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7/10

Benvenuto Presidente! regia di Riccardo Milani

Commedia
recensione di Fabrizia Malgeri & Fulvia Massimi

In un piccolo paesino di montagna vive un uomo dal nome impegnativo: Giuseppe Garibaldi, per tutti Peppino. Ama la pesca, la compagnia degli amici, la biblioteca in cui lavora da precario. E' un ottimista anche se il figlio che lo accusa d'essere un fallito. Un giorno, a causa di un pasticcio dei politici, accade una cosa incredibile: Peppino viene eletto per errore Presidente della Repubblica Italiana. Strappato alla sua vita tranquilla, si trova a ricoprire un ruolo per il quale sa di essere evidentemente inadeguato, ma il suo buonsenso e i suoi gesti istintivi risultano incredibilmente efficaci. Certo il protocollo non è il suo forte. Janis Clementi, inflessibile quanto affascinante vice segretario generale della Presidenza della Repubblica, si affanna inutilmente nel tentativo di disciplinare le imprevedibili iniziative del Presidente...

Fabrizia Malgeri (voto 7):

Benvenuto Presidente! arriva nelle sale in un periodo molto complesso per la storia della politica italiana. In un Paese in balia dello spread, del precariato e di una confusione politica probabilmente senza precedenti, la pellicola di Riccardo Milani si rivela quasi un toccasana, una boccata d’ossigeno, che strappa ben più di una semplice risata. Una commedia pulita, costruita su uno dei più antichi meccanismi della comicità (il misunderstanding, l’equivoco), e volta a scardinare una, anzi LA, figura istituzionale per eccellenza, realizzando quell’utopico desiderio del cittadino medio: “Ma se fossi io Presidente della Repubblica Italiana per un giorno…?”.

Ma non solo: il film di Milani cavalca il generalizzato malcontento popolare, restituendoci divertenti clichès dell’italiano medio (seduto a tavola intorno ad una zuppiera fumante di spaghetti, intento ad aggiornarsi alla tv sullo stato di salute del Paese, e a snocciolare commenti anche un po’ qualunquisti su questo e quel politico) ma anche un’importante riflessione sull’atteggiamento immobilista della maggior parte dell’elettorato italiano, che – come giudice tutt’altro che imparziale – si limita a puntare il dito e a condannare la classe politica, una massa corrotta e informe, dimenticandosi di quella metaforica “trave nell’occhio” che, come un peccato originale,  ci portiamo dietro sin dalla nascita anche e soprattutto nelle piccole cose (l’aiutino dall’amico in politica nel proprio paesino, la lettera di raccomandazione dello zio per entrare in quella data azienda, il non pagare il canone RAI,  ecc.) – e che contribuisce in un modo o nell’altro ad alimentare e a generare quei “mostri” di corruzione, malgoverno e raccomandazioni da cui vogliamo prendere le distanze, almeno moralmente. Ma in cui, inevitabilmente, cadiamo dentro.  

Supportato dalla brillante interpretazione del suo protagonista Claudio Bisio – che cerca di scrollarsi di dosso l’ingombrante ruolo del brianzolo Alberto Colombo in Benvenuti al Sud e Benvenuti al Nord, e che regala probabilmente uno dei monologhi più interessanti della pellicola sul finale del film – Benvenuto Presidente! non vuole risparmiare nessuno: dagli onorevoli capi-gruppo dei tre diversi poli politici (Beppe Fiorello, Massimo Popolizio e Gianni Cavina), a metà tra luciferini Mangiafuochi collodiani e le tre Moire della mitologia greca (figlie di Zeus e Temi, le Moire erano la personificazione del destino ineluttabile dell’essere umano: una tesseva il filo-fato dell’essere umano, una lo svolgeva e la terza lo recideva segnando la morte dell’individuo - ndr) pronti a tessere il (non) destino politico di un semplice pescatore piemontese, tentando di manovrarlo come una marionetta a proprio uso e consumo; agli stessi personaggi “positivi” del film, la giovane e rigorosissima Janis (!) Clementi (Kasia Smutniak), ma anche lo  stesso Peppino, che si lasciano tentare – seppur giustificando il loro operato come “bugia a fin di bene” – dalla goliardia e dall’innata lussuria morale del potere politico. Una lezione, quella di Milani, che ricorda quella “mai affrontata a dovere” lezione di educazione civica, che abbiamo sempre cercato di sotterrare nelle pagine dei sussidiari delle elementari e delle medie, ma che tanto farebbero la differenza in un popolo giovane e ancora non sufficientemente preparato come quello italiano.    

Seppur il sottotesto a cui Milani fa riferimento sia di spessore e comunque sofisticato, Benvenuto Presidente! non manca di momenti comici davvero esilaranti: tra questi, delizioso è il cameo dal sapore farsesco regalato da i quattro “poteri forti” (Lina Wertmuller, Pupi Avati, Gianni Rondolino e Steve della Casa), che sopravvivono, intellettualmente e artisticamente parlando, cibandosi delle potenzialità cinematografiche della crisi (non a caso nella sequenza li vediamo impegnati in un ricco banchetto) , e che vedono nel rinnovamento di Peppino una minaccia da contrastare.  

Benvenuto Presidente! si rivela una commedia catartica, dal retrogusto quasi plautino, che ci ricorda il grande potere della risata: non un modo per sorridere con leggerezza della vita, ma una valida alternativa per condurci ad un’importante riflessione sulla vita a cui - come cittadini e individui di una società e di un Paese -  abbiamo il dovere e il diritto di dedicarci.

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Fulvia Massimi (voto 6):

Non poteva scegliere momento migliore, Riccardo Milani, per realizzare il suo quinto lungometraggio cinematografico: Benvenuto Presidente! A pochi mesi dalla scadenza del mandato presidenziale di Giorgio Napolitano, il regista romano – noto al pubblico televisivo per le numerose fiction prodotte e trasmesse dalla Rai (da Rebecca, la Prima Moglie e Tutti Pazzi per Amore alle più recenti Atelier Fontana - Le sorelle della moda e Volare - La grande storia di Domenico Modugno) – rilegge infatti a proprio modo la crisi politica in atto nel nostro Paese, proponendo una soluzione folle, utopica, ma, perché no, auspicabile per colmare l’attuale vuoto di governo.

Partito da un insolito soggetto per approdare ad una più solita (e solida) sceneggiatura, Fabio Bonifacci – autore prolifico e dall’ottima vena comica (suoi gli script di Lezioni di Cioccolato, Diverso da chi?, Senz’arte né Parte, Benvenuti al Sud, per citarne alcuni) – trasforma una commedia degli equivoci densa di siparietti esilaranti e cucita addosso all’istrionismo di Claudio Bisio, in accoppiata con la rigida (ma solo in apparenza) Kasia Smutniak, in una riflessione, sempre in chiave spensierata, dei mali che affliggono la politica nostrana.

Il ritratto del Parlamento italiano, tra intrighi, imbrogli, intercettazioni e raccomandazioni quasi necessarie (è questa la pretesa del figlio di Peppino, il tamarro Piero/Michele Alhaique) è puntuale ma non troppo feroce, e assolve degnamente il compito di screditare i pagliacci della politica a favore del rispetto e della correttezza dei giusti. Restio a cavalcare l’onda facile del qualunquismo e dell’anti-politica, Milani trova dunque nella sceneggiatura di Bonifacci il trampolino di lancio più adatto per raccontare la propria versione dell’Italia odierna: un Paese ancora dotato di valori da tramandare alle nuovissime generazioni, onesto, puro e leggero come il registro scelto per raccontare la semi-favola (nell’incipit come nel finale) di Peppino.

Inserti di comicità slapstick al limite del cartone animato in stile Looney Tunes si accostano alle schermaglie amorose da screwball comedy tra Peppino/Bisio e l’insospettabile anima fricchettona del vice-Segretario Janis/Smutniak (non a caso battezzata in onore dell’omonima Joplin, e con annessa soundtrack in tema), mentre sullo sfondo tre cospiratori buffoni (i parlamentari Beppe Fiorello, Massimo Popolizio e Cesare Bocci, campione rappresentativamente imbarazzante dei politicanti nostrani) cercano di sabotare il Presidente neo-eletto avvalendosi di un inquietante ex-agente dei Servizi Segreti con occhio di vetro (Gianni Cavina).

L’eterogeneità di stili scelta da Milani – non ultima una certa persistenza di stilemi televisivi – risulta a tratti efficace (il bibliotecario-pescatore alle prese con il galateo del Quirinale), e a tratti esagerata (gli scontri erotici tra i due protagonisti o il summit a base di marijuana rischiano di s-cadere in un eccesso di comicità), ma riesce anche a ritagliarsi momenti di simpatico raccoglimento (il vertice Italia-Brasile nel reparto oncologico di un ospedale romano) e abile interpellazione meta-cinematografica dello spettatore in sala, così come dell’italiano medio riunito a tavola per il sacro rituale della “cena con tiggì”.

A parer della Smutniak (scoperta dal regista sul set di Volare) si dovrebbe ridere dall’inizio alla fine, e secondo Milani Bisio rappresenterebbe senza troppi dubbi uno degli eredi dei cinque mostri sacri della commedia italiana (Gassman, Manfredi, Mastroianni, Sordi e Tognazzi). Entrambi i giudizi si rivelano, in realtà, un filo troppo entusiastici, e Milani, per quanto abile nel fare di spontaneità e naïveté valori indispensabili e tutti da riscoprire, si dimostra a sua volta troppo ingenuo nel credere che un buon affiatamento di cast e uno script dalle trovate spassose bastino a fare un film da ricordare.

Ma forse non è questo l’intento di una pellicola gradevole e godibile, che più probabilmente aspira – come altri titoli italiani recentemente in sala (Il principe abusivo di Siani sugli altri) – a sfatare il mito, nemmeno troppo “mitico”, dell’odierna crisi al botteghino. I finali lietamente prevedibili e le facili dicotomie – politici corrotti contro onesti cittadini, serenità bucolico-rurale contro stress metropolitano, protocollo contro joie de vivre – si sa, fanno sorridere, e quando si esce dalla sala col sorriso sulle labbra, si sa anche questo, gli esiti positivi e virali del passaparola non possono che seguire di conseguenza.

V Voti

Voto degli utenti: 6,7/10 in media su 3 voti.
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Fabrizia Malgieri alle 9:06 del 28 marzo 2013 ha scritto:

ERRATA CORRIGE: *dagli onorevoli capi-gruppo dei tre diversi poli politici (Beppe Fiorello, Massimo Popolizio e Cesare Bocci)