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8/10

Improvvisamente l'Estate Scorsa regia di Joseph L. Mankiewicz

Drammatico
recensione di Gloria Paparella

La ricca signora Violet Venable promette al neurochirurgo Cukrovicz un’ingente donazione a favore dell’ospedale in cui lavora in cambio di una lobotomia alla nipote Catherine, diventata folle in seguito alla morte del cugino Sebastian, con il quale era in vacanza. In realtà la giovane non è affatto pazza e sarà proprio lei a rivelare la verità su quanto accadde quell’estate.

Adattamento cinematografico di una delle più perverse opere di Tennessee Williams, Improvvisamente l’estate scorsa, girato in Inghilterra e in Spagna, è un’opera intrisa di temi scottanti quali l’omosessualità e la follia, i cui contorni furono qui sfumati dallo stesso Williams e dallo sceneggiatore Gore Vidal. Il risultato è quello di un allestimento molto curato, soprattutto grazie alla scelta del bianco e nero, delle ambientazioni gotiche e delle abbaglianti immagini della spiaggia dove si consuma la tragedia, che rendono ancora più drammatica la forza della narrazione.

Una straordinaria Katharine Hepburn interpreta l’aristocratica Violet Venable che vuole sbarazzarsi attraverso una lobotomia della nipote Catherine (Elizabeth Taylor), ritenuta pazza in seguito alla morte, durante le vacanze estive, del cugino Sebastian, unico e adorato figlio della signora Venable. La ragazza, infatti, potrebbe custodire un segreto, una verità che costerebbe cara alla fama e alla rispettabilità della nobildonna. I colloqui con il dottor Cukrovicz (Montgomery Clift) lasciano pian piano emergere, però, che Catherine, sebbene traumatizzata, non sia pazza e, nel corso di un confronto con l’anziana madre di Sebastian, la verità uscirà dalle sue labbra in tutta la propria crudezza.

Il film, diretto da Joseph L. Mankiewicz nel 1959, accenna al tema (trattato a chiare lettere nella versione teatrale) dell’omosessualità nella figura di Sebastian, giovane seduttore ucciso dai ragazzi che adescava. E la bella Catherine diviene testimone scioccata della terribile morte del cugino e destinata per questo alla lobotomia dalla perfida madre della vittima. La censura proibì non solo di pronunciare la parola “omosessualità”, ma anche che si desse un volto al personaggio di Sebastian, che infatti appare solo di spalle. La regia di classe di Mankiewicz riesce a costruire un’atmosfera di isterismo infuocato quando la povera Catherine comincia a mettere a fuoco i propri ricordi, rivelando che un’orda inferocita inseguì suo cugino per le vie del paese, dilaniandolo e divorandolo. Il segreto che tormentava la quiete interiore della ragazza esplode prepotentemente dalla sua memoria, sconfiggendo la superbia di Violet che, incapace di sopportare il peso della verità, impazzisce.

Il film scandisce lentamente il crescendo di tensione, già tangibile quando Catherine viene portata nell’ospedale psichiatrico (molto forti e scioccanti le immagini della pazzia dei malati in cura), fino all’abbraccio finale e catartico tra la ragazza e il dottor Cukrovicz, il quale è l’unico in grado di aiutarla a ritrovare l’equilibrio psichico che sembrava smarrito. Le interpretazioni dei tre attori protagonisti sono a dir poco superbe, a iniziare da un esemplare Montgomery Clift, attore abile nel non uscire mai di misura e il cui solo sguardo comunica la sofferenza di tutta una vita (purtroppo breve). Qui ritrova l’amica fraterna Elizabeth Taylor (già co-protagonista in Un posto al sole e L’albero della vita) che, nel ruolo di un’eroina tormentata da un tremendo incubo, recita con un’intensità incredibile e con una fermezza che conferisce coraggio al suo personaggio: il coraggio della verità. Difficile da dimenticarla, stupendamente fasciata in un costume bianco rivelatore, uscire dall’acqua sotto gli sguardi degli uomini e dei ragazzi della torrida località spagnola. Affascinante quanto terrificante Katharine Hepburn nei panni di una madre ossessiva, dal rapporto ambiguo con il proprio figlio e le cui vergogne vengono taciute: l’attrice mostra tutta la sua abilità diabolica nel rappresentare la signora Violet ed è magnifica quando, con la sua glacialità, scende dall’ascensore della sua villa vestita di un bianco luttuoso. Sul set i rapporti con la Taylor non erano idilliaci, ma una volta in scena il professionismo diventava l’unica legge valida e i vis-à-vis di altissima recitazione impressi nella pellicola ne sono una prova. Le due signore ricevettero la candidatura all’Oscar (la Taylor vinse inoltre il Golden Globe) e, nonostante la fredda accoglienza da parte del pubblico (soprattutto per la presenza di contenuti scabrosi), il film è una tragedia dal ritmo incalzante e una rappresentazione coraggiosa di argomenti che talora vogliono essere“cancellati”.

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