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R Recensione

7/10

Parasol regia di Valéry Rosier

Commedia
recensione di Marta Terzi

Palma di Majorca, fine estate, Annie, Alfie e Prchè non si conoscono e non si conosceranno, ma hanno qualcosa in comune: un'esistenza solitaria, la nostalgia per un passato che forse non è mai esistito e la determinazione di poter cambiare le cose. Anche a costo di sembrar ridicoli e ritrovarsi indifesi di fronte alle loro fragilità.

Parasol, opera prima del regista belga Valéry Rosier, è un racconto tripartito che sviluppa il tema della solitudine nel contesto spazio-temporale dell'esaltazione della compagnia: le vacanze a Palma di Majorca. I personaggi di questa vicenda sono tre: tre esseri solitari, non per scelta, che lottano per cercare di condividere qualcosa con qualcuno. Essi vengono cambiati dagli incontri che vivono e si ritrovano più forti e forse più felici. Ecco, allora, il giovane inglese Alfie, un ragazzo secco che cerca di fare amicizia tra i suoi coetanei e rimane sempre fregato; perchè, un marito lasciato dalla moglie, un padre malvoluto dalla figlia, un lavoro che non gli dice niente ed un'esistenza piatta, con il conto corrente vuoto; ed infine Annie, una donna anziana che dopo un incontro focoso non riesce a rimettersi in contatto con l'amante André che, anzi, non sembra più volerla vedere. È una storia di solitudine quella di questi personaggi, che sono talmente soli, da non essere neanche destinati ad incontrarsi e a condividere la loro condizione. Un viaggio tra esistenze separate dal mondo, che provano e riprovano a trovare un'anima che capisca il loro disagio. Tuttavia, nella loro similitudine, sono anche tre solitudini assolutamente diverse: Alfie è in vacanza con la famiglia, vorrebbe farsi degli amici, ma incontra solo gente disposta ad usarlo; Alfie è solo come chi guarda il mondo girare e si sente inchiodato al pavimento: lui non si diverte, gli altri si. Annie esce da un incontro e si trova nella solitudine di chi è appena stato lasciato, di chi ha creduto di essere speciale per qualcuno. Perchè non è, invece, mai fisicamente solo o abbandonato, ma il suo stare con la figlia è vuoto e non ha sapore: è l'isolamento di chi non viene apprezzato, nonostante i suoi sforzi. Ma la cosa piacevole di questi personaggi è che sono profondamente umani e per questo continuano a lottare. Siamo animali sociali, diceva Aristotele, e per questo viviamo per poter fare parte di un branco, di un gruppo; vorremmo poter avere una spalla su cui piangere, qualcuno che ci sostenga, ma anche qualcuno da sostenere. La solitudine è forse uno dei mali peggiori per l'uomo e per questo i protagonisti non si arrendono: sanno, tutti e tre, che senza altro sarebbero sacchi vuoti, palloncini senza elio, corpi senza muscoli. "Gli altri" sono il loro sostegno, la linfa del loro scheletro. Per questo Annie continua a cercare André, perchè si licenzia per passare del tempo con la figlia e Alfie perde quasi tutti i suoi soldi per offrire da bere a dei ragazzi conosciuti in un bar. C'è chi fallisce e viene abbindolato dalla vita, chi ne esce vincitore e chi nel dolore trova la forza di andare avanti. Siamo davanti ad esistenze per cui ogni incontro è un processo catartico attraverso il quale sperimentano una nuova lezione di vita; l'importante, ci fa capire Alfie alla fine, è non smettere di provarci, perchè si può essere ricompensati riuscendo a rivitalizzare un rapporto logoro, ci mostra Perchè, oppure costruendo nuove amicizie, ci racconta Annie. Una storia assolutamente fresca e vivace, che guarda alla solitudine fuori dai soliti clichè malinconici, regalandoci invece una storia soleggiata di sconfitte e vittorie. Un buon film d'esordio, che scorre molto velocemente e permette a queste tre realtà di non essere mai davvero sole, ma costantemente seguite e protette da tutta la platea, mediante uno dei meccanismi più belli del cinema: l'empatia. Empatizzando con loro, il pubblico li accompagna nel viaggio, gustandosi una bella compagnia ed imparando dai loro errori.

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