R Recensione

8/10

Una tomba per le lucciole regia di Isao Takahata

Animazione
recensione di Fabio Secchi Frau

Seita, 14 anni, e la sorellina Setsuko, di soli 4, rimangono orfani in seguito ai bombardamenti americani della Seconda Guerra Mondiale.  Per ricostruire una parvenza di famiglia e normalità, Seita farà scelte radicali tra malattie, stenti e sofferenze.

   Una tomba per le lucciole inizia con il decesso di un ragazzo in una stazione giapponese e il vociare sommesso di chi, quel miserabile corpo, lo giudica vergognoso e disgustoso.

  In poche, magistrali scene, Isao Takahata mette le carte in tavola fin da subito. Qui si parla di egoismi, miseria e guerra. Qui si parla di Giappone e di indifferenza. Quest’ultima non viene mai pronunciata all’interno del film, ma si estende ovunque, come la notte che dà vita alla danza dei luminosi coleotteri.

  Una tomba per le lucciole, quindi, vola subito alto e non perde mai quota.

  Sono un’ora e quaranta di grande cinema che si reggono da sole, indipendentemente dal buon materiale di provenienza, il racconto omonimo del 1967 di Akiyuki Nosaka: la storia di un giovane trovato morto in un piazzale di una stazione nipponica e che aveva accanto a sé una lattina, con all’interno piccoli frammenti ossei appartenenti a sua sorella. Da lì, si percorre a ritroso la storia dei due fratelli fra raid aerei, la distruzione del paese, la perdita della madre, la crudeltà della famiglia che non sembra volersi prendere cura dei due orfani, la vita nei rifugi antiaerei, fino alla desolazione, la fame e la malattia del dopoguerra.

  Con questo magmatico materiale messo letterariamente insieme da Nosaka, Takahata dimostra di essere anche un eccellente sceneggiatore, creando una dramma esemplare, che si interseca con una costruzione narrativa sapiente e senza sbavature e che ha fatto versare miriadi di lacrime da occhi giapponesi e non. Il fatto che poi si tratti di un film d’animazione ne aumenta il dolore e la tristezza che si provano per i due fratelli, vittime della Seconda Guerra Mondiale. Soprattutto quando Takahata riduce il microcosmo dei protagonisti a una fogna sociale ed emotiva, dove si soffre e si muore a cielo aperto. Uno scenario già sventrato e scoperto dal cinema, ma che mai fu così crudo e sotto l’occhio spietato della cinepresa, seppur animata.

  Non perdete l’occasione di conoscere lo strazio dell’indigenza post bellica attraverso facce e corpi fatti di colore e tratti di matita, attraverso rumori e spazi che impregnano la pellicola di sensibilità. Essi sono il grande merito del film. Un film che è annoverato come il più riuscito e brillante nella carriera di Isao Takahata. Un regista che, “rossellinianamente”, mostra e non dimostra.

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