Boris - Il Film regia di Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre, Luca Vendruscolo
CommediaBoris è il pesce rosso che René Ferretti, regista di mediocri fiction televisive, tiene sempre accanto a sé come portafortuna. Stanco di girare i soliti film TV di infima qualità, René accetta la proposta di portare sul grande schermo il libro “La Casta”. Ma le cose non vanno come il regista vorrebbe, e alla fine, anziché girare un film di denuncia circondato da collaboratori di alto livello, si ritroverà a dirigere con la sua fedele ma scalcinata troupe l’ennesimo cinepanettone: “Natale con la Casta”.
Prendendo ispirazione da uno dei più divertenti tormentoni di Boris (la serie tv), viene proprio da dire: “Finalmente un film senza Favino!”.
E l’assenza di questo (per altro bravissimo) attore, simbolo della consuetudine molto -troppo- italiana di puntare sul nome della star più in voga del momento per “fare cassetta”, è solo uno degli elementi che fanno di Boris una piacevole anomalia nel panorama della tv, e ora anche del cinema, in Italia.
Sì, perché la prima sensazione che immediatamente coglie lo spettatore di fronte a questo film (e davanti alla serie tv che l’ha preceduto) è quella di un improvviso, sconvolgente, spaesante disvelamento del finto, del tarocco che impera nella tv e in buona parte del cinema nostrano, permettendoci di assaporare finalmente qualcosa che profuma (o meglio, puzza) di verità.
L’eccezionale bravura del trio di sceneggiatori/registi (Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo) risiede nella loro straordinaria capacità di registrare la realtà così com’è, in presa diretta, senza filtri; e la realtà dell’Italia di oggi, lo sappiamo bene, non è certo delle più rosee.
L’arma che viene utilizzata per strappare il velo della finzione è quella dell’ironia, un’ironia sferzante, pungente, a tratti spietata ma mai demenziale, che non risparmia davvero niente e nessuno, e che riesce nell’improbo compito di far ridere e contemporaneamente di far pensare.
E così eccoci sfilare davanti una galleria di veri e proprio “mostri” che abitano il mondo del cinema: l’attore vanesio e pieno di sé (l’ottimo Pietro Sermonti nel ruolo del “divo” Stanis La Rochelle), l’attrice “cagna” (Carolina Crescentini nel ruolo di Corinna), il direttore della fotografia che si fa di cocaina (Ninni Bruschetta nel ruolo di Duccio), il produttore che pensa solo ai soldi senza capire nulla del suo lavoro (Alberto di Stasio nel ruolo di Sergio) e molti altri.
Ma la critica si allarga all’industria cinematografica tutta, accusata di disinteressarsi completamente alla qualità del prodotto e di puntare soltanto al successo commerciale, in un meccanismo perverso di rassegnazione al brutto, a cui alla fine anche il povero René (un grande Francesco Pannofino) dovrà adeguarsi, girando un cinepanettone anziché un film di denuncia sociale.
Boris-il film è metacinematografico, e l’accusa che potrebbe essergli rivolta è quella di avere un pubblico esclusivamente di addetti ai lavori. In realtà raccontare il mondo dello spettacolo è solo il pretesto per analizzare una realtà ben più ampia, che coinvolge ogni sfera sociale e professionale: il cinema si fa sineddoche dell’intero sistema-Italia, e lo specchio deformante dell’ironia permette a ognuno di noi di vedercisi riflesso e ridere di sé stesso.
Per concludere, va detto che la serie TV, vuoi perché era una novità assoluta, vuoi perché costruire un film di oltre 100 minuti è diverso dallo scrivere una puntata di 20, aveva forse un altro passo rispetto al film, che perde un po’ in brillantezza e freschezza di situazioni.
Ciononostante, Boris è un film che va assolutamente visto, e soprattutto da coloro che non hanno seguito la serie tv, se non altro per avere la prova che anche in Italia è possibile fare commedie di alta qualità.
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