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R Recensione

8/10

Pelé regia di Jeff & Michael Zimbalist

Biografico
recensione di Alessandro Pascale

La storia del calciatore Edson Arantes do Nascimento divenuto celebre in tutto il mondo come Pelè, dall'infanzia difficile nelle favelas di San Paolo, il rapporto con il padre Dondinho, fino alla vittoria del suo primo mondiale nel 1958 con la nazionale brasiliana a soli 17 anni.

È con film come questo che ci si può riappacificare con il calcio. Quello che è probabilmente il miglior film sul tema dai tempi de Il maledetto United (2009), non è però soltanto un'opera eccezionale in cui a troneggiare in primo luogo sono scenografie, fotografia, costumi ed una capacità di raccontare visivamente il gioco in maniera sorprendentemente vivace e gioiosa. Pelé è anche un film che racconta lo spirito di un popolo, la sua miseria materiale e al contempo la sua voglia di vita e fantasia, rappresentata dal concetto di “ginga”, fatto risalire addirittura alle origine schiaviste delle popolazioni africane deportate sul continente sudamericano ai tempi del colonialismo portoghese.

Il racconto si dipana infatti su un triplice livello tematico: la crescita individuale ed emotiva di Pelé, il rapporto contrastato e difficile con una famiglia alle prese con la miseria delle favelas, l'emancipazione di una nazione che accetta la propria identità culturale rifiutando progressivamente l'esito eurocentrico a cui lo vorrebbe sottomesso il giudizio razzista del mondo occidentale. In quest'ultimo percorso Pelé assume la natura di un film anti-coloniale, anzi decolonizzato. Non è un caso d'altronde che questo processo venga portato a compimento durante i mondiali del 1958, in un periodo di riscatto globale in cui decine di paesi africani ed asiatici lottavano proficuamente per ottenere l'indipendenza politica dai dominatori europei.

Il percorso avviene anche attraverso una critica serrata al concetto di razionalità freddo e scientifico all'epoca in vigore (nel mondo calcistico ma non solo), passando piuttosto per una rivalutazione quasi romantica del sentimento, della fantasia, dell'estrosità, del gioco fine a sé stesso; elementi incarnati in pieno dal giocatore Pelé, che quando prende un pallone tra i piedi riesce a dimenticare e a far dimenticare a milioni di persone le sofferenze provate ogni giorno in una vita priva di gratificazioni individuali. Ciò che in altri tempi (come il nostro) rappresenta una forma di alienazione collettiva con cui si tende a cercare ragioni di vita per noia e deficienza mentale, in questo caso assume piuttosto la forma di riscatto e identificazione sociale con un modesto ragazzo cresciuto nella povertà assoluta, obbligato a giocare con palloni composti con una serie di stracci appallottolati e senza scarpe, capace a umiliare perfino i giocatori bianchi di buona famiglia borghese abituati ad avere ogni possibilità economica e tutto l'agio necessario per realizzare qualsiasi proprio capriccio.

Straordinaria soprattutto l'interpretazione del piccolo Leonardo Lima Carvalho, che interpreta Pelé “bambino” all'età di 9 anni: raramente si trova un tale carisma, una presenza scenica, una semplicità di stampo neorealista, accompagnata dalla capacità di coniugare registri comici e drammatici. Bravo anche il Pelé “adolescente” interpretato da Kevin de Paula, il quale soffre però maggiormente una scarsa varietà nella mimica facciale, restando ad un livello più statico di interpretazione, mostrando il meglio di sé soprattutto nelle scene sportive.

Interessante e ben sviluppato anche il rapporto con la famiglia, nello specifico sia con la madre che con il padre, per quanto sia forse stato probabilmente romanzato un po' soprattutto nei riguardi di quest'ultimo. Ma è tutto il cast a funzionare bene fin dalle prime scene del film. A gestire il tutto con profitto è l'ottima e vivace regia dei fratelli Jeff e Michael Zimbalist, che danno il meglio proprio nelle scene calcistiche, ricostruendo puntigliosamente anche le azioni che resero celebre Pelé e la nazionale brasiliana nei mondiali svedesi del '58. Un film da non perdere.

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