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7/10

Cadillac Records regia di Darnell Martin

Drammatico
recensione di Alessandro Pascale

Ambientato nell'universo musicale della Chicago degli anni 50, il film segue l'ascesa e il declino dell'etichetta musicale Chess Records e ci fa rivivere l'epopea di personaggi leggendari come Muddy Waters, Leonard Chess, Little Walter, Howlin' Wolf, Etta James e Chuck Berry.

Cadillac Records è un film che un critico cinematografico come Bazin avrebbe stroncato a prescindere. Questo perché il grande critico francese aveva in testa il pensiero che un regista oltre a dare un’impronta personale al film (negli anni ’50 è ormai assodato l'assioma regista-autore) dovesse sfruttare tutte le tecniche più recenti mostrando di possedere ogni segreto delle scoperte tecnologiche utili per il cinema.

Ovviamente Bazin non poteva immaginare che un giorno si sarebbero fatti dei film interi in maniera pressochè totalmente virtuale grazie alle tecnologie digitali. Ciònonostante quel principio, valevole per ogni altra arte da tempi immemori, si affermò da quel giorno una volta e per sempre anche nel cinema. Per questo un film come Cadillac Records sarebbe da stroncare pressochè istantaneamente, visto il suo perfetto formalismo che qualcuno potrebbe anche bollare come becero calligrafismo.

Questo perché il film si inserisce in una lunga fila di biopic musicali di lontana origine, che negli ultimi anni paiono uno dei filoni più consistenti intrapresi a Hollywood, soprattutto in vista di uno spietato recupero di eroi ed eroine del rock “storico” e ormai leggendario degli anni ’70. Tutti i grandi registi americani si sono cimentati nel genere: Clint Eastwood con Bird, Spike Lee con Mo’ Better Blues, Oliver Stone con The Doors e via dicendo. Recentemente abbiamo avuto film “artistici” come Control di Corbijn e Walk the line di Mangold mentre si vocifera di film su Frank Sinatra e Jimi Hendrix.

Eppure è vero che dopo Walk Hard di Kasdan, che prendeva allegramente per i fondelli il genere, è difficile restare seri e impassibili al pensiero di guardare un film che segua la solita convenzionalità stilistica ormai nota. Si dica quello che si vuole insomma, ma resta il fatto che Cadillac Records fila bene, anzi fila proprio che è una meraviglia. Gli si riconoscono certo un po’ di limiti anche extra-stilistici (a cominciare dall’eccessivo patetismo e languore che spesso prende la mano, o il fatto di sfruttare fin troppo facilmente l’accattivante clima musicale grazie alle straordinarie canzoni che hanno fatto la storia) ma di fatto non si può dire che Darnell Martin abbia fatto un brutto lavoro.

Niente di geniale o straripante ma un compitino ben svolto che sfrutta una sceneggiatura accattivante e una serie di personaggi-intepreti che non possono non far innamorare lo spettatore: dal Muddy Waters (Jeffrey Wright) partito dai campi per far portare il blues nelle case della gente all’Etta James (una straordinaria Beyoncé Knowles, roba che non ci si crede) che incanta e sorprende non solo per voce (vabbè) ma soprattutto per una recitazione davvero sentita e sopraffina. E giù giù fino a Chuck Berry (Mos Def), Willie Dixon (Cedric the Entertainer), Little Walter (Columbus Short), l’ululante un pò pazzoide Howlin’ Wolf (Eamonn Walker) e ovviamente l’uomo attorno a cui ruotano tutte le vicende: Leonard Chess (Adrien Brody), padre della Chess Records, storica casa discografica di Chicago fondamentale per la storia della musica nel ventennio 50-60s.

Ne viene fuori un ritratto sentito ed emozionante di una scena e di un manipolo di artisti molto più umani di quanto si potrebbe pensare. Non siamo ai livelli di 24 Hour Party People insomma, ma si gode quanto basta.

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simone coacci (ha votato 4 questo film) alle 11:40 del 23 luglio 2009 ha scritto:

Come al solito, dopo ogni cambio della guardia alla Casa Bianca, Hollywood si dedica alla captatio del sentimento comune della maggioranza. In questo senso, "Cadillac Records" è lo spot superficiale e il manifesto pubblicitario del ragionevole ottimismo dell'amministrazione Obama riletto attraverso la storia del rock. Bianchi e neri che si scaldano al sacro fuoco della musica e del capitalismo dal volto umano (ma si, "siamo una famiglia", t'inchiappetto le royalties e uso il tuo compenso per corrompere i dj bianchi, ma i fondo siamo tutti uguali) e, nonostante qualche screzio, trionfano l'integrazione (fateci caso: da come il film descrive gli anni 50 sembra che i cattivi siano solo gli sbirri e i padroni dei ristoranti, come se la segregazione non avesse radici sociali e culturali profonde e non facesse comodo a tutti, democratici inclusi, ma vabè) ed i buoni sentimenti. Vabè, lasciamo stare la paraculata socio-politica ed entriamo nel merito del film.

La sceneggiatura segue la strada tracciata da altri recenti biopic (che è la nuova moda di hollywood, sempre più senza idee, dopo i remake e i film tratti dai videogiochi ecco a voi le biografie di chiunque, foss'anche dell'essere più inutile sulla faccia della terra, ora ne voglio una di Monica Legwinsky, cazzo) come "Ray" o "Walk The Line": ovvero povertà-ascesa-autodistruzione-riscatto finale-eredità, il tutto condito di scene madri ultra-tradizionaliste, qualche episodio gustoso, numeri canori che guardano più alla teatro musicale filmato che al video-clip e via discorrendo. Rispetto ai prototipi c'è da dire che, in questo caso, essendo un film corale la struttura è ancora più sfilacciata, l'approfondimento psicologico praticamente nullo (i personaggi sono figurine: il contadino del Mississipi; Muddy Waters, abituato sempre a dire "Si, buana", il tossico, la tossica, il nero incazzato duro, Howlin Wolf, che prelude all'autocoscienza delle Pantere nere che verranno, quello che si scopa le ragazzine bianche, l'ebreo polacco che diventa amico dei neri e che due palle). Si glissa artatamente suggli episodi più controversi, tipo le royalties che passavano di mano in mano o sparivano improvvisamente e non si capisce bene, non si vuole capire, fino a che punto i bluesman avessero le mani bucate e fino a che punto Chess si facesse i cazzacci suoi, e l'ottimismo, simboleggiato dalla voce narrante di Willie Dixon, hollywoodianamente trionfa. Gli attori sono bravi e sprecati (specialmente il grandissimo Brody, forse il migliore attore della sua generazione, che non riesce ad infondere ambiguita e spessore ad un personaggio piatto e senza senso), la sceneggiatura inanella battute didascaliche come (Lomax a Waters che riposa sul portico dopo un'intera giornata di lavoro massacrante "Sono venuto a registrare della musica folk" e quello naturalmente, non lo manda affanculo, ma capisce subito cosa intende professore bianco; Chess alla James "Cantalo il blues non viverlo", ma dai? e cos'è una soap-opera?; la James che urla "voglio una cazzo di bottiglia di Gin", dio buono dove siamo? alla tavola calda degli stereotipi sull'artista maledetta, e un'altra di Chuck Berry che non mi ricordo ma che sembra scritta da un bianco col senno del poi, cosa che infatti è). Delusione su tutta la linea.

Peasyfloyd, autore, alle 11:58 del 23 luglio 2009 ha scritto:

eh in effetti l'aspetto che più mi colpisce della tua analisi (a cui non avevo pensato) è il clima di buonismo generale e di conciliazione razziale post-obamiana che appare un tantino esagerata (anche se non proprio idilliaca). Che sia un film molto pedagogico e moralista in effetti è indubbio. Che siano una certa serie di cliché è verissimo ma nonostante qualche frase ad effetto effettivamente esagerata (ma studiata proprio per questo in maniera accattivante per il pubblico di massa) non credo si possa dire più di tanto sulal caratterizzazione dei personaggi: hai ragione a dire che manca approfondimento psicologico e che spesso ci si limita a mostrarne l'aspetto più superficiale ed "eroico" però credo sappiamo bene che c'è un fondo di verità in tutte le caratterizzazioni dei personaggi.

In ogni caso simo, il tuo è un commento illuminante che in effetti mi fa pensare a molti aspetti che non avevo colto (Howlin wolf che anticipa le pantere nere poi è eccezionale eheh)!

simone coacci (ha votato 4 questo film) alle 12:20 del 23 luglio 2009 ha scritto:

Eh si, diciamo che ci sono andato giù duro, ma l'ho visto ieri notte, con discrete aspettative, e mi sono veramente cadute. Magari col tempo sarò più clemente. Scusate l'ortografia e la sintassi vagabonda ma ho scritto di getto e da una postazione poco agevole.