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8/10

Il Buono, Il Matto, Il Cattivo regia di Jee-woon Kim

Spaghetti-Western
recensione di Alessandro Pascale

Il film è ambientato nel deserto della Manciuria durante il 1930. Il Buono (un cacciatore di taglie) ha il compito di recuperare una mappa del tesoro da un ufficiale giapponese su un treno. Prima che possa fare ciò, il Matto (un ladro) ruba la mappa e si trova coinvolto nel deragliamento del treno messo in atto dal Cattivo. Quest'ultimo causa la morte di militari giapponesi e manciuriani, oltre che di civili. Il Matto intanto scappa. Anche un gruppo di banditi manciuriani si mette alla ricerca della mappa. Il Matto spera di scoprire il segreto della mappa e trovare il tesoro sepolto dalla dinastia Qing prima della sua caduta.

Che fosse un'impresa quanto meno azzardata è poco ma sicuro. Riprendere, riadattare, omaggiare o rifare (a seconda del punto di vista) Il Buono, il Brutto, il Cattivo di Sergio Leone in chiave coreana è azione che può destare perplessità e sgomento. E non tanto per la tematica in sé, se si considera che in fondo la stessa concezione dello spaghetti-western non avrebbe probabilmente trovato sfogo senza la cultura orientale (basti ricordare la discendenza di Per un pugno di dollari da La sfida del samurai di Kurosawa). Quanto per la volontà di ricalcare nei fatti lo stesso schema istrionico-ironico di una pellicola costantemente sopra le righe, e che già nell'originale di Leone riusciva a trovare piena realizzazione grazie ad un equilibrio difficilmente riproponibile per l'intreccio di diversi fattori eccezionali.

Kim Jee-woon non riesce ovviamente a ripetere il capolavoro. Mancano la magia data dalle musiche di Morricone, il carisma di Clint Eastwood (e perchè no? Anche quello pacato e asciutto di Lee Van Cleef nei panni del “cattivo”), e più in generale quell'aurea di immediata classicità che rendeva il tocco di Leone. Ma Kim vince comunque la sfida di un confronto degno e adeguato all'occasione, realizzando un'opera di tutto rispetto, che aggiorna la lezione spaghetti-western giocando su una maggiore dinamicità, ampliando il registro tragicomico (fino a toccare forme di grottesco black humour) e intrecciando il tutto con un'azione pulp in bilico tra la rude e “normale” violenza di Takeshi Kitano e la spettacolarità di un Johnnie To (ma anche, perchè no, le acrobazie che hanno reso famosi i film di John Woo).

Regia di tutto rispetto quindi, con chicche davvero notevoli che dimostrano la maestria di chi siede in cabina di regia: esemplare, ad esempio, la scena iniziale con cui si apre il film, con una eccezionale soggettiva del “mattoSong Kang-ho, vero valore aggiunto dell'opera: sicuramente all'altezza del paragone con il mitico “brutto” Eli Wallach, anche se con caratteristiche assai diverse: più folletto funambolico e un po' psicopatico e meno massiccio e robusto rispetto “all'originale” americano.

Non mancano i temi politici e sociali, spinti in ottica antimperialista (il “nemico” in questo caso è il Giappone, ed il film è ambientato intorno al 1930), senza peraltro uscire troppo dal registro individualistico che deve caratterizzare i tre personaggi in conflitto tra loro. Tra questi peraltro, la visione più lucida e “proletaria” della realtà ce l'ha proprio il “matto”, che ambisce solo ad un pezzo di terra da coltivare in santa pace, senza dover rendere conto a nessun padrone, sia esso coreano o giapponese.

Da segnalare lo spettacolare finale, con la lunga scena dell'inseguimento (con tanto di sparatorie, esplosioni e cadute roboanti), e con il famoso duello a tre, assai diverso dall'originale, che rimodula in chiave ancor più epica e tragica lo scontro immaginato da Leone.

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Voto degli utenti: 7/10 in media su 3 voti.
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TexasGin_82 (ha votato 9 questo film) alle 12:06 del 16 luglio 2012 ha scritto:

un classico.