R Recensione

8/10

Il secondo tragico Fantozzi regia di Luciano Salce

Comico
recensione di Fabio Secchi Frau

Ritorna al cinema restaurato in 2k Fantozzi "Il secondo tragico Fantozzi" Da Montecarlo dove si gonfia d'acqua fino a levarsi in volo come un palloncino, a Genova dove gli si infrange in testa la bottiglia di champagne destinata al varo di una nave, a Roma dove lo segue un ferocissimo alano, ad Agrigento dove viene sparato come uomo proiettile da circo, a Capri dove provoca un terremoto andando a sbattere contro i Faraglioni... il mondo è sempre contro l'infelice ragionier Ugo.

  La ItalPetrolCemenTermoTessilFarmoMetalChimica, chiamata anche Megaditta, è la prigione di tutti gli impiegati adulatori, arrampicatori e sfaticati, che accettano ogni sadica regola che i loro temibili direttori impongono. Ma il capro espiatorio della compagnia sembra essere sempre e solo una persona: il ragionier Ugo Fantozzi (Paolo Villaggio). Prima dovrà fare il turno di notte solo per coprire le scappatelle del Megadirettore Clamoroso Duca Conte Piercarlo Ingegner Semenzana, poi sarà sorteggiato dallo stesso per accompagnarlo al Casinò di Montecarlo come portafortuna umano, presenzierà anche al non molto fortunato varo di una nave da parte della Contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare e a una delle sue cene aristocratiche con funeste conseguenze, ma soprattutto dovrà partecipare al cineforum aziendale, durante il quale si proietterà il celebre capolavoro “La Corazzata Kotiomkin” di Serghei M. Einstein (storpiatura di La Corazzata Potëmkin di Ejzenštejn). Accompagnato nelle sue avventure dal suo migliore amico il ragionier Filini (Gigi Reder), dalla “bella dell’ufficio” la Signorina Silvani e da suo marito il geometra Calboni (Anna Mazzamauro e Giuseppe Anatrelli), e dalla sua famiglia (la moglie Pina e la figlia Mariangela, interpretate rispettivamente dalla grande Liù Bosisio e da Plinio Fernando), è proprio durante l’ultima di quelle proiezioni che Fantozzi alzerà la testa contro i suoi dirigenti, fomentando una vera e propria rivoluzione dagli esiti disastrosi (pare che la scena sia tratta proprio da un fatto realmente accaduto a Villaggio in una serata al cineclub con Fabrizio De Andrè).

  Assieme a Fantozzi, Il secondo tragico Fantozzi è una storica pietra miliare della comicità cinematografica italiana. Un’opera che sfrutta la disumanità e il cinismo verso gli Anni Settanta tipici del nostro Paese, insiti all’interno dell’attore che vestì i panni del protagonista, per creare una realtà del lavoro dipendente grottesca e, per questo, leggendaria, tanto da infiltrarsi efficacemente nel nostro immaginario quotidiano.

  L’espertissimo Luciano Salce, affiancato da un’ottima squadra di sceneggiatori (Villaggio, Leonardo Benvenuti e Piero De Bernardi), già utilizzata nel capostipite di questa lunga e fortunata saga, stavolta tralasciano le velate denunce sociali, rimaste comunque sullo sfondo e che erano le fondamenta del precedente film, per amplificare le gag tragiche. Inutile dire che Villaggio, con la sua invenzione letteraria poi trasformata in cinematografica, ha creato un personaggio che è lo stereotipo dell’italiano medio. Quello che si annoia a guardare i film impegnati e culturalmente elevati, che preferisce stare a casa a guardare le partite di calcio alla tv, quello che non sembra minimamente essere interessato allo svolgimento della vita familiare che lui stesso ha creato, quello che vorrebbe fare cose “da uomini o da ricchi”, ma data la sua ignoranza, la sua volgarità, la sua superficialità, ne esce irrimediabilmente e sempre inadeguato. Fantozzi è gretto, stupido, vile… ma ha un pregio: è il perno di commedie a basso costo con un humour nero esorbitante. Il che rende Il secondo tragico Fantozzi una pellicola inestimabile. Prima di questo titolo, raramente si sarebbero viste sul grande schermo opere sovraccariche di umorismo nero, di demenzialità, di satira così inflessibile e tagliente verso non solo il mondo della “bassa borghesia”, ma anche quello intellettuale e snob dei primitivi radical chic, degli ancora aurei salotti dell’aristocrazia decaduta, degli industrialotti nostrani beceri e popolani nei loro comportamenti. L’operazione che la prima parte di film su Fantozzi compie è un circolo metasociologico certosino e raffinatissimo, volgarmente detto “la doppia presa per i fondelli”: mentre Villaggio rideva e criticava l’italiano comune, l’italiano comune rideva disgustato di Fantozzi, senza capire che Fantozzi era proprio lui e che, quindi, Paolo Villaggio rideva altrettanto disgustato delle sue condotte.

  C’è anche un forte aspetto catartico in tutto questo, Fantozzi esattamente come nel film, è il nostro capro espiatorio: si carica di tutte le brutture, di tutti gli errori e gli orrori di quella generazione per consumarli all’interno della pellicola. Sollevando, seppur in maniera illusoria, l’anima dello spettatore che, attraverso la risata, minimizza le disarmonie e le mostruosità della sua esistenza.

  Il secondo tragico Fantozzi non ha una pecca. Ottima la musica, ottima la fotografia, i costumi, la sceneggiatura, il grande cast che si formò, la regia, il montaggio. È un film corrosivo, caricaturale e beffardo dall’ironia perfetta. Al pubblico, il film piacque e piace ancora, per questo ha avuto il privilegio di diventare non tanto un capolavoro (e nemmeno il suo contrario, una cagata pazzesca), ma cultura.

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