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6/10

Ladri di Cadaveri regia di John Landis

Commedia
recensione di Fulvia Massimi

1828, Edimburgo. Grazie a un editto su misura, lo spocchioso dottor Monroe si assicura il monopolio dei cadaveri della città e al concorrente dottor Knox non rimane materia prima da dissezionare nelle aule dell’Accademia di Anatomia. Fiutando l’affare, William Hare e William Burke, inseparabili compagni di truffa, colgono l’occasione per avviare un business estremamente lucrativo: l’omicidio. Ma la Milizia non si farà attendere. E nemmeno la forca (almeno per uno dei due).

Presentato  in anteprima mondiale al Festival Internazionale del Cinema di Roma il 30 ottobre 2010, Burke & Hare – Ladri di Cadaveri, grottesca black comedy sul business della morte (Repubblica lo ha definito “il capitalismo secondo Landis”), segna il ritorno di John Landis al grande schermo, a dodici anni di distanza da Delitto Imperfetto e dopo una serie di progetti realizzati per la televisione.

Innovativo autore di veri e propri cult del cinema americano di “genere” (il musical: The Blues Brothers, l’horror: Un Lupo Mannaro Americano a Londra, la “frat-comedy”: Animal House, perfino il video-clip musicale con Thriller), Landis ha offerto prima della proiezione una lezione di cinema dal piglio decisamente anti-accademico, forse una delle migliori che il Festival abbia ospitato nelle sue cinque edizioni, strappando al pubblico novanta minuti di risate.

Assistendo divertito, e a tratti imbarazzato (esclama un “oh, please” di fronte alla scena kubrickiana di Schlock), alle clip tratte dai suoi lavori, il regista americano spazia dalla recitazione degli attori-gorilla alla collaborazione con John Belushi, in un fiume inarrestabile di ironia, aneddoti e frecciatine pungenti (esilarante quella a JFK di Oliver Stone, definito “a great movie, but completely insane”), senza risparmiare i critici (“full of shit”), la politica “assurda” di George W. Bush e la stupidità della tv nostrana (il gioco a premi Colpo Grosso lasciò allibiti lui e la moglie durante un soggiorno in Italia).

Partendo da una domanda sugli scarsi riconoscimenti destinati a horror e commedia (ma, commenta, riguardando alcuni dei suoi film non si premierebbe neanche lui), Landis dimostra una cultura cinematografica di tutto rispetto e analizza la propria carriera svelando trucchi del mestiere (illuminante la digressione sugli effetti speciali del maestro Rick Baker), esperienze di set (all’improvvisazione preferisce le indicazioni date all’attore durante i take di ripresa) e l’amore per un cinema “artigiano” lontano dagli effetti “magici” dell’era digitale.

Con Burke & Hare, basato sulla storia vera (“tranne le parti che non lo sono”) dei due omonimi assassini scozzesi (c’è un precedente horror del 1972 diretto da Vernon Sewell), Landis torna nel Regno Unito (dopo An American Werewolf in London) per esplorare "un certo tipo di commedia all’inglese": ad eccezione del regista, della moglie (la costumista Deborah Noodolman) e dell’australiana Isla Fisher, l’intero cast tecnico-artistico è infatti “so fucking british” (sic).

Il gusto per la provocazione surreale certo non manca a questa commedia macabra, che si diverte a farsi beffe dell’assassinio concentrandosi sulle fantasiose modalità d’operato dei due serial killer improvvisati: cadaveri infilati in barili di aringhe, tombe profanate, ciccioni colti da infarto mentre cantano The Catcher in The Rye, ce n’è per tutti i gusti. Una risata vi seppellirà. E non è un caso che Landis citi come fonte d’ispirazione The Ladykillers di Alexander Mackendrick (da cui l’omonimo remake dei fratelli Coen): nelle mani giuste la morte può avere enorme potenziale umoristico e la sceneggiatura di Piers Ashworth e Nick Moorcroft rende bene l’idea.

Il comico si gioca sul campo del politicamente scorretto: si muore dal ridere o si ride della morte, fa poca differenza, e la commedia stessa risale alle sue radici originarie in scenette slapstick da cartoon (due uomini che inseguono una botte rotolante: il grado zero del divertimento) con perfetto accompagnamento musicale. La scelta della soundtrack , d'altronde, non è mai stata un problema per Landis – che in conferenza si dice  indignato per la sostituzione della musica originale nella celebre scena della mensa di Animal House (ma solo nel DVD italiano) – e anche qui, tra cornamuse scozzesi e rock ‘n roll, si dimostra impeccabile.

Dopo Belushi-Akroyd e Murphy-Akroyd (Una Poltrona per Due), Simon Pegg e Andy Serkis formano l'ennesimo, affiatato duo comico della cinematografia di Landis. Pegg ritrova le stesse ambizioni di classe che lo avevano animato in Star System – Se non ci sei non esisti ma con due secoli di anticipo: inizialmente restio a compromettere la salvezza della propria anima con l’omicidio, il suo William Burke non impiega molto tempo ad abbandonare le preoccupazioni morali. Sedotto dalle grazie dell’attricetta Ginny (Isla Fisher) si troverà costretto ad incrementare i propri introiti per finanziare “la prima produzione interamente femminile del MacBeth shakespeariano”, diretta e interpretata dall’amata. Dal canto suo Andy “Gollum” Serkis dimostra di sapersela cavare anche senza la tutina del "suo tesssoro" e insieme a Jessica Haynes si esibisce in scene di sesso ad altissimo tasso di comicità, in quel connubio di humour ed erotismo spesso ricorrente nel cinema di Landis.

Tra miti storici e cinematografici, la varietà del cast non manca: l’inventore della fotografia Niceforo (Allan Corduner) e Charles Darwin (Christian Brassington) dividono la scena con il sopracitato Gollum e  Tim “Frank ‘N Furter” Curry, da venticinque anni destinato a parti secondarie o piccoli ruoli (forse qualcuno se lo ricorda concierge in Home Alone 2: Lost in New York). Cameo per Cristopher Lee (altro reduce de Il Signore degli Anelli) nella parte di una delle vittime.

Landis è tornato. E meno male:  del suo essere "trasgressivo" (o meglio, “unusual”) si sentiva proprio il bisogno. In un periodo in cui la carica innovativa del cinema sembra raschiare il fondo del barile stupisce piacevolmente riscoprire un regista che con i mezzi di sempre riesce ancora a portare un brivido comico in sala.

 

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Peasyfloyd (ha votato 7 questo film) alle 12:04 del 17 settembre 2011 ha scritto:

"ciccioni colti da infarto mentre cantano The Catcher in The Rye"---> da notare che il ciccione muore per uno spavento causato da un Perkis che tiene nelle mani una falce e un martello. Questo è umorismo davvero sopraffino...

Scherzi a parte il film mi è piaciuto molto. Black comedy che spazia tra grottesco e umorismo british. Ottimo cast e buon uso di fotografia (forse si poteva fare di più), costumi e scenografie. Avrei dato maggiore spazio alla diatriba tra i due "medici" che presentava notevoli potenzialità comiche. Nel complesso mi sembra però che per diventare un film davvero riuscito gli manchi un po' di mordente, un qualcosa che lo renda davvero indispensabile. Così resta una visione godibile ma, come dire, un po' sfuggente e volatile...

hayleystark, autore, (ha votato 6 questo film) alle 22:09 del 17 settembre 2011 ha scritto:

Sono d'accordo con te, però devo ammettere che dopo la conferenza esplosiva tenuta al festival di Roma Landis avrebbe anche potuto girare un documentario in cirillico sull'uso del dentifricio fra le popolazioni eschimesi e l'avrei adorato lo stesso xD