R Recensione

7/10

La terra che brucia regia di Friedrich Wilhelm Murnau

Drammatico
recensione di Fabio Secchi Frau

Dopo la morte di un vecchio contadino, i suoi due figli ne ereditano i terreni, ma solo uno dei due vuole impossessarsi anche di un altro appezzamento soprannominato la terra del diavolo, una landa sterile di proprietà del conte Rudenburg (per il quale il giovane lavora come segretario), sotto la quale vi è una preziosa fonte di petrolio. Per arrivare al suo scopo, sarà disposto a tutto.

   La terra che brucia si considerava perduto almeno fino al 1978, quando cioè ne venne ritrovata una copia completa in una collezione di pellicole di un sacerdote italiano, che faceva delle proiezioni negli ospedali psichiatrici.

  La storia è piuttosto semplice (e porta fra l’altro la firma dell’ex moglie di Fritz Lang, la sceneggiatrice Thea von Harbou) seppur sfiori, come genere raccomanda, forti elementi melodrammatici per andare incontro a un certo cinema commerciale, che era di forte richiamo per il pubblico tedesco dell’epoca.

  Verità e larghezza emotiva colpirono, infatti, i cuori degli spettatori del 1922, che rimasero affascinati dal riflesso di quei conflitti, silenziosi e struggenti.

  In La terra che brucia non c’è solo la lotta tra donne dello stesso rango (in questo caso, Gerda ed Helga), ma anche le bugie, gli intrighi, la ricerca del potere e, soprattutto, il desiderio di denaro.

  Con questa scusante, gli sceneggiatori vollero esplorare gli spazi sociali, spostandosi dalla quiete della massa contadina al nervosismo, all’isteria e alla depressione della classe nobile. Ma a muovere gli uni e gli altri, sono sempre le stesse leve: la determinazione, l’ambizione, la vigliaccheria. Spinte che porteranno a tradimenti e menzogne.

  Murnau, anche in questo caso, si comporta come quel genio del cinematografo che era, soddisfacendo pienamente la propria anima artistica, che ben si sposa con l’ambiente rustico nel quale la vicenda è prettamente narrata.

  Precise e dettagliate sono le scene contadine (su tutte anche quelle più intime, lontane dal dramma sociale e dal tono melodrammatico del film, come quella in cui Peter chiede alla fidanzata del fratello minore, ormai abbandonata, di sposare lui invece dell’altro),quelle in cui camerieri e servi se ne stanno stretti nelle case coloniche, così come pure le negoziazioni per il petrolio e gli intrighi d’amore nel castello.

  Inoltre, il regista sceglie di utilizzare un montaggio parallelo, per accentuare la tensione e moltiplicare i fili narrativi.

  In patria, come all’estero, la fotografia di quest’opera venne lodata, così come pure la scenografia poetica e fascinosa in cui le prestazioni del cast, finemente sfumati nel loro complesso, e poco teatrali anche nelle fiammate drammatiche, si agitano.

  Si tratta, come molti studiosi hanno affermato, di un film di opposti puri: la città contro la campagna, la nobiltà contro i contadini, i fertili terreni agricoli contro la terra arida e col petrolio, donne umili contro donne superbe. Un dualismo che rende il film vivace, ricco e in continuo movimento, passando dalla società degli uomini a quella della natura.

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