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7/10

Il Missionario regia di Roger Delattre

Commedia
recensione di Alessandro Pascale

Dopo sette anni passati in prigione Mario Diccara è libero. Non avendo regolato tutti i suoi conti con la malavita, chiede alla sola persona di cui si fida, suo fratello Patrick, di trovargli un nascondiglio dove rimettersi in sesto per qualche tempo. Patrick, che è un prete, gli suggerisce di raggiungere Padre Etienne in un paesino dell'Ardèche. Mario indossa una tunica da prete e si mette in viaggio. Ma al suo arrivo incominciano le noie: Padre Etienne è da poco morto e gli abitanti del paesino pensano che Mario sia il nuovo parroco.

Che l’opera di Roger Delattre non sia particolarmente originale dal punto di vista contenutistico e formal-stilistico è stato già ben evidenziato da gente che conosce molto meglio del sottoscritto la storia del cinema. Però questo atteggiamento critico mal si concilia con la struttura de Il missionario, commedia francese brillante e travolgente, dagli effetti comici incantevoli in grado di scatenare una risata assicurata.

Siamo molto più in là rispetto a opere tutto sommato sterili e un po’ pacchiane come Giù al nord. Il missionario riprende un filone ben preciso (il prete un po’ caciarone, rozzo, violento, burbero ma simpatico), che affonda le sue origini nel ciclo del glorioso Don Camillo. La differenza è che a vestire i panni del prete è Mario Diccara (Jean-Marie Bigard), appena uscito di galera dopo sette anni per un furto di gioielli.

Le tecniche dello straniamento e del doppio si mescolano ripetutamente, creando effetti comici dovuti al ribaltamento dei ruoli (il vero prete cade sulla via della perdizione, mentre il falso prete con le sue modalità riesce a risolvere molte situazioni complesse in un piccolo paesino delle Alpi). Il segreto di Delattre non è una particolare maestria tecnica alla regia, ma la saggia decisione di far parlare una sceneggiatura brillante e carica di spunti vivaci, oltre che di riuscire a sfruttare al massimo le doti attoriali del protagonista Jean-Marie Bigard (che recupera sorprendentemente molte delle qualità di Jean Reno, tra cui la capacità di fondere facciata rude e intimità bonaria) e dell’esordiente David Strajmayster, la cui discesa spirituale nel peccato strappa diversi sorrisi.

Al di là del finale in salsa rosa Il missionario è quindi un’opera frizzante, ben ritmata e vivace, con una buona caratterizzazione dei personaggi e un’ottima verve comica che riesce nel piccolo miracolo di non scadere nel ridicolo.

V Voti

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