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7/10

Lettera a tre mogli regia di Joseph L. Mankiewicz

Commedia
recensione di Gloria Paparella

Tre mogli devono trascorrere il pomeriggio fuori città. La mattina ciascuna di loro riceve una lettera dove una donna dichiara di essere scappata col rispettivo marito. Le mogli stanno in ansia per tutto il giorno; la sera, quando rientrano a casa, due trovano il marito, la terza lo vede arrivare in ritardo e crede di essere stata tradita. La scappatella, seppure breve, l'ha fatta invece un altro che se n'è subito pentito.

 

 

Grazie al progetto di distribuzione di film classici restaurati "Happy Returns!” di Lab 80 film, Lettera a tre mogli di Joseph L. Mankiewicz sarà di nuovo al cinema in versione restaurata digitale.

Commedia deliziosa tratta da un romanzo di John Klempner, Lettera a tre mogli ha al centro della trama la lettera che Eva Ross (che nel film non compare mai) spedisce alle sue tre migliori amiche una lettera cumulativa in cui annuncia che lascerà definitivamente la città portando con sé uno dei loro mariti.

Non risparmia praticamente nessuno il cinema di Mankiewicz per sua stessa natura. Un cinema di animalesca eleganza che non si stanca mai di scrutare con l'occhio implacabile la natura umana. E questa pellicola non fa certo eccezione proprio ad iniziare dalla geometricità d'impianto della sceneggiatura e dall'abbagliante sapienza registica nello sfruttarne le pieghe più sottili. Così non ci si stupisce che il film di Mankiewicz abbia raccolto due statuette Oscar "pesanti" come quella per miglior regia e sceneggiatura. Girato due anni dopo il fantastico Il fantasma e la signora Muir e un anno prima del capolavoro assoluto Eva contro Eva (e per una suggestiva coincidenza Eva Ross è il nome della dark lady di Lettera a tre mogli…) dimostra, ancora una volta, anche le doti di geniale direttore d'attori capace di attraversare registicamente tutti i generi nell'arco della sua carriera e utilizza la sua arma preferita: il flashback. La macro-storia esemplare si sviluppa intrecciando micro-storie passate e micro-storie presenti con incastro e tempistica ad orologeria, e il film è così pienamente riuscito, con una cura dei dialoghi, ora brillanti (si ride più di una volta, strepitosa la cameriera di Rita e George, la grande caratterista Thelma Ritter) ora corrosivi, cinici.

E la morbidità dello humour allevia solo apparentemente la serietà della critica sociale del regista-sceneggiatore rilanciandola con inquietanti sfumature come nel non conciliante finale col bicchiere frantumato.

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