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7/10

Ida regia di Pawel Pawlikowski

Drammatico
recensione di Tommaso Tschuor

Polonia - 1962. Anna (Agata Trzebuchowska) è una giovane orfana cresciuta in un convento, non sa nulla riguardo le proprie origini e sta per divenire suora. Poco prima della professione solenne la Madre Superiora invita Anna ad andare a conoscere sua zia Wanda (Agata Kulesza), ultimo parente ancora in vita della giovane. Attraverso il cinismo e la schiettezza della zia, Anna scoprirà non solo di chiamarsi in modo diverso, Ida, ma anche di essere ebrea. Le due donne si metteranno in viaggio alla ricerca della verità sulla loro famiglia, un viaggio che darà modo alle due protagoniste di confrontarsi sui grandi temi che da sempre contraddistinguono l'uomo, il concetto di fede, di famiglia, di vita e di morte.

“E se quando arriveremo scoprirai che non c'è nessun Dio?

Questa una tra le tante domande che Wanda propone alla nipote Ida, questa una tra le tante domande che il regista polacco Pawel Pawlikowski, già noto per My Summer of Love e La Femme du Vème, tenta di affrontare nel suo nuovo film, “Ida”. Il film, girato in bianco e nero in formato 4:3, ha la rara capacità di far nascere nello spettatore interrogativi e riflessioni profonde senza coinvolgerlo mai emotivamente. In Ida non c'è retorica, non c'è enfasi, non c'è effetto catartico e spesso situazioni forti che in una qualsiasi altra pellicola verrebbero presentati in modo da colpire dritti allo stomaco, in Ida per così dire: accadono silenziosamente. Ecco dove sta la delizia e la delicatezza di questo film, nelle lunghe inquadrature fisse, nella strana disposizione dei personaggi (spesso posti ai lati dell'immagine), nel viaggio di due donne apparentemente agli antipodi vi è l'idea dello "scoprire" ossia del mettere in luce quella che è la propria vita.

Di fondamentale importanza sono gli incontri che avvengono tra i personaggi, primo tra tutti quello tra Ida e Wanda, un'orfana in procinto di diventare suora che non ha mai avuto la possibilità di confrontarsi con una realtà che non fosse quella esistente all'interno delle mura del convento in cui è cresciuta e un'ex Procuratore le cui pene inflitte ai così detti “Nemici del popolo” le hanno fatto guadagnare il soprannome di “Sanguinaria”. Ida appartiene ad un mondo che Wanda non riesce a concepire, viene stuzzicata dalla zia ad assaporare una vita che appare poco invitante, visti i modi grezzi, i portaceneri riempiti ed i bicchieri vuotati dall'unica parente che le è rimasta.

Ma l'opportunità di provare quella vita che il destino le ha negato si presenta con Lis (Dawid Ogrodnik), sassofonista Jazz che riempe i profondi silenzi del film con le musiche dell'epoca, tra cui alcune italiane come “24 mila baci”, “Milosc w Portofino” ( riadattamento di “Love in Portofino” di Fred Buscaglione) e altre come “O Jimmy Joe” e soprattutto l'eterna “Naima” di John Coltrane.

“E poi?

E poi non resta che Agata Trzebuchowska, al suo esordio non può non stupire per la sua bravura e per quell'aura di innocenza che sprigiona ad ogni inquadratura: pare fatta apposta per questo film. Gli occhi dell'attrice esprimono una forte profondità in grado di toccare l'animo dello spettatore senza mai scuoterlo più del dovuto.

Ida è sicuramente un film da vedere, Pawlikowski propone una Polonia filtrata attraverso i propri ricordi di infanzia, dove politica e storia fanno da contorno alla vita degli individui, ed è in grado di risultare sempre delicato e mai impetuoso rimanendo nello spazio delle domande senza mai tentare risposte scontate oppure banali.

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