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5/10

Source Code regia di Duncan Jones

Fantascienza
recensione di Emanuele Mochi

Un pilota di elicotteri, il capitano Colter Stevens, si risveglia su un treno in corsa. Una ragazza che non ha mai visto, Christina, gli sta parlando chiamandolo con un nome che non conosce. Colter scoprirà di trovarsi all’interno del programma top-secret Source Code, che gli permette di rivivere gli ultimi 8 minuti di vita di un passeggero rimasto ucciso in un attentato ferroviario. Il suo obiettivo è trovare l’attentatore in quei pochi minuti, prima che il treno salti nuovamente in aria. Ma i tentativi non sono infiniti: nel mondo reale, il terrorista è pronto a colpire di nuovo.

Occhio alle locandine.

Quella di Moon, il film d’esordio di Duncan Jones (per chi non lo sapesse, suo padre si chiama David Jones, in arte Bowie), era un capolavoro di minimalismo: stagliato su sfondo nero, il grande disco grigio della luna contiene al centro l’immagine di un astronauta in tuta spaziale bianca, mentre il titolo, bianco su nero anch’esso, se ne sta piccolo e in disparte in basso a sinistra, sopra i credits.

Nel poster di questo Source Code, invece, vediamo in primo piano il profilo del protagonista Jake Gyllenhaal materializzarsi gigantesco dallo sfondo blu realizzato in computer grafica, raffigurante quelle che sembrano schegge di vetro. L’attore ha uno sguardo intenso, deciso, da eroe americano, e nella mano sinistra impugna l’immancabile pistola, un oggetto che nell’economia del film avrà importanza pari a zero. Il titolo, rosso fiammante, è in bella evidenza al centro dell’immagine e la scelta del font fa talmente film d’azione anni ’90 di serie Z da gridare vendetta.

La differenza tra questo Source Code e il precedente Moon, in nuce, è tutta qui, palesata fin dalle locandine promozionali. Del resto i due film, sotto molti aspetti, sono piuttosto affini.

Classificabili nel genere sci-fi, entrambe le pellicole affrontano una tematica simile, raccontando la vicenda di un uomo usato da un centro di potere per compiere una missione della quale non è del tutto a conoscenza.

Mentre in Moon Sam Bell viaggiava nello spazio, in Source Code il capitano Colter Stevens (Jake Gyllenhaal) viaggia nel tempo, o meglio nella dimensione a-temporale della mente, ed è costretto a rivivere gli ultimi 8 minuti di vita di un passeggero rimasto vittima di un attentato ferroviario con l’obiettivo di scovare l’attentatore.

Questa continua corsa contro il tempo fa di Source Code un vero e proprio film d’azione, pur presentando elementi atipici rispetto al genere. L’eroe in questione (se di eroe possiamo parlare, visto che Gyllenhaal non è Bruce Willis, e immette nel suo personaggio un certo tono antieroico, disturbato) compie la sua missione restando fermo: teatro dell’azione è infatti il suo cervello, e in questo ci si rifà a un certo filone fanta-psicologico molto in voga negli ultimi anni (vedi Inception).

Ma la sensazione è che sia proprio l’aspetto psicologico dei personaggi a risultare poco esplorato: la storia d’amore con la ragazza (Michelle Monaghan) è stucchevole e priva di autentico pathos, mentre il contrasto tra il buono, l’eroe tutto positivo, e il cattivo, l’attentatore pazzo omicida, è così scontato che definirlo manicheo sarebbe un eufemismo.

A un livello più profondo, poi, Source Code si può prestare a chiavi di lettura etico-politiche che lasciano quantomeno perplessi. Nel corso del film, si pone spesso l’accento sul fatto che il capitano Colter Stevens è un eroe di guerra (tra l’altro, quel poco che resta del suo corpo maciullato nel conflitto bellico giace immobile in una sorta di capsula iperbarica) e sarà proprio facendo perno sul patriottismo e sul senso del dovere nei confronti dei suoi superiori che il protagonista troverà l’impulso per portare a termine il suo compito. In questo modo la critica contro un potere che sfrutta il debole per i suoi scopi passa del tutto in secondo piano, soverchiato da un messaggio morale ambiguo, reazionario e vagamente inquietante.

Insomma, un passo indietro per Duncan Jones (che stavolta non firma la sceneggiatura): laddove in Moon avevamo un gioiellino a (relativamente) basso budget, (quasi) senza effetti speciali, lento, pacato, etereo, sospeso in un bianco quasi astratto, di gusto retro, citazionista ma ricco di poesia, con Source Code si passa a un action movie claustrofobico (si svolge quasi interamente dentro un treno), freddo, metallico, ricco di movimento e di esplosioni (una ogni volta che si torna indietro di 8 minuti!), ben costruito se vogliamo, ma che tutto sommato lascia piuttosto indifferenti.

Consigliato a chi non ne ha avuto ancora abbastanza di veder cominciare un film con il protagonista che si risveglia senza sapere chi è né dove si trova o simili.

 

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Voto degli utenti: 7/10 in media su 13 voti.

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Peasyfloyd (ha votato 9 questo film) alle 0:24 del 21 dicembre 2011 ha scritto:

non sono per niente d'accordo con la recensione. In particolare nè con il giudizio nè con l'analisi nello specifico. Vero è che ci troviamo nel filone fanta-thriller-psicologico (peraltro di moda anche e soprattutto grazie a Duncan Jones che con Moon ne ha dato una delle versioni più spettacolari) ma non vedo questa mancanza di approfondimento nella caratterizzazione psicologica dei personaggi, anzi è sorprendente la capacità di caratterizzare tutto i personaggi secondari che hanno un ruolo assai marginale. Quello che appassiona in particolare è il personaggio impersonato da un eccellente Jake Gyllenhaal. Sia la sua prestazione che il suo ruolo sono al limite della perfezione (e dio solo sa quanto deve essere stato difficile calarsi in una parte così complessa). Anche riguardo la lettura etico-politica non c'è nessun richiamo al nazionalismo. Ciò che muove il protagonista è l'aspetto emotivo delle parole del padre di cui invoca incessantemente il bisogno di un contatto. E' infatti solo questo, e non certo i freddi e burocratici richiami dei "superiori", a fargli compiere con successo la missione. Il finale poi, è la ciliegina sulla torta, riuscendo a dare una speranza ad un personaggio per il quale il transfert eseguito dallo spettatore è totale. E poi c'è il trionfo della solidarietà umana sull'autoritarismo militaresco, l'aspetto misterioso dei mondi paralleli e tanto altro. Inutile aggiungere che il ritmo è incalzante e la regia perfetta. Duncan Jones si conferma uno degli autori più brillanti in circolazione. Il suo cinema lo ritengo una delle punte di diamante dell'epoca contemporanea

tramblogy alle 19:23 del 20 aprile 2015 ha scritto:

5??...troppo carino....mha!?