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9/10

Clouds of Sils Maria regia di Olivier Assayas

Drammatico
recensione di Elena Rimondo

La famosa attrice Maria Enders (Juliette Binoche) viene chiamata a recitare in “Maloja Snake”, lo stesso dramma che l’aveva resa celebre vent’anni prima. Allora, interpretava il ruolo della giovane Sigrid, stagista spregiudicata che spinge al suicidio Helena, la titolare quarantenne dell’azienda. A Maria viene ora proposto di interpretare Helena, figura per la quale prova disprezzo. La consapevolezza del passare del tempo incrina il rapporto tra Maria e la sua giovane assistente (Kristen Stewart), complice l’isolamento della montagna e le torbide passioni messe in scena in “Maloja Snake”.

Clouds of Sils Maria è un film che parla di qualsiasi cosa, ma principalmente della vita, nonostante ruoti attorno ad un’opera da mettere in scena. L’ultima fatica di Oliver Assayas è un’opera metacinematografica e metateatrale allo stesso tempo perché cancella qualsiasi distanza tra teatro e cinema. Nel corso del film si fa più volte riferimento a “Maloja Snake”, il testo teatrale con cui si deve confrontare vent’anni dopo Maria Enders, come ad un film; il suo autore, Wilhelm Melchior, è stato sia drammaturgo che regista; la stessa Maria è sia un’acclamata attrice di teatro che una star di Hollywood. Il cinema, sembra quasi voler affermare con forza Assayas, è davvero il degno erede del teatro per la sua capacità di rappresentare la vita in maniera più vera della vita stessa. Nel film i tre piani – vita, teatro, cinema – si confondono a tal punto che districarli è un’operazione non solo impossibile ma del tutto insensata perché la vita stessa è, purtroppo o per fortuna, teatro. È per questo che, quando Maria prova le battute con l’aiuto della sua assistente Valentine, è a volte difficile distinguere se le due stiano recitando oppure no. Anzi, la confusione tra il copione di “Maloja Snake” e di Clouds of Sils Maria aumenta man mano che il film procede, che Maria si cala sempre più nel personaggio di Helena o che il personaggio trascina Maria a forza verso di sé. O, forse, man mano che Maria scopre di essere sempre stata Helena, di aver sempre contenuto dentro di sé due anime complementari, quella di Sigrid e quella del suo capo quarantenne.

Clouds of Sils Maria è anche un film sulla difficoltà di interpretare un’opera. Ad incrinare il rapporto tra Maria e la sua assistente sono proprio le divergenze a proposito della personalità di Helena, disprezzata dalla prima e difesa dalla seconda, di certi blockbuster contemporanei e, soprattutto, delle capacità recitative di Jo-Ann Ellis, l’attrice che è stata scelta per interpretare Sigrid. Un’interpretazione univoca non esiste, poiché ognuno tende a proiettare la propria personalità su storie e personaggi. Maria avverte il personaggio di Helena come respingente perché la costringe ad affrontare sé stessa e le sue paure, in particolare del tempo che passa e della vecchiaia.

Il tema dell’attrice in declino terrorizzata dall’avvento del nuovo, incarnato in un nuovo idolo delle folle, è un classico del cinema: ricordiamo, a proposito, Viale del tramonto di Billy Wilder, Eva contro Eva di Mankiewicz e, da ultimo, The Artist di Hazanavicius. Qui però il problema di Maria è di vivere fuori dal tempo, più che di essere un’attrice troppo legata al suo tempo e ad un certo tipo di recitazione, come gli attori dei film muti. Più volte la sua assistente le rimprovera di non interessarsi abbastanza di quel che accade nel mondo e di come funzioni la vita reale. Ma che cos’è la vita reale, secondo l’assistente e quelli della sua generazione? Mai si era visto film dove smartphone, tablet, blog, app e il motore di ricerca principe fossero così onnipresenti. Le relazioni tra i personaggi sono sempre affidate a messaggi, telefonate e mail, con il risultato che l’unica relazione vis-à-vis, quella tra Marie e Valentine, ha effetti dirompenti. Nulla ci è dato sapere invece del marito di Maria o del motivo per cui la relazione tra Valentine e un fotografo di grido non funzioni. Tutti i rapporti (im)personali mostrati nel film sono di una labilità assoluta, il che non deve meravigliare più di tanto, visto che la conoscenza delle persone è affidata ad una lista di immagini su Google.

Tuttavia, il nuovo non coincide necessariamente con un’attrice sempre nei guai alla Lindsay Lohan. Il film si chiude con una nota di speranza: da un lato, Maria fa pace con Helena e, quindi, con sé stessa, affrontando il tempo che passa senza rancore. Dall’altro, il nuovo compare anche sotto forma di un regista esordiente che si definisce anch’egli fuori dal tempo e si rifiuta di conformarsi ai principi su cui si fonda la sua generazione, ovvero la fama a tutti i costi e l’edonismo sfrenato. Per esempio, che cosa spinge la rivale in amore di Jo-Ann Ellis, un’artista acclamata (non si sa per quanto) a tagliarsi i polsi se non il desiderio di attirare l’attenzione dei media? Al narcisismo imperante solo una cosa può far fronte, ovvero la grandiosità della natura. In un mondo in cui la smania di cambiare – cellulari, fidanzati/e, auto, case – regna sovrana, la montagna sta ad indicare che la percezione del tempo è relativa. La montagna impone i propri ritmi; per vedere il serpente di Maloja, impressionante fenomeno atmosferico, bisogna saper aspettare pazientemente. Ironia del destino, Maria, lei che era stata resa famosa da “Maloja Snake”, per poco non riesce ad assistere al fenomeno. A noi spettatori, per fortuna, non viene preclusa la visione del serpente che si snoda tra i monti, sulle note soavi del “Canone” di Pachelbel.

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