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5/10

Wszystko, Co Kocham regia di Jacek Borcuch

Drammatico
recensione di Francesco Carabelli

La storia di una punk rock band negli anni dello stato marziale in Polonia. La voglia di protestare contro le storture di un regime e di sentirsi liberi. La storia di un amore reso impossibile dalle divisioni politiche interne tra comunisti e sostenitori di Solidarnosc.

Tentando di sorprenderci con una fotografia che punta sulle inquadrature insolite e inframmezzando il corso degli eventi con paesaggi da cartolina sulla natura del mar Baltico, il film del polacco Jacek Borcuch resta alla superficie degli eventi che caratterizzarono l’inizio degli anni ’80 in Polonia, con l’instaurazione dello stato marziale dopo le proteste e gli scioperi promossi da Solidarnosc.

Lo spunto è la narrazione delle vicende di un gruppo di ragazzi che suonano musica punk e che con le loro canzoni si oppongono al regime comunista. La storia di per sé potrebbe essere originale, ma è il modo di raccontarla che risulta poco convincente, facendo assimilare questo film più ad una pellicola americana a base di ammiccamenti sessuali e rock and roll.

La pellicola è ben distante da quei capolavori del passato della cinematografia polacca, che affrontarono con altra prospettiva il problema della protesta. Manca quello spessore morale e politico che si ritrova nei film di Kieslowski (Destino cieco, Senza fine) o di uno Zanussi e tutto viene banalizzato da una regia lineare che non approfondisce la psicologia dei personaggi, ma che si ferma alla superficie, incapace di dare spessore e veridicità agli eventi, puntando più sulla compiacenza di un pubblico giovanile.

Se il cinema di oggi ha dimenticato i valori di ieri, è incapace di ricreare l’atmosfera di un’epoca e stilisticamente lascia spazio a molte sbavature, puntando più sulla realizzazione di un prodotto vendibile sul mercato che non sulla veridicità di quanto raccontato.

Anche le scene dove si lascia spazio alla “piccola morte”, mancano di quella delicatezza e passione positiva che caratterizzava il cinema dei maestri polacchi, avvicinandosi di più ad un prodotto di consumo che non lascia spazio al mistero, al non detto, limitandosi ad una pratica ostensiva atta solo a solleticare le pulsioni dello spettatore.

Quanto di più deludente si potrebbe aspettare da una pellicola che avrebbe avuto tutte le possibilità di operare in modo originale per parlarci di eventi che hanno caratterizzato la storia di una nazione, ma anche la fine di un’epoca. Cosa resta di quella libertà per la quale il popolo polacco e tutti i popoli dell’est europa hanno combattuto?

Rimane forse solo un appiattimento sul consumismo e sulla prostituzione dei valori?

Spero che il cinema polacco, guidato dai suoi maestri di ieri ritrovi presto la via dell’originalità che lo fece conoscere al di fuori dei suoi confini nazionali. È ridicolo che un paese di una tale cultura, nata dalla sofferenza si riduca a confezionare film di maniera, incapaci di guardare con profondità alla propria storia, incapaci di far emergere stupore e passione nello spettatore.

Ciò che emerge dal film è più la crisi dei giovani di oggi che impersonano i giovani di ieri, che non l’orgoglio di un popolo e di una nazione.

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