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7/10

Jada - Thirts regia di Svela Tsotsorkova

Romantico
recensione di Marta Terzi

Una famigliola sbarca il lunario occupandosi del servizio di lavanderia per gli hotel della zona. La siccità, che da molto tempo mette alle strette il paese, costringe i personaggi a chiedere aiuto ad una rabdomante adolescente e a suo padre, che promettono loro di trovare una sorgente d'acqua nella proprietà. La presenza dei due intrusi scava nelle vite della famiglia, così come la loro pompa scava in cerca d'acqua, portando alla luce bisogni e sentimenti sopiti, che scoprono la consapevolezza di un nuovo tipo di sete: il desiderio amoroso.

Si apre così la rassegna Mostra in Concorso di questa edizione del Bergamo Film Meeting, con un film bulgaro: Jajda, primo lungometraggio della regista bulgara Svetla Tsotsorkova, diplomata nel 2004 all'Accademia Nazionale per il Teatro ed il Cinema, a Sofia. Jajda ci viene presentato dalla sua produttrice come un film che parla d'amore; la storia, che ad una prima lettura pare molto semplice e lineare, si costruisce su un continuo rimando ad un sotto testo, che si cela nell'arido terreno della Bulgaria. Il lungometraggio è sviluppato attorno a metafore, come la sete fisica causata dalla siccità che porta ad una sete di relazione causata dalla solitudine. Le gole secche e gli abiti sudati hanno bisogno solo di una ventata di nuova umanità, che porti con sè quel tipo di amore che ci costringe a rimanere umani, per citare la regista. La caratterizzazione dei personaggi comincia quando essi entrano in contatto con l'altro; ed ecco che scopriamo una mamma burbera, che cerca affetto, un ragazzo solitario, che cerca relazione, un padre fuori dal mondo, che cerca, nell'aggiustare quello che lo circonda, una via di fuga. Eppure in questo intreccio interessante che chiede allo spettatore una sua interpretazione e una sua collaborazione attiva, per ricostruire le maglie fisiche e metafisiche del racconto, ci si è forse dimenticati del lato reale della storia. Essa procede lentamente, seguendo i personaggi attraverso primi piani di reazione più che di azione, per studiarli da vicino, ma, nonostante lo scontrarsi di due mondi, manca una catarsi che sia percepibile anche nel piano della realtà. I personaggi si conoscono, ma non si influenzano, non cambiano il loro modo di agire; e allora ci si chiede cosa davvero cosa sia successo a questi esseri solitari, cosa sia restato loro oltre la morte. Un film che sembra guardare al mondo con un occhio positivo e di riguardo per chi soffre, si trasforma velocemente, forse troppo, in un pessimismo nero, che vede nella possibilità di cambiare, e cambiarsi, un'illusione. Questo, a mio parere, è l'unico aspetto negativo del film. A far da contro altare, tuttavia, riconosco un finissimo lavoro di fotografia, che rende, attraverso i colori pastello, un paesaggio asciutto e bisognoso, rosso un ragazzo che è fuoco e azzurra una ragazza che è speranza di acqua; due personaggi che nel finale possono finalmente incontrarsi sul piano fisico dell'abbraccio e sul piano metafisico della pioggia che cade sull'incendio. Vesselin Hristov, al suo primo lungometraggio, come direttore della fotografia, ha sicuramente fatto un buonissimo lavoro d'esordio. Per la cura di questi particolari, il mio giudizio su questo film rimane positivo, pur non trovandolo completo in tutti i suoi aspetti.

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