Thor regia di Kenneth Branagh
FantasticoAd Asgard è il giorno della successione al trono: il vecchio Odino lascerà il posto al figlio Thor. Ma all’improvviso del vento gelido attraversa la grande sala, segno che i giganti di ghiaccio, abitanti del Regno di Jotunheim e nemici degli Dei, hanno varcato le soglie di Asgard. Per Thor tale affronto va punito con la forza e così, disobbedendo al padre, si reca a Jotunheim insieme al fratello Loki e ai suoi amici. I sei guerrieri, sul punto di cedere, vengono salvati da Odino il quale, una volta tornati ad Asgard, ripudia il figlio e lo caccia dal suo regno, lo priva di ogni potere e lo manda in esilio sulla Terra. Qui Thor viene soccorsa dalla bella astrofisica Jane…
Fino a poco tempo fa l’unica “collisione autoriale” in cui era incappata la Marvel risaliva al 2003, anno in cui Ang Lee diede vita alla trasposizione di Hulk. Un film fallimentare in toto, incapace sia di soddisfare il pubblico che di accattivare la critica, tanto che, per la prima e unica volta (nel 2012 uscirà The Amazing Spider-Man, il quale però non è assolutamente da intendersi come una bocciatura alla trilogia di Raimi) si optò nel 2008 per un “reboot di salvataggio”, affidando a Louis Leterrier la regia e ad Edward Norton il ruolo principale, riuscendo a dar vita ad un film più degno e consono.
Per la realizzazione del personaggio più “mitico” dell’universo Marvel, quel Thor che proprio attraverso Hulk aveva avuto finora l’unica apparizione sullo schermo (in uno dei film tv anni ’80 con Lou Ferrigno, La Rivincita dell’Incredibile Hulk), è stato chiamato un regista “mitico”, Kenneth Branagh. L’autore britannico viene infatti ricordato perlopiù per l’adattamento del capolavoro di Mary Shelley, Frankenstein, e per le numerose trasposizioni cinematografiche delle opere di uno degli “dei” per eccellenza della letteratura di tutti i tempi, William Shakespeare.
Si parla di mitologia, dunque. Non solo per la natura del personaggio, ma anche per lo status e la considerazione che il possente Dio del Tuono, nato fumettisticamente parlando quasi cinquant’anni fa (1962) per mano della coppia delle meraviglie Stan Lee-Steve Ditko, ha conquistato tra i lettori. Un eroe che è stato ed è amato proprio per il suo carattere mitologico, esulando quindi l’origine degli altri supereroi USA.
C’era quindi grande curiosità per vedere come la raffinatezza di Branagh si conciliasse con il mondo di Asgard. Ebbene, da un punto di vista tecnico il film è ineccepibile, addirittura entusiasmante: la sontuosa scenografia di Bo Welch (Edward Mani di Forbice, Il Colore Viola, La Piccola Principessa), innanzitutto, visualizza con grandissima eleganza il dualismo tra Asgard e Jotunheim, il mondo dei ghiacci, ed è rafforzata dalla fotografia di Haris Zambarloukos, che insiste sui toni del giallo e del blu. Grande lavoro è stato fatto anche per quanto riguarda i costumi (che nel film hanno naturalmente grande importanza): a realizzarli è stata chiamata la pluripremiata Alexandra Byrne (Oscar per Elizabeth: The Golden Age e BAFTA per Persuasion), abilissima nel mescolare tratti classici e moderni.
Grandissimo il cast, con un tanto imperiale quanto essenziale Anthony Hopkins nei panni di Odino e un meraviglioso Tom Hiddleston che ha preso le sembianze di Loki, rendendo con straordinaria abilità le sfumature psicologiche e morali del Dio del Male (il vero vincitore è lui); sebbene più banali, sono comunque puntualissime le performance di Chris Hemsworth nelle vesti di Thor e della sempre stupenda Natalie Portman (l’entusiasmo ovviamente non si riduce al mero aspetto fisico).
Il problema del film sta unicamente nella scrittura: il plot di J. Michael Straczynski (a modesto parere di chi scrive tra i più sopravvalutati autori di fumetti contemporanei) e del mediocre Mark Protosevich (The Cell, Poseidon, Io Sono Leggenda) non brilla per inventiva e né la coppia di sceneggiatori Ashley Edward Miller-Zack Stentz (coadiuavata dal nomen omen Don Payne) né la regia di Branagh riescono ad elevare il film ad un livello superiore.
In particolare il regista di Belfast tenta di fondere la natura fumettistica del soggetto a quella più letteraria, appoggiandosi e all’amato Shakespeare e ai poemi epici, ma il tutto finisce per risultare sfilacciato, sconnesso, privo di una coesione. A risultare soprattutto fastidioso e fuori luogo è l’inserimento di elementi e scene comiche che non fanno altro che danneggiare il film, non riuscendo a far ridere e non riuscendo ad adempiere alla funzione di collante tra le varie scene portanti.
Se forse (anzi, sicuramente) era troppo pretendere una ripresa analitica dei miti nordici a discapito del piano più superficialmente popular, da un regista “letterario” come Branagh ci saremmo aspettati più coraggio: nell’accentuare maggiormente i contrasti tra gli dei di Asgard e i giganti di ghiaccio, nell’introspezione psicologica tra i vari membri della famiglia di Thor, nello smussare quei caratteri “comici” prima menzionati.
Thor rimane comunque un’opera godibile, tra i più riusciti film Marvel (anche se gli esiti di Iron Man e, soprattutto, Spider-Man, sono lontani anni luce), ed è molto probabile che rincontreremo il Dio del Tuono in un sequel.
Per ora i fan dovranno accontentarsi di rivederlo nel film sui Vendicatori, The Avengers: appuntamento per il 2012.
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