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5/10

Focaccia Blues regia di Nico Cirasola

Documentario
recensione di Alessandro Pascale

Il film ripercorre i fatti relativi ad una vicenda realmente accaduta ad Altamura, grosso centro del barese famoso per il suo pane a denominazione di origine protetta.

Nel 2001 viene inaugurato il primo fast-food McDonald's. Pochi mesi dopo, il panettiere Luca Di Gesù, con il fratello Giuseppe, apre poco lontano una piccola focacceria. Dopo appena un anno, il fast-food è costretto a chiudere per mancanza di clientela, in parte causata dalla concorrenza della focacceria.

Partendo da questo fatto, un giornalista si reca negli States per raccontarlo.

 

In realtà c’è ben poco da dire su Focaccia Blues se non che il contenuto e l’intento sono tanto positivi quanto la forma purtroppo è tanto mal riuscita. Che infatti si racconti la storia di una simbolica sconfitta subita dal colosso McDonald’s da parte di una piccola focacceria in uno sperduto paesino pugliese quale è Altamura è sicuramente una fiaba meravigliosa. Uno squisito racconto di Resistenza non cosciente ai processi industriali e culturali della globalizzazione. Una Resistenza cioè sorta non da particolari prese di posizioni ideologiche (tanto per intenderci: non è che ad Altamura siano tutti comunisti…) ma da una constatazione razionale: tra una focaccia fatta in casa secondo gli usi tradizionali e un panino standardizzato del McDonald’s non c’è proprio paragone. Più igienico, salutare, gustoso e genuino il primo alimento.

Ci si diverte anzi a constatare come gli unici aspetti positivi notati dalla gente riguardo alla sede ormai chiusa della vecchia multinazionale fossero in realtà estranei a quelli alimentari: un locale ben climatizzato (ottimo per gli anziani che devono affrontare la calura estiva soffocante), e una grande salone con tanti palloncini e atmosfera festosa (ideale per fare le feste dei bambini). È cioè lo sconfinamento nel settore terziario, dove il ristorante perde la sua funzione di vendita di alimenti e diventa un non-luogo dove vengono garantiti una serie di servizi che vanno a colmare le lacune delle amministrazioni pubbliche (o quantomeno settori di non fondamentale e indispensabile importanza).

Questa piccola vittoria del locale sul globale è importante perché propone un messaggio di ottimismo e di speranza, non tanto per le capacità cognitive del popolo italiano, quanto piuttosto per razionalità che riguarda certe sue tradizioni, usi e costumi. Forse i proverbi e i detti della nonna non sono sempre la bocca della verità, ma la saggezza popolare, frutto di abitudini secolari funzionali alle necessità umane, molto spesso ci azzecca. Il grosso problema di Focaccia Blues è però il modo in cui viene girato, che lo rende un documentario assai piatto e poco stimolante; interessante in certe interviste ma nel complesso tracimante nella sua ricerca del “popolaresco” e paesano, al punto da diventare sulla lunga assai noioso. Inutili o quasi le “parentesi americane” appare abbastanza superfluo e inconcludente anche il plot surreale, concentrato attorno ad un misterioso straniero di nome Manuel.

A completare la frammentazione e la disomogeneità l’inserto di brevi sketch comprendenti Nichi Vendola, Michele Placido e soprattutto il duo Renzo Arbore-Lino Banfi, buttati un po’ lì a casaccio tanto per dare un tocco di umorismo e varietà (peraltro di dubbio gusto). Un’operazione sostanzialmente riuscita male quella di Nico Cirasola, che abbassa notevolmente il livello di interesse per un’opera culturalmente ben impegnata.

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