T Trailer

R Recensione

8/10

Mine Vaganti regia di Ferzan Ozpetek

Commedia
recensione di Pietro Muratori

Tommaso Cantone risiede a Roma da diverso tempo, dove ha avuto modo di crearsi una sua indipendenza e vive alla luce del sole la propria omosessualità. Dopo parecchio tempo fa ritorno nella sua terra natale, il Salento, dovendo confrontarsi con i borghesi genitori e una società bigotta. I Cantone sono una famiglia numerosa e bizzarra, nota a Lecce come proprietari di un grande pastificio industriale. Tommaso dovrà fronteggiare la soffocante madre Stefania, il padre Vincenzo, deluso dalle scelte di vita del figlio, con la sorella Elena, che aspira ad una vita migliore rispetto a quella di casalinga, e il fratello maggiore Antonio, che il padre vorrebbe affiancasse nella gestione del pastificio. Nel numeroso clan dei Cantone fanno parte anche l'eccentrica zia Luciana e la nonna, imprigionata nel ricordo di un amore perduto. Tra segreti, liti e colpi di scena, il soggiorno in famiglia di Tommaso si protrarrà più del previsto.

Mine vaganti potrebbe definirsi come il terzo film di una trilogia del regista turco Özpetek, capace di raccontare nei diversi contesti sociali le dinamiche che seguono quando si alza il sipario sull’omosessualità, rivelazioni o condizioni che uniscono o frantumano certezze e consuetudini.

Partendo dal leitmotiv cinematografico legato all’omosessualità, Mine vaganti chiude il cerchio con gli altri due film Le fate ignoranti e Saturno contro.

Se nelle Fate ignoranti l’omosessualità viene scoperta postuma, convissuta inconsapevolmente e consumata dentro un rapporto di coppia, dove l’amore eterosessuale felice ed esclusivo, non dovrebbe lasciar spazio ad altre “infedeltà”, lasciando, poi, spunti di riflessioni, in Saturno contro l’omosessualità è il collante suggestivo di un gruppo di amici, dove l’amicizia, acquista un valore assoluto, come surrogato di famiglia allargata, capace di dare completezza e sicurezza autarchica.

Parlando dell’ultimo film, “Mine vaganti, il tessuto sociale trattato è quello familiare, il più difficile, nel mare magnum delle convenzioni sociali che non aiutano.

In un contesto geografico come Lecce, scelto dal regista come location per coronare scenografie naturali, tra barocco urbano e semplicità complessa delle masserie del Salento, che suggestivamente regalano con i suoi ulivi colori e forme ancestrali. Un sud tra antico e moderno, dalle mille sfumature sociali, per raccontare lo psicodramma della famiglia Cantone, una compagine familiare che riesce ad incarnare lo stereotipo più tradizionale possibile, rinfrescato e modernizzato dall’impresa familiare, il pastificio di famiglia.

Il ruolo del capofamiglia è affidato a Vincenzo, interpretato da un eccellente Ennio Fantaschini, accanto a lui sua moglie Stefania (Lunetta Savino), ed i suoi tre figli, Elena (Bianca Nappi), relegata ad un ruolo marginale, e i due maschi Antonio (Alessandro Preziosi) e Tommaso (Riccardo Scamarcio), autentici gioielli di famiglia, su cui cade l’onere o il fardello dell’eredità dell’impresa familiare.

La scena si apre con un’attività frenetica della famiglia Cantone, che aspetta amorevolmente il ritorno del proprio figlio Tommaso, il classico figlio del sud mandato dai genitori a trovare un’emancipazione ed una laurea nella capitale, per un’esperienza formativa da riportare e valorizzare nella sua terra da origine, mentre Antonio, figlio primogenito, affidabile paladino dell’impresa familiare, non ha mai lasciato la sua famiglia e la sua città. E come ogni famiglia del sud che si rispetti, assieme ai genitori di Tommaso, scopriamo la misteriosa Nonna (Ilaria Occhini), un concentrato di antiche e celate passioni mai svelate, depositaria di tutti i segreti della famiglia, la più anziana, ma anche la più moderna. A finire l’album di famiglia la Zia Luciana (Elena Sofia Ricci), egocentrica zitella cinquantenne, dalle notti movimentate da strani “ladri” che albergano nella sua alcova.

La famiglia Cantone vista da vicino assomiglia ad un quadro vivente cubista, dalle molteplici sfaccettature personali. Dopo le confessioni rivelate a tavola, nel bel mezzo di una, da uno dei figli sui propri gusti sessuali e sulle frustrazioni che il silenzio di anni ha provocato.

Confessioni buttate li, all’improvviso, come un bicchiere di vino rosso caduto sopra una tovaglia candida di lino, inaspettate e irricevibili, che sortiscono l’effetto devastante di una bomba, e che dipingono la famiglia Cantone in piena tempesta tragicomica.

Il pastificio di famiglia è il bene più prezioso, fonte di benessere e di visibilità, la chiave borghese che apre ogni porta dei notabili del paese. A complicare le vicenda umana di Vincenzo Cantone si inserisce la nuova alleanza commerciale con il Commendatore e sua figlia Alba (Nicole Grimaudo), ragazza dal fascino insolito e aggressivo, ancor più fuori di testa di un figlio omosessuale, perché ogni famiglia si sa porta la sua croce.

Il film è un piccolo capolavoro di genere, i temi della famiglia e delle conflittualità generazionali che ne conseguono, vengono vissuti da ogni familiare in maniera goffa e sconcertante. L’omosessualità di un figlio è solo uno dei tanti problemi che potrebbero sconquassare una famiglia tradizionale ma qui siamo nel sud, dove una persona non è omosessuale ma Ricchione!

Una sceneggiatura (F. Özpetek, I. Cotroneo) che fa scorrere il film piacevolmente; si vivono situazioni esilaranti, si sdrammatizza, e le chiacchiere di provincia e di famiglia arrivano a dare la giusta leggerezza al “problema” dell’omosessualità.

Özpetek è riuscito attraverso questa storia, (forse con spunti autobiografici, il film inizia a nero con una dedica “a mio padre”), ed i suoi personaggi, ad uscire dalle situazioni pesanti dei primi film, la pesantezza dell’esistenzialismo omosessuale si trasforma in una commedia umana.

Il cast è azzeccatissimo, le scene più divertenti riguardano l’arrivo inaspettato degli amici gay di Tommaso, che riescono a complicare simpaticamente una situazione già difficile!

Le musiche della colonna sonora (P. Catalano) finalizzano le atmosfere del film, riportandoci a tratti a motivi degli anni ’60; il balletto di Scamarcio davanti allo specchio sulla canzone “50 mila lacrime” (cantata da Nina Zilli), è un autoritratto del personaggio di Tommaso, a tratti un bamboccione impacciato, vittima degli eventi, che cerca di non prendere troppo sul serio il clima pesante che si è abbattuto sulla sua famiglia.

Degna di nota la scelta del montaggio di alcune scene del film, dove la musica da corale diventa soggettiva, assumendo i ritmi e le emotività di chi estraniandosi suggerisce la giusta riflessione, in modo suggestivo e di grande effetto, come già sperimentato nelle Fate ignoranti.

Con un finale surrealista d’autore, il film del regista turco nel suo complesso convince, le Mine vaganti di Özpetek non esplodono. Le persone possono implodere, soffocate dagli eventi, ma le loro scelte rimangono sempre libere:

Non farti mai dire dagli altri chi devi amare, e chi devi odiare. Sbaglia per conto tuo, sempre.

V Voti

Voto degli utenti: 6,6/10 in media su 5 voti.

C Commenti

C'è un commento. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

Peasyfloyd (ha votato 7 questo film) alle 16:17 del 2 gennaio 2011 ha scritto:

ottima rece e bello anche il film. Ozpetek ha realizzato una gradevole commedia che scorre via davvero bene tenendosi in equilibrio tra situazioni di tensione e momenti surreal-comici. Azzeccato il cast, la costruzione dei personaggi e l'inserimento di tanti piccoli spezzoni divertenti sparsi qua e là.