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7/10

Cold In July regia di Jim Mickle

Thriller
recensione di Davide Di Legge

Richard è un piccolo imprenditore che una notte uccide un ladro che era entrato in casa sua. Il padre della vittima inizierà a molestare lui e la sua famiglia fino a quando la polizia cercherà di metterlo fuori causa per sempre. Richard salverà l'uomo da morte certa e da lì inizierà un sodalizio alla ricerca della vera identità del ladro ucciso.

Jim Mickle è uno dei tanti nomi che stanno provando ad emergere dall'ambiente cinematografico di "serie B" all'interno del quale sono nati. We are what we are, film horror del 2013, remake di un titolo messicano, aveva mostrato un regista che riusciva a sopperire alla pochezza dei mezzi con un discreto talento nella messa in scena, l'appoggio "atmosferico" alla fotografia e soprattutto la scelta di una regia invisibile che a tratti sembrava molto più vicina al cinema europeo che ai ritmi e alle soluzioni visive e di montaggio che sono ormai largamente tipiche del modus operandi americano. Partendo da quelle caratteristiche, Mickle ha cercato di trasferirle nel lavoro successivo, questo Cold in july apparso nelle sale americane nel 2015. Anche il cast è salito in livello e annovera nomi molto più noti come quelli di Michael C. Hall, Sam Shepard (di nuovo straordinario), Don Johnson e Vinessa Shaw.

Muovendo dall'horror Mickle ha soltanto leggermente stemperato la carica violenta del suo cinema e dal cannibalismo quì si passa ad un thriller duro e senza fronzoli, che mai si pone il problema di annacquare la sua brutalità per lo spettatore. Fin dalle prime sequenze, per culminare in un ending deflagrante, il cineasta tratteggia una pellicola che non si fa problemi a scagliare pugni nello stomaco. Ad affiancare questa scelta c'è una messa in scena che si rifà ad un certo cinema anni '80 (chiari i riferimenti a Carpenter) e che punta tutto sul trionfo di toni e atmosfera oscura e soffusa per sottolineare la vicenda narrata.

L'iconografia è quella classica dei revenge movie e a mostrarci lacune di derivatività c'è una sceneggiatura (opera congiunta di Mickle e Nick Damici) che ha purtroppo bisogno di espedienti per poter proseguire lungo una via che rimane comunque tortuosa: va detto che il film è tratto dall'omonimo romanzo di Joe R. Lansdale e quell'andamento multiforme e cangiante che può ben funzionare in un libro, nel film in questione finisce per mostrare il fianco a dei "singhiozzi narrativi" che lasciano sul campo espedienti che non funzionano benissimo in un racconto cinematografico. Un esempio è la sequenza quasi grottesca del pestaggio e del relativo ritrovamento delle videocassette, che appare stucchevole nella sua costruzione artificiosa. Si capisce in questa come in altre scelte prettamente narrative che l'adattamento dal romanzo allo schermo abbia comportato delle evidenti difficoltà di plot. Ecco perchè si fa fatica ad individuare dove il racconto vada a parare, cambiando più volte scenari e situazioni per finire marginalizzando ciò che aveva aperto il film (la figura della moglie Ann o dello sceriffo).

E' evidente che Cold in july pecchi di originalità e ciò nasce dalla scelta stessa di adattare un romanzo di quel tipo. Da quì risulta scontato anche il parallelismo con un altro revenge movie come Blue ruin che è affine per alcune scelte di trama e soprattutto ricerca di un'atmosfera da "periferia". Su questo aspetto Mickle rimane coerente con quell'isolamento che aveva già mostrato in We are what we are, in cui l'horror serviva anche come tramite per raccontare una ruralità americana sempre più schiacciata da una crisi identitaria. Quì il protagonista Richard (interpretato da Michael C. Hall) è un piccolo borghese, ma torna di nuovo il tema della paura e della chiusura di fronte ad un mondo circostante che è oscuro e corrotto. Aspirazioni sociali si mescolano ad affinità con lo stile carpenteriano, che viene più volte evocato soprattutto da una soundtrack elettronica (curata da Jeff Grace) che rimanda subito ai lavori ottantiani del regista di Halloween.

Cold in july è un film incompleto e che acchiappa qua e là da titoli che sono venuti prima di lui. Eppure Mickle riesce a costruire una pellicola che gestisce i suoi momenti di debolezza per affiancarli con una regia all'altezza e un crescendo che esplode in un finale notevole, dove è labile il passaggio dall'uomo di tutti i giorni al killer che mai avrebbe sospettato di esserne capace. Ecco perchè l'ultimissima inquadratura porta l'orrore nella quotidianità e fissa un finale che è amarissimo, nei toni e nei concetti.

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