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4/10

On the Road regia di Walter Salles

Road Movie
recensione di Emanuele Mochi

America, secondo dopoguerra. Sal Paradise (Sam Riley), scrittore newyorchese, incontra Dean Moriarty (Garrett Hedlund), un giovane sbandato uscito dal riformatorio. Tra i due si instaura un legame di amicizia e stima profondissima e insieme con l’amico Carlo (Tom Sturridge) e la bella Marylou (Kristen Stewart) se ne andranno in giro “sulla strada” attraversando tutta l’America alla ricerca di una libertà profonda e totale. Tratto dall’omonimo romanzo di Jack Kerouac, prodotto dalla American Zoetrope di Francis Ford Coppola.

Ci sono libri che non dovrebbero mai essere trasposti sullo schermo.

E per un semplice motivo: perché sono assolutamente anti-cinematografici. Perché quello che è importante non è la semplice trama, l’intreccio, i fatti che avvengono, quanto piuttosto le sensazioni che l’autore vuole comunicare al lettore. O ancora meglio: perché racchiudono lo spirito di un’epoca. Quanto di meno visibile esista, dunque. E il cinema è l’arte della visione per eccellenza.

Uno di questi libri anti-cinematografici è Il Giovane Holden, di cui l’autore, J.D. Salinger, nonostante abbia ricevuto offerte milionarie da Hollywood, si è sempre rifiutato di vendere i diritti cinematografici. Scelta saggia. Vedremo se i suoi eredi resisteranno…

Un altro è sicuramente On the Road (Sulla strada), di Jack Kerouac, la vera e propria Bibbia della beat-generation, libro-culto per i giovani degli anni ’50 e ’60, e tuttora, nonostante un po’ impolverato dagli anni, molto apprezzato da pubblico e critica.

Infatti, fino ad oggi nessuno aveva osato portarlo al cinema. In realtà, pare che lo stesso Kerouac avrebbe voluto provarci, coinvolgendo Marlon Brando. E chissà cosa ne sarebbe venuto fuori…

Invece ha osato quest’anno Walter Salles, già regista dei Diari della motocicletta.

(Il fatto che si sia deciso di adattare per il grande schermo persino il libro di Kerouac sarà forse indicativo di come gli studios hollywoodiani stiano raschiando il fondo del barile, essendo ormai da anni tremendamente a corto di idee?)

Senza Marlon Brando, ma con Garrett Hedlund (Eragon, Tron Legacy) nel ruolo di Dean Moriarty, Sam Riley (interprete di Ian Curtis in Control) nel ruolo di Sal Paradise (personaggio dietro cui si cela lo stesso Kerouac) e la nuova stellina di Hollywood Kristen Stewart nei panni di Marylou, la donna di Dean. In ruoli più marginali compaiono anche Kirsten DunstTom Sturridge e Viggo Mortensen. C’è persino un divertente cameo di Steve Buscemi.

Questa parata di stelle hollywoodiane vecchie e nuove, però, non serve a far decollare il film, che rimane per tutta la durata niente di più di una cartolina degli anni ’50. Non solo: la foto è stata scattata oggi e invecchiata artificialmente con Photoshop. E si vede.

La stessa scelta di prendere una come la “vampiressa” Stewart, con la sua faccia da ricca viziatella perennemente imbronciata, non ha assolutamente altre motivazioni plausibili se non quella di portare gli adolescenti nelle sale.

Questo film è patinato, pettinato, lucidato. E pensare che è tratto da un libro che cercava di esprimere tutto il contrario, anche nello stile...

Alla scrittura sperimentale di Kerouac non fa da contraltare lo stile cinematografico, che è invece assolutamente piatto, canonico in ogni senso: dall’intreccio narrativo, alla fotografia, alle inquadrature, al montaggio, all’uso della musica (splendidi brani jazz si susseguono, ma ancora: vogliamo dare l’idea dei primi anni ’50? E allora mettiamoci un po’ di pezzi jazz famosi qua e là così la gente se lo ricorda!).

Tornando agli attori, rifletto e mi chiedo: ma perché devono essere sempre così belli, così pulitini, così pettinati? Perfino Allen Ginsberg (che nel film e nel libro si chiama Carlo Marx) ha la faccetta da belloccio di Tom Sturridge (però con gli occhiali del modello di Ginsberg, ovviamente lucidissimi e pulitissimi anche loro).

Una nota di merito va invece a Kirsten Dunst nella parte della moglie tradita di Dean: almeno lei sa recitare, e il suo personaggio è uno dei pochi davvero credibili.

A questo film manca la sostanza, manca il cuore, manca la libertà spirituale ed espressiva che è la vera forza del libro di Kerouac. Forse proprio a causa del suo stile, anzi del suo disperato tentativo di essere “stiloso” , finendo per diventare un innocuo “giochiamo agli anni ’50” (però coi divi-divetti di oggi), perde “sulla strada” tutta la carica eversiva della poesia beat, riducendo il tutto a: “che bello scopare” e “che bello ubriacarsi”. Accidenti, più anticonformisti di così si muore!

In attesa che qualcuno a Hollywood decida di portare sullo schermo Il giovane Holden, io vado a leggermi Kerouac. E vi consiglio di fare altrettanto.

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Marco_Biasio (ha votato 6 questo film) alle 11:15 del 17 ottobre 2012 ha scritto:

Ammazza se sei stato severo! Anch'io subodoravo il disastro, non fosse altro per la non linearità ad accumulo della scrittura di Kerouac, e per la ripetitività circolare delle situazioni di On The Road (che, per inciso, non è quel capolavoro letterario che si vuol far credere da sempre, solo perché è stato scritto in tre giorni su carta da cesso sotto effetto di benzedrina... Burroughs è tutt'altra pasta). Invece no, dai, è una pellicola discreta. Pulita... Sì, pulita in senso "hollywoodiano", ma nemmeno così tanto come dici tu. C'è dell'hipsterismo e della moda nella trasposizione fisica dei personaggi del libro, specialmente nella volitività di Carlo Marx: ma forse che Kerouac, nel libro, non aveva dato grossomodo la stessa sensazione? E' che lì lo scrittore viveva i suoi tempi, quel fermento, quella generazione da cui sarebbe partito il ciclone... Cosa impossibile da ricreare, giustamente, ai giorni d'oggi. Non mi è piaciuto, per niente, l'idea di piegare l'istinto anarchico e dinamico dell'"andare" (a tratti soffocante, spasmodico, snervante) in una storia dal doppiofondo psicodrammatico (Dean è così perché suo padre è un ubriacone che gira a zonzo per le strade di Denver): quello sì, è moralismo spicciolo che nulla c'entra con il libro, e che stona parecchio. Il resto si barcamena, seguendo a tratti pedissequamente le vicende del libro (l'inciso di Terri, l'escursione in Messico), modificando qualcosa, cercando di non combinare troppi danni. Bene ad evitare troppe ripetizioni e giustapposizioni che sono croce e delizia di Kerouac. Bene Riley, molto bene Kirsten Dunst. Meno bene IMHO la Stewart (totalmente fuori luogo la battuta sul fatto di volere una vita normale, con marito figlio ecc...) e malino Sturridge. Per me la sufficienza ci può stare. Non è un gran film, ma oggigiorno sarebbe stato difficile fare qualcosa di meglio o qualcosa di diverso, rischiando magari di cadere nel dejà-vu Into The Wild (che lampeggia pure, qua e là) o, peggio ancora, The Straight Story.