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7/10

Pauline alla Spiaggia regia di Eric Rohmer

Drammatico
recensione di Francesco Carabelli

La quindicenne Pauline si trova a passare gli ultimi giorni di ferie assieme alla cugina trentenne Marion in Normandia. Sarà l'iniziazione al mondo degli adulti, all'amore agli intrighi e alle bugie che questo comporta...

Un film delicato questo del regista francese, nel quale si vede il tocco del maestro della fotografia spagnolo Nestor Almendros. È la storia dell’entrata nel mondo degli adulti della quindicenne Pauline che trascorre gli ultimi giorni d’estate in Normandia assieme alla cugina Marion. Per Pauline è l’occasione per conoscere il mondo, l’amore e confrontarsi con persone più esperte di lei.

L’incontro con Pierre, ex-fidanzato di Marion e con i suoi amici la farà partecipe degli intrighi, degli amori e delle delusioni di quel mondo, in cui la verità può esser sottaciuta o manipolata per i fini più diversi. Rohmer non manca di ricondurre le vicende a riferimenti filosofico-letterari, come il Chrétien de Troyes citato in apertura, ma non vi è alcuno scopo morale come in altre opere del regista francese. L’atmosfera è più leggera rispetto ai racconti morali e vi è un clima più di commedia anche se non manca mai uno spessore culturale alle opere proposte, che si riversa immancabilmente nei dialoghi.

Dialoghi che non sono una componente secondaria come in altri autori, bensì sono l’elemento portante della struttura narrativa delle pellicole di Rohmer, sin dalle prime opere. Difficile immaginare un’opera del regista transalpino che non lasci ampio spazio al dialogo, al confronto tra i personaggi soprattutto su temi che riguardano l’uomo e i rapporti tra uomini, siano essi d’amore o di odio. La naturalezza che traspare dalla interpretazione degli attori è poi un’altra caratteristica pregnante dell’opera di Rohmer, dove improvvisazione e premeditazione si fondono in un unicum che caratterizza profondamente il cinema del maestro della Nouvelle Vague.

Pauline alla spiaggia ci sorprende poi per la corporeità dei protagonisti che viene messa in primo piano, lasciando spazio al nudo, alla pelle andando oltre la naturale riservatezza che traspare dalla opere di Rohmer (eccezione potrebbero essere altre opere dello stesso regista in cui il corpo risulta parte essenziale, ma più come fonte di riflessione morale, penso qui soprattutto a Il ginocchio di Claire o a La Collezionista).

L’adolescenza è l’amore sono temi cari a Rohmer che ne permeano l’opera, ricca di meditazioni sulla ricerca della persona amata, molto spesso idealizzata: realtà e ideale si scontrano e danno vita a situazioni di sofferenza che solo alcune volte trovano una soluzione positiva. L’innamoramento e le sue dinamiche sembra interessare maggiormente l’autore francese rispetto all’amore vissuto giorno per giorno. Generalizzazioni forse, ma che ci dicono di una costanza, di alcuni temi cari all’antico redattore dei Cahiers du cinema, frutto di una formazione filosofico-letteraria che ha lasciato segni profondi e di una passione per la letteratura che traspare in ogni momento.

Uno stile asciutto, essenziale, cinematograficamente parlando caratterizza i movimenti di macchina e la costruzione dell’intreccio, senza lasciare spazio ad ipotesi o a dubbi e incertezze. Colori tenui, ispirazioni figurative da Matisse, inquadrature statiche che tendono a costruire l’opera come una successione di quadri dai quali emerge un equilibrio e una dovizia di particolari, quadri in cui coesistono i personaggi  che molto spesso appaiono nella stessa inquadratura mentre svolgono le loro diverse funzioni. Un’opera gradevole, mai sopra le righe, che accompagna lo spettatore per novanta minuti lasciandogli il gusto per l’intreccio e per la delineazione psicologica dei personaggi, diversamente caratterizzati e talora compartecipi dello sguardo distaccato ed esterno dello spettatore.      

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