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A Paolo Sorrentino

Paolo Sorrentino

Paolo Sorrentino è probabilmente il più talentuoso e virtuoso tra i registi italiani emersi dagli anni '00, un'icona da sfoggiare nei festival più importanti di tutto il mondo a testimonianza del genio e dell'estro italico nel campo della cinematografia.

Napoletano di origine, Sorrentino inizia giovanissimo (è classe 1970) una cospicua gavetta fatta di cortometraggi e sceneggiature per buona parte degli anni '90: Un paradiso è co-diretto con Stefano Russo, mentre nel 1998 L'amore non ha confini inizia il rapporto con la Indigo Film, compagnia che produrrà tutti i suoi successivi film.

La capacità di pensare storie originali e stravaganti, ingioiellate di episodi, situazioni e personaggi talmente reali da apparire spesso surreali è uno dei punti di forza di Sorrentino, che per tutti i film diretti ha scritto soggetto e sceneggiatura. Questo ne fa a pieno titolo un vero regista-autore, nella migliore teorizzazione postulata a suo tempo dal critico francese André Bazin.

L'esordio sul lungometraggio è già scoppiettante: L'uomo in più (2001) giunge sul palco del Festival di Venezia e ottiene il riconoscimento del Nastro d'argento per il miglior regista esordiente.

In quest'opera emergono già tutte le principali caratteristiche del suo stile: il contesto è Napoli e i personaggi che animano questa città, la cultura che esprimono e di cui sono permeati, nel bene e nel male. Questi personaggi con le loro vicende escono però dal ristretto ambiente napoletano e diventano sorprendentemente capaci di narrare gli umori di un intero Paese, e forse in certi momenti addirittura l'ipocrisia di un'intera civiltà con il suo sistema di valori. Tutto ciò viene raccontato con una regia vivace, spigliata, capace di tenere insieme lo sguardo d'insieme come il piccolo particolare. Siamo lontani dallo stile neorealista asciutto e scarno del suo conterraneo Garrone. Anzi si potrebbe dire che Sorrentino rappresenta esattamente l'opposto del regista di Gomorra: tanto questo è essenziale, crudo, rosselliniano, tanto Sorrentino è spettacolare, umoristico, straripante e felliniano negli svolazzi e nella volontà di stupire costantemente con un'inquadratura ardita, inaspettata e capace di evidenziare i dettagli più divertenti, tetri o grotteschi della realtà quotidiana.

C'è un ultimo aspetto da sottolineare nell'opera di Sorrentino: le sue sono storie di personaggi che in una maniera o nell'altra sono sconfitti e decadenti, sopraffatti da qualcosa che non hanno potuto controllare o prevedere. L'uomo in più ad esempio racconta il declino di due omonimi Antonio Pisapia, dapprima all'apice dei rispettivi campi (il calcio e la musica leggera), poi scontratisi con le difficoltà della vita e incapaci di uscire dal tunnel. Perchè la vita in fondo “è una strunzata” (di qui il memorabile monologo finale di Toni Servillo). Ma prima di prenderne coscienza si passa per delusioni aspre e grette. Tra i momenti indimenticabili del film occorre ricordare la strepitosa scena iniziale, che rappresenta bene una fetta dell'essenza di questo cinema.

Al secondo film, Le conseguenze dell'amore (2004), siamo già al capolavoro, che accumula valanghe di premi (5 David di Donatello, 3 Nastri d'Argento, 2 Ioma e il Grand Prix al Festival di Cabourg, oltre alla presentazione al Festival di Cannes) e consacra definitivamente anche l'estro attoriale di Toni Servillo, già rinomato attore teatrale e prestato al cinema a fianco del regista napoletano Martone negli anni '90.

Il clima si fa teso, s’introduce il tema scottante della camorra, ma di soppiatto: in realtà a trionfare è il personaggio di Titta Di Girolamo, vecchio scorbutico napoletano costretto all'esilio in Svizzera al servizio obbligato di un boss. Un uomo che fondamentalmente ha perso la voglia di vivere. E gli va bene così. Per lo meno fino a quando si innamora di una ragazza che romperà quel delicato e asfittico equilibrio che Di Girolamo si era faticosamente costruito. Il tema forte è quindi l'amore e stavolta l'evoluzione è quella di un uomo che, scosso dal sentimento, trova la forza di reagire ad un'oppressione imposta dall'alto. La sconfitta resta inesorabile, eppure il messaggio che si trasmette è quello che l'uomo, quando vuole, può recuperare la propria dignità negata. A stupire è anche una regia sempre più virtuosa; nonostante ambienti ristretti, una scarsità di eventi e una lunga serie di silenzi, si assiste col fiato sospeso ad eventi ripresi con una maestria che a tratti ricorda addirittura la grazia di Kubrick. Tra perle di grottesco umorismo, devastanti quadri di intensità drammatica e momenti di suspence memorabili, Sorrentino realizza un dramma a suo modo unico, unendo tinte noir, riflessioni filosofiche, poesia urbana, passione sentimentale e denuncia sociale.

Il passo successivo è L'amico di famiglia (2006) con cui Sorrentino tocca punte di grottesco cinismo mostrandoci un protagonista corrotto, avido, brutto, sgraziato. Sostanzialmente quanto di peggio possa esprimere l'umanità più gretta. Eppure Geremia de' Geremei (Giacomo Rizzo), usuraio napoletano temuto e rispettato, non è così peggiore di chi lo circonda e della società in cui vive. È soltanto abbastanza schietto e consapevole della legge non scritta che afferma il potere di chi ha i soldi, mentre i buoni sentimenti non sono che parole vuote che si ritrovano sui libri. Nonostante il messaggio amaro l'autore racconta la storia toccando punte di notevole lirismo, sfruttando anche una colonna sonora sublime.

Il Divo (2008) è il secondo grande capolavoro di Sorrentino, che per l'occasione sfodera uno dei film politici più scottanti e riusciti di sempre, costruendosi un posticino accanto a maestri del genere come Francesco Rosi, Elio Petri, Marco Bellocchio, Marco Tullio Giordana.

Si torna a respirare l'aria artistica e virtuosa de Le conseguenze dell'amore, e per l'occasione torna Toni Servillo nei panni del divo Giulio Andreotti, in un’interpretazione incredibile per la capacità di immedesimazione nel personaggio. Il genere è un pastiche di stili e umori artistici che sfodera ritratti degni della produzione di Sergio Leone e Guy Ritchie, umori di puro pulp in stile Romanzo Criminale oltre alla straripante verve di un Servillo che da solo riempie lo schermo.

Il Divo sbanca definitivamente, ottenendo miriadi di premi tra cui l'ambitissimo Premio della Giuria al Festival di Cannes. L'accoppiata Servillo-Sorrentino diventa un marchio di qualità che entra nella storia del cinema italiano.

Quasi dispiace quindi la svolta “internazionale” di This must be the place (2011) in cui Sorrentino dirige il suo primo film in lingua inglese avendo a disposizione un professionista del calibro di Sean Penn. Il personaggio di Cheyenne è sorrentiniano fino al midollo: una ex rockstar tormentata da un passato funesto, un peso che si porta dietro come il trolley con cui gira per le strade di Dublino. Un telefono rosso che gli annuncia la malattia del padre cambierà in modo inaspettato le sue prospettive di vita portandolo a intraprendere un cammino di ricerca personale e dell’uomo che tormentò il padre in un campo di concentramento. La notevole prova attoriale di Sean Penn e la stupenda fotografia di Luca Bigazzi si accompagnano a una certa ansia da prestazione che Sorrentino mostra nell’utilizzo ripetuto di complessi movimenti di macchina quasi a voler dimostrare di essere all’altezza di una produzione internazionale. Laddove il virtuosismo è sempre stato un suo marchio di fabbrica, in questo film si rivela a tratti narrativamente poco giustificabile: un peccato veniale che però non inficia la potenza di questo on the road di formazione fuori tempo massimo, un dark-affresco di un uomo che prova ad uscire dal limbo dove è stato gettato senza possibilità di scelta.

Cameo di David Byrne che firma anche la colonna impreziosendo il tutto con echi dei suoi Talking Heads e con pezzi storici come The Passenger di Iggy Pop e Spiegel Im Spiegel di Arvo Part.

Mentre This must be the place attende di essere distribuito negli Stati Uniti, Sorrentino è al lavoro sulla sua prossima opera in uscita a primavera 2013: La grande bellezza – con un cast che conta il solito Toni Servillo, Carlo Verdone, Isabella Ferrari e l’incognita Sabrina Ferilli – sarà un film su Roma, sulla vita oggi in quella che fu la città di Fellini e della sua dolce vita.

Da sceneggiatore di tutti i suoi film, Sorrentino si è cimentato con successo anche come scrittore di prosa, esordendo nel 2010 con il romanzo Hanno tutti ragione e bissando nel 2012 con la raccolta di racconti Tony Pagoda e i suoi amici.

Alessandro Pascale & Alessandro M. Naboni

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