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R Recensione

9/10

The Imposter regia di Bart Layton

Documentario
recensione di Robin Whalley & Antonio Falcone

13 giugno 1994, Sant’Antonio, Texas. Nicholas Barclay, un ragazzino di 14 anni, scompare improvvisamente da casa, senza lasciare alcuna traccia di sé. I familiari, come la sorella Carey o mamma Beverly, attoniti ed incapaci di fornire una spiegazione al riguardo, sembrano ormai rassegnati al peggio. Tre anni e quattro mesi più tardi dal tragico evento, il 7 ottobre 1997, a Linares, in Spagna, la polizia locale riceve una misteriosa telefonata, relativa al rilascio di un ragazzo rapito. Incredibile a dirsi, ma dopo tanto tempo e ad una distanza a dir poco notevole dal luogo della scomparsa, Nicholas sarebbe, anzi è, ancora vivo. Certo il suo aspetto ha adesso qualcosa di diverso, il colore degli occhi ad esempio, per non parlare dell’ accento… Ma in fondo è trascorso tanto tempo e le sevizie cui racconta di essere stato sottoposto (rapito insieme ad altri coetanei da una setta di schiavisti del sesso, sarebbe stato oggetto anche di cruente sperimentazioni) sembrerebbero giustificare certe mutazioni, niente che preoccupi comunque la sua famiglia, pronta a riaccoglierlo senza porsi tante domande. Ma proprio quando la reintegrazione, anche sociale, appare pressoché definitiva, un investigatore privato…

 

Robin Whalley (voto 9):

Se non fosse un documentario, nessuno ci crederebbe. Qualcosa di talmente assurdo da essere più strano della finzione, per usare un'espressione inglese. Eppure "tutto ciò che vedrete è successo davvero, e non una, tra le persone intervistate, è un attore", insiste il regista Bart Layton prima della visione del film.

Le luci si abbassano e scorrono i titoli di testa, che accompagnano filmati amatoriali in VHS del piccolo Nicholas. Ci viene presentata, in modo chiaro e diretto, la premessa che scatena gli eventi. A parlare sono i familiari, in primo piano la sorella Carey e la madre Beverly, che ci descrivono le immediate sensazioni di perdita, di vuoto improvviso. Viene poi riprodotto un nastro audio contenente la conversazione fra una coppia di turisti e la polizia spagnola. E' stato ritrovato un ragazzo di 14/15 anni, molto spaventato. A tre anni dalla scomparsa, miracolosamente, si può tornare a sperare.

Stesso nastro, riavvolto. Questa volta a parlare è il francese anglofono Frederic Bourdin: "Fin da quando ne ho memoria, ho sempre voluto essere qualcun altro"

Un senso di disorientamento, ma in poco tempo diventa tutto chiaro: l'impostore del titolo, che si è appropriato dell'identità di Nicholas, è lui, Frederic Bourdin.

Ci ha provato e ci è riuscito, la famiglia è convinta che sia lui.

Sorgono subito le domande: perché, per quale motivo fare una cosa del genere? Ma ancor di più, come è possibile che abbia funzionato?

The Imposter parte da questi interrogativi, e prosegue a ritmo incessante alla ricerca di qualche risposta. Più si va avanti però, più le domande non solo rimangono senza risposta, ma si moltiplicano, intessendo una trama di possibili implicazioni sempre più inquietanti e sconvolgenti, per giungere ad un devastante atto finale. Ci sono tre, quattro, forse cinque versioni diverse della verità, e ognuna ha i suoi convintissimi sostenitori.

Più che di un documentario sembrerebbe la descrizione di un thriller intrigante e ben costruito, ed è proprio questa la sensazione che si ha mentre lo si guarda. Ma non si tratta di un errore o di confusione, bensì di un effetto preciso e totalmente voluto.

Inserendosi nella grande tradizione del docu-fiction, e quindi aiutandosi con alcune scene ricreate a scopo drammatico (come già avevano fatto Errol Morris in The Thin Blue Line o più recentemente James Marsh in Man on Wire) Layton narra e dirige questa storia con una maestria assoluta, e crea un intero universo narrativo pieno di misteri e di colpi di scena. Grazie al modo in cui è costruito, stentiamo a credere ai nostri occhi eppure, allo stesso tempo, siamo costretti a farlo. E' un paradosso di fondo da cui questo film trae la sua forza vitale, e che in un certo senso mette a nudo la psicologia dei suoi personaggi, riuscendo a dirci qualcosa anche sulla natura umana più in generale. 

Si potrebbe dire questo e molto altro, ma The Imposter è quel tipo di film che non solo non ha bisogno di descrizione ma in un certo senso la rifiuta, perché il suo impatto è qualcosa che va sperimentato in prima persona, lasciandosi intrappolare nella sua magica rete di dubbi e supposizioni.

Dovete a voi stessi l'esperienza di guardarlo ed esserne perseguitati per giorni a venire.

Presentato in anteprima nazionale nella sezione documentari "Visti da Vicino" della 32° edizione del Bergamo Film Meeting, il film ha in programma una distribuzione molto limitata in circa 20 città. Al tempo della sua uscita in Inghilterra e USA fu indicato come possibile candidato agli Oscar, e francamente sfugge il motivo della mancata nomination.

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Antonio Falcone (voto 8):

Opera d’esordio sul grande schermo del regista e sceneggiatore inglese Bart Layton, L’impostore- The Imposter, di recente presentazione al Bergamo Film Meeting dopo aver esordito nel 2012 al Sundance Film Festival, conseguendo man mano vari riconoscimenti (come il BAFTA per il Miglior Debutto), rappresenta una pellicola certo particolare, la cui suggestività è costituita dal felice connubio di diversi generi filmici, innestati sulla struttura portante propria di un docufilm ed arricchiti da una combinazione dei vari elementi tecnici pressoché perfetta, capace di stupire e sconvolgere più volte nel corso della visione, in virtù di quanto messo in atto dall’autore per “giocare” con noi spettatori. Layton, infatti, attraverso la narrazione diretta per bocca di Frédéric Bourdin, noto ladro d’identità internazionale (soprannominato Il camaleonte, la cui figura, interpretata da Marc-André Grondin, era stata già oggetto di un film nel 2010, The Chameleon, per la regia di Jean- Paul Salomé), ci porta a conoscenza di ogni minimo particolare della truffa messa in atto da questi per spacciarsi come Nicholas Barclay, ma allo stesso tempo dissemina vari indizi idonei a depistare e, soprattutto, mantenere viva la suspense.

Entra quindi gradualmente in scena, con modalità estremamente tese ed avvincenti, divenendo protagonista, la serpe in seno dell’ambiguità propria di ogni essere umano, ben celata dal sipario della realtà , connotata ulteriormente da elementi ripresi dalla migliore tradizione tanto del noir quanto del thriller, come evidenziato anche dalla fotografia di Erik Wilson e Lynda Hall. Nella vivida alternanza (un ruolo fondamentale lo gioca al riguardo il montaggio di Andrew Hulme) fra la soggettività espressa dalle interviste alle varie persone coinvolte nelle vicende narrate, e l’oggettività delineata dalla ricostruzione filmica delle loro azioni (e pensieri), ricorrendo anche a materiali di repertorio, l’elemento più propriamente coinvolgente è la progressiva scoperta del se, quando e come la veridicità dei fatti verrà fuori. Nella cornice di un’ inquietante atmosfera, dove all’interno di una stessa realtà si palesano tante verità, ognuna di queste, pur nella sua diversità, si fa forte di una valenza che le è data dagli occhi di chi guarda in combinazione con le modalità di chi racconta, praticamente la stessa tacita complicità richiesta al pubblico nel buio della sala cinematografica.

La struttura più propriamente giallistica soppianterà quella documentaria di base nel finale, dove, fra più persone in precario equilibrio su quella corda tesa che è la vita, in continua oscillazione tra realtà e sospetto, ognuno di noi potrà costruirsi una propria visione di come siano realmente andate le cose, mentre si staglia, poco prima dello scorrere dei titoli di coda, un’unica, straniante, verità. L’interesse primario dell’individuo, dell’essere umano, è rappresentato dalla propria affermazione, verso se stesso in primo luogo e poi nei confronti degli altri, accettarsi ed essere accettato, anche a costo di apparire diverso da ciò che si è, potendo fare affidamento, nel complice gioco delle parti fra chi recita un ruolo al riguardo e quanti plaudono alla sua interpretazione, sullo scambio, apparentemente satisfattivo, tra la realtà dell’inganno e l’inganno della realtà. L’impostore- The Imposter, in definitiva, può già considerarsi tranquillamente un piccolo cult, sia per l’indubbio fascino visivo e la capacità di rendere gli spettatori parte attiva, sia per l’idoneità a stimolare una serie di riflessioni sull’arte cinematografica, da sempre opportuno tramite per rappresentare tanto il reale quanto l’illusorietà che lo circonda.

 

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