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5/10

La Dune regia di Yossi Aviram

Drammatico
recensione di Alessandro Laganà

Hanoch ha un’officina dove ripara biciclette in Israele. Quando la moglie gli dice di essere incinta, capisce di non essere pronto per fare il padre. Nel frattempo, in Francia, l’ispettore Reuven Vardi è ormai al termine della carriera. Le loro vite, all'apparenza così lontane, si avvicineranno inesorabilmente, riportando alla luce segreti del passato.

Opera prima del regista israeliano Yossi Aviram ma di produzione francese La Dune, vincitore della passata edizione del festival internazionale di Haifa, parla di due uomini all’apparenza senza niente in comune che però, con l’avanzare della pellicola, si avvicinano rivelando un rapporto profondo e sepolto dal tempo.

Il primo, Hanoch, è un quarantenne che, scoprendo della gravidanza della fidanzata, fugge dalle responsabilità e da Israele, diretto verso la Francia. Il secondo, Reuven, è un ispettore della polizia, interpretato da Niels Arestrup, che dopo un ultimo caso finito male comincia a sentirsi depresso e a pensare sia il momento di andare in pensione.

I due personaggi si avvicinano piano piano, in un'ora buona in cui lo spettatore non capisce cosa stia succedendo, avvolto in un alone di mistero dal regista in preparazione di un finale rivelatore che però non soddisfa affatto dopo una sequela di scene assolutamente fini a se stesse. Sequenze che non aggiungono nulla di nuovo ma sembrano essere lì solo per allungare il brodo per arrivare alla fine. La storia è nascosta per tre quarti del film, in cui fondamentalmente non succede niente a parte la visione di bellissimi paesaggi francesi (che rispecchiano il passato da direttore della fotografia del regista) e una recitazione di ottimo livello.

Un film lento, compassato e autoreferenziale che sarebbe giustificabile solo a supporto di un finale degno di un’eterna attesa per una spiegazione a sessanta minuti di difficile interpretazione. Finale che invece delude ancora di più rivelandosi ancor più banale del resto. Il film si salva parzialmente per le inquadrature e il cast sopracitati e qualche lampo di storia e dialoghi, in particolare il rapporto tra Reuven e il compagno Paolo (l’unica cosa ben strutturata del film) che risvegliano lo spettatore da un torpore indotto da un lungometraggio che non arriva e non tocca le corde che avrebbe voluto toccare.

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