tramite il procedimento cosiddetto di “mise en abyme”, incastona buona parte della trama del film, e della sua carica ironica, già nel nome (e nel cognome) del personaggio principale.

Già, perché Cable Hogue un porco lo è di sicuro. Il regista non lesina gli zoom (anch’essi palesemente ironici) ancorati alla soggettiva del protagonista che innumerevoli volte si sofferma a contemplare il seno procace della sua amata Hildy. Inoltre, Cable non esita a investire il primo magro prestito che gli viene concesso dalla banca presso il bordello in cui Hildy “lavora”, lasciandosi tentare da un buffo ammiccamento che l’immagine stampata del presidente Washington gli rivolge dalla banconota da un dollaro che per un attimo sembra prendere vita  (potrebbe sembrare solo un contrappunto ludico, ma quanto feroce sarcasmo nei confronti dell’America è contenuto in quella breve divertente inquadratura?).

Sarà dunque un porco, ma Cable, senza dubbio, è anche “abile ad accaparrare”: da totale spiantato, nel corso del film si trasformerà in un ricco imprenditore. Insomma, quella che abbiamo di fronte è anche la storia (che più americana non si può, ma in senso positivo) della “ricerca della felicità”, dell’American Dream, di un vero e proprio self-made man che costruisce dal nulla una prospera impresa e che è felice di poter issare ogni giorno la bandiera degli USA davanti al piccolo feudo che si è conquistato col sudore della fronte, senza l’aiuto di nessuno.

E l’elemento da cui scaturisce la ricchezza di Cable, nonché vero e proprio leit-motiv di tutta quanta la vicenda, è l’acqua. Hogue infatti, come recita l’epitaffio nella sua tomba, è soprattutto “l’uomo che ha trovato l’acqua dove non c’era”, ovvero nel deserto, praticamente unica ambientazione di tutto il film.  Infatti la storia ha inizio con il protagonista  che, abbandonato e tradito dai suoi due ex-amici, viene lasciato solo in mezzo al deserto, senza un goccio d’acqua. I titoli di testa, con l’abile ricorso allo split-screen (e l’ausilio di una musica meravigliosa, di cui riparleremo), ci descrivono il disperato errare di Cable per giorni e giorni tra rocce e sabbia alla ricerca disperata di un’oasi per dissetarsi. Le uniche parole pronunciate dal protagonista in questo suo vagabondaggio, sempre più stanco e provato, sono rivolte a Dio. Ma Hogue non prega, quanto piuttosto dialoga con Dio come con un suo amico, chiedendo il favore di fargli arrivare un po’ d’acqua, come se quella fosse la sua unica possibilità (e non speranza, intendiamoci) per restare in vita. Quando infine sembra che Cable non ce la faccia, quando dopo un ultimo “amen” si accascia a terra, ecco che vede della sabbia bagnata incollata alle sue scarpe luride. Con le mani scava allora un buco sulla sabbia e, contro ogni previsione e quasi “per miracolo”, trova una sorgente d’acqua.  

“Io, Cable Hogue, ho trovato l’acqua, la vita” dice l’uomo, palesando immediatamente il simbolismo religioso sotteso a tutta la narrazione. L’acqua come simbolo di vita, di nascita, di rigenerazione, di purificazione attraversa un po’ tutta la Bibbia, dall’Antico al Nuovo Testamento. Dunque La ballata di Cable Hogue può essere considerato un film religioso? Prima di rispondere a questa domanda vorrei porre l’attenzione su alcuni passaggi della splendida orazione funebre pronunciata dal reverendo Joshua Sloane alla fine del film, dopo la morte del protagonista (da notare la struttura a specchio: la storia comincia e si conclude con due quasi-preghiere). “Sotto un certo aspetto egli era una tua vaga immagine, Signore”: eccoci dunque ancora di fronte a una frase che assegnerebbe alla figura di Cable Hogue un valore religioso, quasi cristologico. E ancora: “il deserto era la sua cattedrale”. Dunque, la questione posta sembra volgersi in positivo.

Ma attenzione: il personaggio del reverendo Joshua Sloane è quello che nell’economia del film svolge più degli altri una funzione comica e satirica, in particolare nei confronti del clero, dunque anche la sua, volutamente pomposa, orazione finale va letta con il filtro se non di una vera e propria ironia, quantomeno di uno straniato distacco.

Del resto, se è vero che è Cable a invocare Dio quando vaga disperato nel deserto, è lo stesso Cable  che, una volta trovata la fonte, toglie all’entità sovrannaturale la responsabilità di quel “miracolo”: è lui che ha trovato l’acqua, non è Dio che gliel’ha mandata.

La verità è che La Ballata di Cable Hogue non è un film religioso, Cable non è un uomo religioso, e neanche Peckinpah lo era (come vedremo, protagonista e regista del film sono due facce della stessa medaglia). Ma sia il film, sia il suo protagonista, che il suo regista si portano appresso una forte carica spirituale, che va oltre le ideologie e le religioni, ma che in parte attinge ad esse per creare un universo etico assolutamente particolare, fondato sul rispetto di valori come l’amicizia, la sacralità della terra, la sincerità, e, in primis, l’amore. Nell’universo morale di Peckinpah non c’è spazio per i valori costituiti della società borghese che anzi non esita a rovesciare in nome dell’amore sincero: Cable è innamorato di Hildy, una prostituta, e quando lei viene cacciata dai benpensanti del suo paese, è proprio Hogue a smascherare l’atteggiamento moralista di quegli ipocriti, sostenendo che persone perbene quanto lei in quel paese non ne ha mai conosciute.

Insomma, Peckinpah non fa distinzioni nette tra “bene” e “male”, non è con una dicotomia così manichea che si ha a che fare quando si guarda un suo film. Per terminare questa analisi del personaggio Cable Hogue, così ricco di sfumature, voglio citare ancora un passaggio dell’orazione funebre di Joshua che conclude la pellicola: “non si può dire che fosse un uomo buono, né che fosse un uomo cattivo; però era un uomo, almeno”. Ecco cos’è Cable Hogue. Non è particolarmente bello, né brutto, è tremendamente vendicativo, non esita ad uccidere chi vuole ingannarlo, ma neanche a perdonare un traditore pentito, non è simpatico, né furbo, né particolarmente intelligente, non è né un eroe né un anti-eroe: Cable Hogue è un uomo che, parafrasando Kant, ha il suo mondo etico e spirituale dentro di sé e il deserto intorno a sé, e tanto basta. E forse è proprio in questo è l’immagine di Cristo, nel suo essere semplicemente, meravigliosamente, terribilmente un uomo, come lo siamo tutti. E come tutti, Caino e Abele in un corpo solo.

E come lo è soprattutto Sam Peckinpah, se è vero che buona parte della troupe del film sostiene che dietro il personaggio di Cable Hogue si cela il suo artefice: è il suo (di Peckinpah) universo di valori che Hogue rappresenta, la sua idea del mondo, degli uomini, delle donne, della vita, dell’America. Lo stesso regista di Fresno sostenne sempre che questo era il film che più sentiva “suo” tra tutti quelli girati nella sua (troppo breve) carriera.

Abbiamo capito dunque chi è Cable Hogue, ma perché il titolo parla di una sua “ballata”? La ballata (o più propriamente, la folk ballad, nell’accezione che qui vogliamo dargli) è un genere musicale che comprende canzoni che hanno in comune una precisa struttura strofica e un andamento narrativo.  Senza scendere nel dettaglio, riporto una frase tratta dalla voce di Wikipedia relativa a questo argomento: “La ballata popolare si distingue da altre forme narrative per il racconto di una storia che fa riferimento ad un unico avvenimento (nel nostro caso, la realizzazione di Cable Hogue ai fini della sua vendetta), sottolineandone soprattutto l'azione, a scapito della caratterizzazione dei personaggi (i caratteri dei personaggi vengono fuori dalle loro azioni) e della descrizione dell'ambiente (è quasi sempre il deserto) e della situazione (non sappiamo neanche esattamente in che anni ci troviamo) nella quale avviene e si sviluppa la storia, trascurando l'antefatto (non sappiamo nulla della cosiddetta back-story di Cable), per introdurre gli ascoltatori direttamente in una successione di eventi che si concludono spesso in modo tragico (la morte di Cable).”

Come si evince da questo breve estratto, è chiaro che Peckinpah coi suoi due sceneggiatori abbia fatto riferimento alla forma della folk-ballad per costruire il suo film.

Inoltre, come in ogni folk-ballad che si rispetti, anche in La Ballata di Cable Hogue la musica riveste un ruolo fondamentale: le splendide canzoni di Jerry Goldsmith e Richard Gillis fanno non solo da colonna sonora a tutta l’epopea di Cable, ma vengono a volte addirittura intonate dai protagonisti stessi e, come in un musical, sono le immagini a passare in secondo piano, lasciando spazio alla musica, con l’ausilio di un montaggio frastagliato, anti-naturalistico e ricco di jump cut.

Parlando di montaggio, si era già detto di come Peckinpah rifiutasse, in questo film, l’uso del suo celeberrimo ralenti. Ma la verità è che, oltre a non rallentare le immagini, il regista sceglie  addirittura di aumentare la velocità delle scene più divertenti, ottenendo lo scopo di accentuare la carica ironica e fumettistica di quegli episodi (proprio come facevano, a loro tempo, Charlie Chaplin e Buster Keaton).

Avviandoci verso la conclusione, due parole vanno spese sul personaggio complementare di Cable Hogue, ovvero Hildy, la sua donna (interpretata da una bellissima Stella Stevens), anche lei protagonista di una sua personale ricerca della felicità: Hildy comincia prostituta e finisce dama di gran classe (da sottolineare lo splendido abito verde indossato dalla Stevens nelle ultime scene del film, che la fa sembrare una creatura semi-divina, un’oasi verde di speranza nel mezzo del deserto selvaggio).

Peckinpah è stato spesso accusato di misoginia: ecco, anche in questo caso, il regista utilizza questo film per sfatare l’ennesimo luogo comune che lo perseguita. Hildy è una donna volitiva, intraprendente, assolutamente non sottomessa alle figure maschili che la circondano. È una donna determinata che sa bene ciò che vuole fin dall’inizio: desidera sposare un uomo facoltoso e diventare una ricca dama di città. Ed è proprio quello che farà: la sua permanenza presso la stazione di Cable quando viene cacciata dal paese,  verso la metà del film, non può essere che una soluzione temporanea, effimera, destinata a finire. È evidente che i due non sono ancora pronti, non è ancora arrivato il momento in cui potranno vivere insieme in serenità: lei deve perseguire il suo sogno di gloria, lui deve soddisfare la sua sete di vendetta. E infatti l’idillio finisce presto, e come finisce: con una delle scene più belle del film, quando Hildy, avvolta in una camicia da notte bianca di lino, esce nella penombra della notte silenziosa e si porta dentro casa il suo uomo e noi, attraverso gli occhi di Cable, la vediamo come una figura celestiale, eterea. Ma è solo al termine del percorso di vita che ha voluto seguire che Hildy tornerà indietro, nel deserto, dal solo uomo che abbia mai amato veramente, questa volta per restare.

Ma ormai è troppo tardi: paradossalmente (simbolicamente) sarà proprio il suo arrivo a bordo di una delle prime automobili a causare la morte di Cable Hogue. Sì, perché Cable Hogue è un uomo dell’800, non è adatto a vivere nel XX sec. Come dice lui stesso verso la fine del film, le automobili “camminano senza cavalli, non mi danno affidamento, e vanno come il vento…beh, se le godranno le nuove generazioni”.

La Ballata di Cable Hogue è ben più di un western crepuscolare: la morte di Cable, schiacciato da un’automobile, segna la morte del western tout-court. L’automobile, il già citato “cavo”, sono tutti elementi che segnano l’arrivo di una nuova era, e allo stesso tempo la fine di un’epoca, l’epoca dei cowboy, dei cercatori d’oro, del Far West. E dunque del genere cinematografico che li rappresenta, quel western che, dopo i fasti degli anni ’40, ’50 e ’60, con l’alba dei ’70 si avvia verso una stagione di inesorabile declino, che dura fino a oggi.

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