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9/10

Stake Land regia di Jim Mickle

Horror
recensione di Riccardo Nuziale

Sullo sfondo di un'America post-apocalittica, in tutto il paese è scoppiata un'epidemia di vampirismo dove le città sono tombe e i sopravvissuti si agglomerano insieme nelle zone rurali. Quando la sua famiglia viene sterminata da un vampiro, il giovane Martin viene coinvolto da un brizzolato cacciatore ribelle in un viaggio on-the-road che li porterà a confrontarsi con orde di esseri assetati di sangue e con una milizia fondamentalista.

Posto l’horror come genere cinematografico che maggiormente sente la tensione sociale del proprio tempo, di ogni contemporaneità, va analizzata questa contemporaneità.

L’horror “sente”, dicevamo. Avverte, percepisce, intuisce. Non altrettanto frequentemente - e questo è normale, essendo la propria caratteristica principale quella di solleticare sentimenti archetipi e spesso seminascosti  - riesce a descrivere.

È avvenuto quindi in quest’inizio di millennio che l’horror abbia perfettamente segnalato il cambiamento della nostra percezione del dolore e dell’atmosfera globale venuta a crearsi: ecco di conseguenza il torture porn e l’estremizzazione della violenza, nati dai nuovi mezzi (siano essi la rete, Youtube, le riprese con i cellulari) che quotidianamente ci danno un approccio diretto come mai prima d’ora e che, indirettamente e inconsciamente, ci hanno reso familiare (tanto da averlo ormai accettato e assimilato) un grado di esplicitazione che fino a qualche anno fa giudicavamo impensabili.

Quasi mai però si è riusciti a incanalare lucidamente e analiticamente tale forza, quasi mai l’horror in questi dieci anni si è fatto pamphlet socio-politico. Tra i pochi esempi spicca lo splendido e misconosciuto Blood Car, la cui potenza è stata forse fraintesa, “affogata” dai suoi stessi toni grotteschi e black comedy (il che non giustifica comunque il silenzio che ruota tuttora attorno a questa perla dell’indie-horror made in USA).

L’America, già. O meglio, America, l’opera di Andres Serrano, raffinatissimo e prorompente maestro della fotografia troppo spesso divenuto noto per lo scandalo nato da alcuni suoi lavori (due su tutti Piss Christ e la superba serie The Morgue). Opera che meglio di qualsiasi altra palesa amore per il sogno americano ma allo stesso tempo ne evidenzia l’innegabile contraddizione.

Quale sarebbe il cuore colpito l’11 settembre 2001? Serrano ci dà una risposta chiarissima, attraverso un centinaio di primi piani che prevede l’eterogeneità (e le contrapposizioni) della società statunitense: bambini e adulti, barboni e bancari, cuochi cinesi e celebrità (tra cui Robert Altman e Michael Stipe), negri e neonazisti, suore e papponi, cristiani e musulmani. Il cuore è uno, nessuno, centomila, l’America è una semplificazione, un’astrazione, non esiste nessuna identità americana “autentica” (d’altra parte già il nome Stati Uniti implica una frattura e una molteplicità di fondo).

“Call me Martin”. Prima battuta del film che è un orgoglioso programma d’intenti. Identificazione americana e progetto dell’on the road (per via di quel romanzo su quella balena…avete capito), esplicito omaggio a un regista che di horror politico e vampiri qualcosa sa.

Due persone in fuga, una strada, la desolazione da day after. Persone che arriveranno ad essere cinque: un ragazzo, un uomo, una suora, una ragazza incinta, un nero. L’America di Serrano in fuga. Personaggi-tipi, esattamente come quelli di Zombieland, al quale ad un primo superficiale impatto verrebbe da collegare, ma nel film di Fleischer la bidimensionalità dei protagonisti era resa totale dalla mera identificazione con la propria città d’origine, mentre qui, salvo il famigerato Mister e la suora, hanno tutti un nome. E, soprattutto, qui si fa tremendamente sul serio.

Jim Mickle aveva già dimostrato discreta padronanza della materia con l’esordio del 2007 Mulberry Street (contrassegnato però dal tipico difetto “da opera prima”, quello di esagerare, sovrapporre, rendere confuso), ma qui si supera e giunge a una delle vette stilistiche del decennio, reinventando il genere vampire che ultimamente stava annaspando terribilmente, traumatizzato da successi, quelli di Twilight e True Blood, che non dovevano essere tali (tanto da applaudire tentativi “seri” come Lasciami Entrare oltre i propri meriti).

L’America è allo sbando e il regista lo rende immediatamente lampante facendo tabula rasa del protagonista, Martin appunto, il quale ci ricorda tramite un flashback l’atroce morte della propria famiglia (fulcro della società e del sogno statunitense, è sempre bene ricordarlo): Mickle ci dice subito quindi che per essere il futuro Martin, incarnazione dell’America, non deve avere passato.

L’iter kerouackiano dunque, come tradizione cinematografica vuole, è un iter umano e spirituale che il film tratta con sorprendente asciuttezza, mostrando azioni e rapporti interpersonali senza la minima sbavatura e prolissità (ma non per questo con distacco, anzi), ponendosi anni luce da un altro titolo che gli può essere accostato, The Walking Dead, il quale non riesce a divincolarsi da quell’irritante retorica tipicamente USA.

Ad elevare definitivamente il film di Mickle a capolavoro tra i più lucenti di questo decennio, ci pensano il ritratto della religione e la rappresentazione del vampiro. Scordatevi i due puntini sul collo, i vampiri di Stake Land sono scattanti belve sbranatrici non dotate però di vita né di alcun intelletto, scoprendosi così curioso ibrido tra le due figure probabilmente più celebri dell’horror, il vampiro e lo zombie.

E nel panorama di desolazione dipinto dal regista, la religione crolla sia come sentimento che come istituzione: muore il sentimento nella figura della suora (forse il personaggio più bello e complesso del film), l’istituzione nella Fratellanza, società di vigilantes integralisti a cui Mickle assegna il compito di scindere il confine tra bene e male, nella mentalità statunitense da tradizione nettissimo e invalicabile: il gioco di ruoli, tramite anche momenti di grande cinema, (la scena dell’attacco con i “vampiri-bomba” è visionarietà altissima), s’inverte continuamente per suggerire un inquietante minimo comun denominatore.

In altre parole Mickle ha ripreso, rimodernato e riproposto (senza comunque raggiungerne i livelli di potenza, soprattutto per quanto riguarda il substrato sessuale, che al giovane regista non sembra interessare più di tanto) tratti dell’estetica e della filosofia nientepopodimeno di Lemora, La Metamorfosi di Satana, capolavoro maledetto del vampire 70s, nonché tra i vertici assoluti dell’horror tout court di sempre.

In tutto cammino metaforico, il film si conclude come più metaforicamente non si potrebbe, l’arrivo di Martin e Peggy in Canada, ora chiamato emblematicamente New Eden: con una distrutta umanità alle spalle, ai novelli Adamo ed Eva non spetta altro che scrivere il primo capitolo di una neogenesi in questo nuovo Paradiso Terrestre.

Nel cast brillano Nick Damici, anche co-sceneggiatore della pellicola (doppio ruolo che ricoprì pure in Mulberry Street), Connor Paolo, Kelly McGillis e la scream queen Danielle Harris (battezzata a 11 anni alla causa horror nel 1988 con Halloween 4 – Il Ritorno di Michael Myers, non ha più mollato il genere).

Vedremo mai questo film in Italia, o ci faremo sfuggire l’ennesimo gioiello? Al momento non ci sono date ufficiali, sebbene il film sia stato presentato al Festival della Fantascienza di Trieste (dove ha vinto il Premio del Pubblico). Quindi, magari proprio come il suo “fratello buono” Zombieland, verrà proposto direttamente per il mercato home video. Speriamo vivamente che in qualche modo esca: l’acquisto di dvd e blu ray esteri per cecità casalinga sta diventando abitudine necessaria ma fastidiosa.

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loson79 (ha votato 8 questo film) alle 20:40 del 13 dicembre 2012 ha scritto:

Ancora nessun commento? Guardatevi 'sto capolavoro e ricredetevi, signori! Recensione illuminante, non saprei cos'altro aggiungere.

Alberto Longo alle 11:27 del 14 dicembre 2012 ha scritto:

E come non seguire il consiglio di entrambi? Magari la notte del 24...:p mi avete convinto. Bella recensione!

tramblogy alle 14:59 del 14 dicembre 2012 ha scritto:

Anche a me...

alejo90 (ha votato 4 questo film) alle 16:50 del 14 dicembre 2012 ha scritto:

recensione interessante, concordo con gli altri commenti, ma.... c'era bisogno di scrivere come va a finire???

Krautrick, autore, alle 22:13 del 15 dicembre 2012 ha scritto:

sì, lo sentii necessario per rendere evidente la metafora del viaggio presente nel film. Poi non ho mai ben compreso cosa rovinerebbe lo spoiler...la trama è solo l'aspetto più banale da gustare di un film

Ringrazio Loson per gli immeritati complimenti. Guardati pure Blood Car, mi raccomando

Ad ogni modo, sembra che la mia preghiera finale sia stata ascoltata...il prossimo mese Stake Land esce finalmente anche da noi, sia in dvd che in blu ray