A Alain Resnais (1922-2014)

Alain Resnais (1922-2014)

È morto sabato sera, 1° marzo, a Parigi, il regista Alain Resnais (Vannes, Morbihan, 1922). Di recente aveva partecipato, in concorso, alla 64ma edizione della Berlinale con il film Aimer, boire et chanter, conseguendo l’Alfred Bauer Prize (destinato all’opera che apre nuove prospettive nel cinema), sedici anni dopo aver ricevuto l’Orso d’Argento alla Carriera. Le sue opere, sin dai primi cortometraggi in forma di documentario (uno su tutti, Nuit et brouillard, Notte e nebbia, ’55, basato su un testo scritto dal romanziere e poeta Jean Cayrol, testimone diretto degli orrori dei lager nazisti), hanno aperto la strada ad inedite sperimentazioni, tanto nelle modalità espositive che nella forma narrativa, offrendo innovativo risalto cinematografico alle parole e al rapporto spazio-tempo, grazie anche ad un’opportuna sinergia fra montaggio ed una certa scioltezza nei movimenti della macchina da presa. D’altronde la sua formazione cinematografica si è svolta all’interno di rilevanti fenomeni culturali avvenuti in Francia fra gli anni ’50 e ’60, quali la Nouvelle Vague in ambito cinematografico e il Noveau roman relativamente alla letteratura, ambedue volti a mettere in discussione i tradizionali parametri di riferimento nei rispettivi settori d’appartenenza.

La Nouvelle Vague in particolare prese piede tra la primavera del ’59 e l’autunno del ’63, e tendeva a far sparire, in nome della “politica degli autori” e dei diritti del regista, padrone del linguaggio cinematografico e quindi autore del film, l’accademismo ereditato dagli anni ’30, rifacendosi a nuovi modelli di riferimento (tra i quali Roberto Rossellini). La macchina da presa tornava nelle strade, si riprendeva contatto con la realtà, abbandonando l’artificio degli studi cinematografici, si cercavano attori nuovi, che potessero dare una patina di autenticità ai personaggi interpretati. La sceneggiatura non veniva poi ritenuta vincolante, almeno relativamente ad una rigida logicità spazio-temporale, e si dava preferenza ad una fotografia vicina al documentario, insieme ad una illuminazione il più possibile simile alla luce naturale. Resnais però, pur inserendosi nel suddetto movimento di rinnovamento, allo stesso tempo se ne distaccava per una maggiore intellettualità, volta ad un assimilazione del cinema con altre arti, la letteratura in particolare, ponendosi nel gruppo dei cineasti detti della Rive Gauche, improntati ad una minore cinefilia rispetto ai cineasti ex critici cinematografici dei Cahiers du Cinema, quali, ad esempio, Francois Truffaut.

Nel primo lungometraggio del regista, Hiroshima mon amour, 1959, scritto da Marguerite Duras, è evidente la diversità dello stile rispetto ai colleghi dei Cahiers, incentrato essenzialmente sulla rappresentazione, espressa a livello soggettivo e documentaristico, di un tema caro a Resnais (già fulcro narrativo della suddetta produzione documentaria), lo scontro fra memoria storica ed oblio, il presente e il passato che si intersecano fra di loro, così come rappresentato in scena dall’attrice francese (Emanuelle Riva) che arriva ad Hiroshima per girare un film contro la guerra e si innamora di un architetto giapponese (Eiji Okada), mantenendo ancora vivo il ricordo del soldato tedesco da lei amato durante l’occupazione. Si delinea quindi nel corso della narrazione, che alterna con disinvoltura momenti temporali diversi, monologhi e dialoghi, un particolare flusso di coscienza il quale permetterà alla donna una sorta di riconciliazione, con se stessa e chi gli sta accanto, che da particolare assumerà consistenza e valenza universale. La pellicola vinse il Premio della Critica Internazionale al Festival di Cannes. Le suddette tematiche si ripresenteranno in L’année dernière à Marienbad (L’anno scorso a Marienbad, ’61, Leone d’Oro alla 26ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia), sceneggiato da Alain Robbe-Grillet.

In tal caso però a predominare è un afflato immaginifico, in virtù di una particolare confluenza fra sogno e realtà, con salti temporali che, oltre a presente e passato, coinvolgono anche il futuro, in una struttura narrativa allo stesso tempo ambigua e labirintica (l’emblematica sequenza finale), mentre la sensibilità per i temi storici farà preponderante ritorno in opere come Muriel ou le temps d’un retour (Muriel, il tempo di un ritorno, ’63, ancora una figura femminile a stagliarsi su di uno sfondo bellico, la guerra d’Algeria), La guerre est finie (La guerra è finita, ‘66), e porterà Resnais a partecipare al film collettivo Loin du Viêtnam (Lontano dal Vietnam, ‘67) e poi nel 1968 ai cinétracts militanti del Maggio francese. La creazione d’inediti sentieri narrativi, cui contribuì lo scrittore Jacques Sternberg, con Je t’aime, je t’aime (Je t’aime, je t’aime ‒ Anatomia di un suicidio, ‘68), pur nella riproposizione, estremizzata, dei contenuti propri del regista, costò a Resnais, causa l’insuccesso del film, una stasi lavorativa che durò sino al ’74, quando presentò il biografico Stavisky (Stavisky il grande truffatore), anche se, per un recupero in grande stile a livello creativo, dopo film comunque riusciti (fra i quali Providence, ’77 o Mon oncle d’Amérique, ’81), occorrerà attendere il 1984, con La vie est un roman (La vita è un romanzo), ricco di intuizioni felicemente intarsiate a livello visivo e narrativo.

Andando avanti negli anni, seguendo, per ragioni di brevità espositiva, il tema della discontinuità temporale caro all’autore, tralasciando anche molti riconoscimenti ottenuti, la genialità di Resnais non veniva certo a scemare, nella continua capacità di stupire ed ammaliare. Ecco quindi Smoking/No Smoking, film gemelli del ’93, preziosa ed ardita costruzione di derivazione teatrale (Intimate Exchanges, Alan Ayckbourn), piacevoli contaminazioni artistiche quali il musical del ’97 On connaît la chanson (Parole parole parole …), l’operetta Pas sur la bouche, 2003, o pellicole capaci di conciliare, con un ritmo quasi musicale, toni ironici ed amari come la commedia Cuori (Coeurs, 2006, Leone d’Argento alla 63ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia). Ci lascia quindi un autore completo, estremamente poliedrico ed inventivo, capace di rendere funzionale il rovesciamento della tradizionale logica narrativa cinematografica alla visualizzazione in scena di personaggi alle prese con la propria condizione umana, in un’alternanza di memoria ed oblio, reale ed irreale, nella perenne contraddizione che ci spinge ad inseguire i nostri ricordi e i nostri sogni, la loro indeterminatezza, il loro lambire come spuma del mare la riva della quotidiana esistenza, dalla notte dei tempi un confine sin troppo labile.

Dal blog Sunset Boulevard

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