A Milano Film Festival 4-14 settembre 2014 – 19esimo anno, quando ormai si è maggiorenni e c’è da capire cosa far(se)ne della vita.

Milano Film Festival 4-14 settembre 2014 – 19esimo anno, quando ormai si è maggiorenni e c’è da capire cosa far(se)ne della vita.

La scorsa edizione è stata quella della maturità, solo anagrafica e non fisiologica perché di fatto il Milano Film Festival non ha mai smesso di puntare in alto nonostante la crisi e i soldi che non sono finiti, ma sicuramente diminuiti. E così a settembre 2013 è capitato d’incontrare in sala uno dei cineasti più coraggiosi in circolazione, quel Joshua Oppenheimer con il suo potentissimo The Act of Killing, il regista-attivista Sylvain George o ancora autori e opere che prima o dopo il festival hanno lasciato il segno in altri palcoscenici e nell’immaginario di altri spettatori.

Durante la conferenza stampa di presentazione l’assessore alla cultura di Milano Filippo Del Corno, dopo un intro naif che ironizzava sul meteo collegandolo al ricorrere del MFF ogni volta che l’estate volge al termine, ha ricordato come l’appoggio del comune sia un riconoscimento della fondamentale attività culturale, sociale e di creazione d’identità urbana svolta da un festival con una forte vocazione internazionale. Un esempio virtuoso di realtà dinamica e sostenibile che non drena inutilmente risorse pubbliche, anzi.

Un MFF 2014 dal programma vivo, corposo e straripante (onore e merito ai direttori Beretta e Rossini e del loro staff) anche senza un ospite di peso – con il pensiero ritorno ridondante e arteriosclerotico all’immenso Terry Gilliam di qualche anno fa – nonostante quotidiani poco informati abbiano millantato fantasmagoriche presenze come quella di Michael Jordan, protagonista del doc su basket e hip-hop From Deep (Brett Kashmere, 2013) o addirittura di Prince cui il festival dedica la proiezione del cult Purple Rain (Albert Magnoli, 1984) in vista dell’imminente uscita di due nuovi album (Plectrumelectrum e Art Official Age). Entrambi i titoli fanno parte della sezione Outsider, quella delle opere in qualche modo fuori parametro, imperdibili, particolari senza essere inavvicinabili, cult affermati e del prossimo futuro; sarebbero da elencare tutti e 16 i titoli in cartellone, però limitandomi citerei Aimer, boire et chanter, l’ultimo film di Alain Resnais (scomparso il primo marzo di quest’anno), Amour Fou della giovane austriaca Jessica Hausner che (mi) aveva incantato con Lourdes (2009) e lo strampalato Io sto con la sposa di Augugliaro, Del Grande e Al Nissiry che racconta il viaggio travestito da corteo nuziale di cinque profughi dall’Italia alla Svezia (a latere: il film rappresenta il progetto di crowdfunding italiano economicamente più rilevante).

A far la parte del leone, ci sono il Concorso Internazionale Lungometraggi e la sezione Colpe di Stato, vero fuoriclasse della manifestazione. Tra i dieci lungometraggi, due titoli assolutamente da non perdere sono Plemya (The Tribe) di Myroslav Slaboshpytskiy, vincitore della Semaine de la Critique a Cannes, che racconta la vita all’interno di una scuola per sordomuti in Ucraina senza risparmiare gli aspetti più crudi in un film parlatissimo che si affida a gesti, espressioni e suoni per restituire dinamiche-e-realtà quotidiane di quel mondo; poi Navajazo (letteralmente colpo di rasoio) di Ricardo Silva, un douc-esperimento fuori da qualsiasi tipo di schema, senza filtri, in cui il regista parte dai suoi studi in sociologia per costruire un’opera provocatoria sia per il pubblico che per i canoni del mezzo cinematografico. Aggiungerei anche Patardzlebi (Brides) di Tinatin Kajrishviligeorgiana come Nana Ekvtimishvili che l’anno scorso vinse il premio del pubblico con lo stupendo In bloom – una storia storia di esistenze e famiglie in un paese borderline. Sorpresa possibile da un italiano indie, il doc Comandante del giovanissimo Enrico Maisto, figlio di un giudice di sorveglianza di San Vittore durante gli Anni di Piombo.

Colpe di Stato, curato sempra da Paola Piacenza con il supporto di Internazionale, presenta undici opere più una retrospettiva con i tre titoli del regista-sceneggiatore-produttore americano Eugene Jarecki, fratello dell’Andrew autore di Capturing the Friedmans, documentario candidato agli Oscar 2004. In una selezione di altissimo livello, segnalerei il documentary game Fort McMoney di David Dufresnes, un film sperimentale che evolve seguendo le reazioni e le scelte del pubblico in sala, una proiezione unica sia al festival che come esperienza filmica in sè; il dittico sulla russia di ieri, Red Army di Gabe Polsky (prodotto da Werner Herzog come Oppenheimer) e di oggi Children 404 di Loparev e Kurov; We come as friends di Hubert Sauper, autore de L’incubo di Darwin, con il suo aereo sgangherato utilizzato per vivere e mostrare il Sud Sudan, ultimo paese che ha ottenuto l’indipendenza in Africa; dalle scorse edizioni riprende poi il discorso sulla terra di confine per eccellenza, la Striscia di Gaza, con due documentari: Life Sentences di Kedar e Shani e Deux fois le meme fleuve di Weiss e Borenstein, israeliani che da tempo vivono in Belgio.

Queste le sezioni che mi danno sempre notevoli soddisfazioni, senza nulla togliere al resto del programma che comprende: il Concorso Internazionale Cortometraggi con 58 film da 32 paesi selezionati tra oltre 2.000 partecipanti; l’omaggio al maestro dell’animazione ceco Jan Svankmajer, per celebrare i suoi ottantanni, di cui consiglio Qualcosa di Alice (1988) rivisitazione dark e inquitante del libro di Lewis Carrol; Video Espanso con una panoramica sulle recenti evoluzioni del videoclip musicale; l’interessante sezione Esperimento: Europa 1914-1989-2014 nell’anno del centesimo anniversario della Prima Guerra Mondiale tra cui spicca il film a episodi Les Ponts de Sarajevo (firmato da registi come Godard, Marra, Ursula Meier, Leonardo Di Costanzo, ecc..) sul ruolo della capitale della Bosnia ed Erzegovina nella storia; poi ancora Hecho en Mexico sulla prolifica filmografia di una nazione che celebra quest’anno il primo regista messicano vincitore di un Oscar come miglior regista (Alfonso Cuaron per Gravity) e conta tra i suoi esponenti di spicco personaggi del calibro di Alejando Gonzalez Inarritu e Guillermo Del Toro; lo storico Focus Animazione con la consueta Maratona, l’Art Cinema di verniXage, il milano film festivalino per i più piccoli, eventi speciali vari-ed-eventuali, la musica e i concerti di Park Live (dove cito solo un paio di nomi da non perdere, il rock di Daniele Celona e i C+C Maxigross) , i Workshop di Eugene Jarecki e Milos Tomic, la selezione di corti d’autore promossa da Zanichelli e dal suo dizionario del cinema Morandini e poi un sacco di altre iniziative che nemmeno v’immaginate e che io mi sto perdendo tra i milioni di fogli dell’esaustiva cartella stampa.

Per chi sta a Milano-e-dintorni o può raggiungere agevolmente la città, posso solo consigliare di andare in cassa, fare un abbonamento a un prezzo tendenzialmente poco rilevante anche in tempi di crisi (45 intero, 35 ridotto con un miliardo di convenzioni varie) e godersi 11 giorni dove trovare un mondo sia fuori che dentro le sale (Strehler, Teatro Studio, Dal Verme, Oberdan, Auditorium San Fedele) o entrambe le situazioni nel caso delle proiezioni all’aperto nel Parco Sempione. C’è anche l’acqua gratis naturale e frizzante nei distributori self di CAP, l’app di PayPal per il pagamento tramite smartphone, la birra e le salamelle col pane-buono-ma-non-sempre, tantissima gente che guarda film e tantissima altra che pascola sulla piazzetta dello Strehler atteggiandosi e contribuendo in modo imprescindibile all’atmosfera e al colore e poi molteplici incontri possibili perché in quegli undici giorni dal festival ci passa un sacco di Milano. Per orari e info, il sito è www.milanofilmfestival.it

C’era tanto da dire e in modo estemporaneo e impressionista vi ho esposto soltanto quello che a istinto mi diceva qualcosa; per ora ho detto tutto, troppo, tanto da essere ubriaco per le mie stesse parole. Giovedi 4 settembre si comincia.

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