La Piccola Bottega Degli Orrori regia di Roger Corman
HorrorSeymour è un ragazzo timido ed imbranato, oppresso da una madre ipocondriaca, che lavora come garzone nel negozio di fiori del signor Mushnick, situato nei bassifondi di New York, frequentato da gente piuttosto bislacca; il giovane sembra andar incontro a maggior fortuna grazie ad un’insolita pianta da lui coltivata con dedizione ed amore, chiamata Audrey 2, in omaggio alla commessa del suddetto negozio, della quale è innamorato. Peccato che la graziosa piantina appaia refrattario ad ogni concime che non sia sangue umano…
Roger Corman (Detroit, 1926) è da considerarsi tra gli autori e produttori americani più geniali e versatili, capace di volgere lo sguardo al cinema degli esordi, colto nella sua primigenia essenzialità visiva suscitante emozione, divertimento o semplice stupore, e, allo stesso tempo, di andare oltre, partendo dalla semplice intuizione di qualsivoglia tendenza ed arrivando alla sua realizzazione pratica, facendo tesoro tanto di valide idee espresse nelle sceneggiatura, quanto degli esigui budget a disposizione, spesso ridicoli rispetto a quelli delle grandi majors.
Tra i suoi film come regista (l’esordio è del ’55, Five Guns West), ricordando come nella qualità di produttore abbia consentito il debutto, tra gli altri, di “mostri sacri” quali Francis Ford Coppola (Dementia 13, ’63), Martin Scorsese (Boxcar Bertha, ’72) o Joe Dante (Hollywood Boulevard, ’76, diretto insieme ad Allan Arkush ), ho scelto La piccola bottega degli orrori perché a mio avviso contiene i tratti salienti di tutta la sua produzione: un budget di 30mila dollari, lo sfruttamento di una scenografia già esistente, il tempo necessario a girarlo, ormai assunto a leggenda, circoscritto in due giorni (e una notte), l’originalità dello script (Charles B.Griffith), inedita contaminazione tra noir, commedia ed horror, giocando con il surreale e il grottesco.
Girato per gran parte in interni, con un forte impatto teatrale, il film sfrutta la sopra citata contaminazione con spavalda disinvoltura e il tocco leggiadro di un umorismo estremamente acre, volto a connotare una satira sociale visualizzata con una certa sapidità, sia nelle figure di contorno (Mel Welles, il pomposo signor Mushnick; Dick Miller nei panni di un cliente che adora fare uno spuntino con i garofani, in attesa della cena a base di gardenie fritte), che nel protagonista Seymour (Jonathan Haze), perdente in cerca di riscatto sociale che resterà vittima di se stesso.
La regia di Corman fa sì che i vari elementi più che integrarsi tra di loro nel corso della narrazione vengano semplicemente a delinearsi sino a contrapporsi, caratteristica che troveremo in varie pellicole di genere degli anni ’70 e ’80, dando vita ad un horror soprattutto di sensazione, visto che sul raccapriccio predomina un ben più evidente senso dell’assurdo, con invito ad accettarlo nella sua compiuta concretezza; da segnalare, infine, l’esordio di tal Jack Nicholson nella parte di un masochista, “vittima” di Seymour improvvisato dentista, che già sfodera il suo ghigno da “Lupo Cattivo”, e, a conferma della validità del soggetto, la riproposizione, ’82, in chiave musical off Broadway (Howard Ashman e Alan Menken) , da cui derivò, ’86, il forse più famoso film di Frank Oz.
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