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10/10

Nosferatu il vampiro regia di Friedrich Wilhelm Murnau

Horror
recensione di Fabio Secchi Frau

  Il giovane agente immobiliare tedesco Hutter viene spinto dal suo datore di lavoro, Knock, ad accettare un incarico in Transilvania, dove dovrebbe concludere la vendita di alcune case di Brema al nobile Conte Orlok. Sfortunatamente, giunto nel suo castello situato sui Carpazi, scoprirà di essere finito nelle mani di un vampiro che lo terrà suo prigioniero e poi partirà per la Germania, desideroso di portare pestilenza e morte nella nazione.

   Il primo dei due capolavori del grande maestro e padre del cinema Friedrich Wilhelm Murnau (il secondo è Aurora, 1927).

  Dopo l’uscita di due classici dell’Espressionismo tedesco (Il gabinetto del Dottor Caligari, 1919, di Robert Wiene, e Il Golem, 1920, di Paul Wegener), si generò all’improvviso, quasi dal nulla, il primo fra “i film di mostri” e il terzo basilare capitolo conclusivo di questo movimento artistico nella settima arte. Un film che illuminò, terrorizzò e stupì l’arte cinematografica, e chi già allora la seguiva, per aver raccolto dentro di sé tutti i silenti e primigeni incubi della Repubblica di Weimar. Disgraziatamente, essendo un plagio non autorizzato del romanzo Dracula, la vedova di Bram Stoker, dopo la visione della pellicola, intentò una causa contro la Prana Film, ottenendo nel 1925 il rogo di tutte le copie esistenti della pellicola. Murnau, compiendo un’azione illegale e rischiando l’arresto, riuscì a nasconderne una soltanto ed è da quell’unica copia che Nosferatu è arrivato fino a noi.

  La storia è molto semplice e ripercorre, a grandi linee, lo svolgersi del noto romanzo (del quale comunque, rimane la prima versione cinematografica non ufficiale) ma, con qualche importante cambiamento nella trama per offrire allo spettatore una più inconsueta versione di quello che sarà poi un classico della letteratura mondiale.

  Dietro la macchina da presa, l’occhio di Murnau compone e orchestra, dunque, questa opprimente pestilenza al limite dell’onirico, sfruttando il taglio delle inquadrature e delle soluzioni tecniche che, ancora oggi, sono sorprendentemente rivoluzionarie nella loro facilità. Vedi, per esempio, l’arrivo della carrozza del vampiro, che venne stampato in negativo, oppure la corsa del carro funebre del non-morto, che venne invece accelerata, per dare allo spettatore un effetto più innaturale e aggiungere inquietudine all’inquietudine.

  Rimarrà ai posteri il simbolo della pellicola: il nosferatu. Il vampiro più terrificante della Storia del Cinema. Quel Conte Orlok che genera ancora oggi un’ineffabile e continua tensione per il mostruoso e deforme aspetto semi-animale (un po’ pipistrello, un po’ insetto, un po’ umano) sotto il cui trucco si nascondeva il caratterista Max Schrek che ottimamente studiò e replicò i movimenti furtivi di certi animali selvaggi, sempre pronti a balzare contro un’eventuale preda. È lui il corruttore, il senza-storia che porta la morte e che, secondo alcuni critici tedeschi, incarna il terrore di Murnau per quell’antisemitismo e quel razzismo che verranno nel futuro ma che già si respiravano nell’aria.

  Questo spettrale simbolo di paranoia germanica è un tutt’uno con la fotografia di Fritz Arno Wagner e, quindi, con le ombre che prima si stagliano sul veliero che lo porta dai Carpazi a Brema (in una serie di inquadrature che vedono le sue lunghe unghie dispiegarsi fra ratti, legno e vele) e poi sulla terraferma. Spesso incorniciato fra porte, finestre e archi (come se fosse sempre imprigionato nei confini della sua bara) tende la sua scura, lenta e misurata sagoma contro la bella Ellen ma, anche contro tutta l’umanità, assumendo il ruolo del Male senza tragicità. Puro Male onnipresente.

  Sullo sfondo, tutti gli altri personaggi. Il tanto sicuro Hutter, la sua bella e sacrificata fidanzata Ellen e il servile e schifoso Knock. Melodrammatici, ben descritti perché già basati sugli stessi personaggi di Stoker, ma nulla di più che grotteschi burattini del vampiro.

  E infine, l’Espressionismo più puro. Luci e ombre che creano squadrature e angoscia anche nelle brulle ed erose montagne dei Carparzi, anche nelle quasi infinite dune di sabbia, anche nelle larghe vie di Brema, assumendo significati stranianti. Ed ecco qui la grandezza di Murnau e del suo approccio artistico. Nosferatu diventa non un film espressionista ma, il film espressionista. Rispettando quelle che erano le regole di questo fenomeno, il regista tedesco le impone in uno scenario che, fino ad allora, era rimasto a priori escluso: i paesaggi originali, gli esterni. Piuttosto che ricreare boschi e sabbie nello studio, impone il buio e l’oscurità fuori. E supera la prova. L’atmosfera mistica che circonda il desolato castello è al limite di una nebbiosa visione mitologica.

  Quindi, arrivando a ingannare le leggi della Natura, si sancisce la potenza espressiva del cinema e, fatto questo, eccoci di fronte al motivo per cui Nosferatu è ritenuto il primo grande Capolavoro della settima arte.

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