R Recensione

7/10

Vizio di forma regia di Paul Thomas Anderson

Noir
recensione di Fabio Secchi Frau

Quando la vecchia fiamma del detective privato Doc Sportello si presenta inaspettatamente da lui, confessandogli il timore che il suo attuale compagno, un ricco uomo d'affari, possa fare una brutta fine a causa dell'avidità della di lui moglie e del suo attuale amante, Doc non ci pensa due volte e accetta il caso, senza sapere però di essersi cacciato in qualcosa di più grande di lui.

  Il dialogo seguente non è andersonismo, come ha scribacchiato la critica americana, bensì autentico linguaggio alla Raymond Chandler: «Stai bene, fratello?», fa lui. «Non sono tuo fratello», puntualizza l’altro. «No, ma un guardiano ti farebbe bene». È molto Anderson, invece, la rimanenza. È in questo modo che Vizio di forma segna il ritorno del cineasta ai livelli di Sydney, cambiando però i panorami. Qui, siamo in una California crepuscolare e fumosa (di tanta, narcotica e profumatissima erba), che fa da sfondo a un noir contemporaneo (è la fine degli Anni Settanta), feroce quanto basta per strappare il sorriso allo spettatore di un certo gusto cinefilo.

  Incarnata con sensuale misticità da Joanna Newsom, la bellissima sensitiva Sortilège confessa: «Quelli erano tempi pericolosi, astrologicamente parlando, per i tossici, specie quelli in età adolescenziale, che erano nati quasi tutti sotto un aspetto di novanta gradi, l’angolazione più infausta che esiste, fra Nettuno, il pianeta dei tossici, e Urano, il pianeta delle sorprese brusche». Ne sa tante, questa giovane medium che guarda l’umanità losangelina perdersi fra gambe di ragazze, che piovono addosso alla città immaginaria di Gordita Beach, e le tante droghe che le stesse consumano. È lei la voce narrante di questa trasposizione cinematografica che, chi ha letto il romanzo di Thomas Pynchon, ricamato di dialoghi affilati e meditazioni, sa partire da tre casi differenti per giungere a un’unica soluzione, all’interno della quale una scomparsa può portare a una serie di “omicidi sbagliati”. Un classico, sin dai tempi di Una donna nel lago. Ma per comprendere appieno le linee dello script, lo spettatore deve passare la maggior parte del tempo cercando di non distrarsi o lasciarsi sviare dalle sottotrame, assicurandosi così di non perdere nemmeno uno dei tanti colpi di scena che Anderson-Pynchon hanno piazzato. Se infatti un difetto ci deve essere nel settimo film del regista, questo è sicuramente una struttura narrativa complessa, lunga, molto intricata, quasi contorta, al limite del caotico e dell’inafferrabile. E tutto a causa dei molti personaggi che attraversano le inquadrature di questo trip investigativo con un registro da commedia. Insomma, non tutti i nodi vengono al pettine alla fine del noir, ma anche senza lo scheletro del racconto, senza questa ossatura necessaria al fondamento principale di un film qualsiasi, Vizio di forma è puro fascino per le atmosfere groove-funky e per l’umorismo dopehead. Dopotutto persino la trama del capolavoro Il grande sonno presenta ancora dei punti oscuri.

  Tutto inizia quando l’investigatore privato Larry “Doc” Sportello (un Joaquin Phoenix tutto basette e con una perenne espressione da uno che si è appena svegliato dal sonnellino), un tossicodipendente che non sa rassegnarsi alla ferocia del presente (ma che è abbastanza divertente per le sue assurdità da sembrare quasi malinconico, soprattutto quando si lascia andare a esasperate riflessioni sulla morte del sogno hippy), riceve la visita della sua ex fidanzata per indagare sulla misteriosa scomparsa del suo sinistro e ricco amante, un uomo sposato. Da qui in poi, parte una partita a tre che si gioca fra Doc, il vendicativo e brutale detective del LAPD “Bigfoot” Bjornsen (Josh Brolin) e la setta religiosa Golden Fang, dotata di sistemi micidiali e di ridicole dottrine ascetiche, che sono la chiave di questo (e di altri) bizzarri complotti, ideati per sfruttare al massimo i vizi, le venalità finanziarie e gli intrighi aziendali dell’era Nixon. Piedi scalzi, ricamate camicie in jeans, trasparenti vestiti a maglie, trasandate verdi giacche dell’esercito, cappelli di paglia, paranoie da post-canna, dentisti, eroina, pistole, orge: è in questo clima che Doc intraprende la sua odissea, andando a scontrarsi con neonazisti, velenosi uomini politici, speculatori terrieri di Chinatown e poliziotti corrotti. Il tutto frullato alla maniera di Anderson, tra battute macabre e disgressioni strambe, con un occhio a Il grande Lebowski. Muoiono in tanti, tuttavia dalla pioggia di sangue emerge, nell’epilogo on the road, la quieta consolazione esistenziale cui approda l’investigatore: quel suo breve discorrere con la struggente donna della sua vita, il suo amore perduto e (forse) futuro, Shasta (Katherine Waterston), la parte migliore della feminam californiana, che cattura anche il respiro erotico dello spettatore.

  Un plauso va al direttore della fotografia in 35mm Robert Elswit, allo scenografo David Crank (che fra marciapiedi e spiagge, piscine e appartamenti, evoca un mondo ormai perduto) e al compositore Jonny Greenwood (ottima la scelta delle sonorità alla Neil Young per donare strisciante e classico romanticismo) che hanno fatto di Vizio di forma un film bello e strano. Bello per una certa visiva malinconia Anni Ottanta, strano per il trionfo creativo del delirio psichedelico e caleidoscopico.

  Il fatto poi che circolino storie di indisciplinate improvvisazioni del cast (che comprende anche Owen Wilson, Reese Whiterspoon, Benicio Del Toro e tanti altri) fa di quest’opera qualcosa di meraviglioso. La visione sarà frustrante, invece, per chi non ne capisce nulla di noir e di cinema d’autore. Davvero non lo amerà, riuscirà a malapena a seguirlo, lo troverà brutto e noioso, riscontrerà personaggi e scene stupide e odierà il protagonista. Mi dispiace per voi, ma per una volta, hanno fatto un film che piace a noi: un noir investito dalla luce del sole e che rilascia tutte le virtù intrinseche alla commedia.

V Voti

Voto degli utenti: 8,3/10 in media su 3 voti.
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