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5/10

Tutta colpa del vulcano regia di Alexandre Coffre

Commedia
recensione di Alice Grisa

Alain e Valérie, divorziati e in pessimi rapporti, si trovano sullo stesso volo diretto a Corfù, dove sta per sposarsi la loro unica figlia. Ma, a causa del vulcano islandese Eyjafjallajökull, che nel 2010 fermò il traffico aereo per diversi giorni, si ritrovano bloccati in Germania. Hanno pochissimo tempo per raggiungere l'isola greca e, loro malgrado, dovranno farlo insieme.

 

L’agenda setting dei media, nell’aprile 2010, presentava solo il vulcano Eyjfjallajökull. L’Islanda, dal suo lembo di mondo, aveva bloccato il traffico aereo internazionale scrivendo la storia di un evento mai accaduto. Stava per andare in onda l’ultima puntata di Lost e qualcuno sosteneva che la nube vulcanica fosse in realtà John Locke nella sua entità malefico-trascendentale.

Costruire una commedia di romantica ferocia (o di feroce romanticismo) sulla scia della tradizione delle screwball può (poteva) essere un discorso stimolante. Nella letteratura del cuore l’abbinamento animo umano-natura è ormai un topos: sopraffatto o disfatto, in cerca d’amore, annoiato, pronto a farsi scombussolare, l’uomo è spesso associato alla pioggia, all’uragano, alla neve in una dicotomia che racconta tramite la meteorologia antropologica. Nel packaging del film alzava la posta in gioco anche la figura di Dany Boon, simbolo di un certo tipo di commedia “alla francesedivertente e intelligente. Infine c’era il più classico degli schemi di successo: il road-movie come storia (teoricamente) di formazione, trasformazione e riscoperta.

Eppure Tutta colpa del vulcano è un pasticcio incredibile e avvilente. Se Eyjfjallajökull (o John Locke, che dir si voglia) avesse saputo che genere di derive avrebbe causato bloccando i cieli, probabilmente si sarebbe ritirato molto prima. La discesa forzata di Alain e Valèrie dall’aereo li getta in una corsa ossessiva verso Corfù, dove la loro unica figlia sta per sposarsi. Con loro una Porsche a noleggio, dei cellulari e un abito da sposa come una sorta di testimone generazionale che dovrebbe essere passato dalla mamma (reduce da un matrimonio che definire fallito sarebbe un inaccettabile eufemismo) alla ventiduenne Cécile.

Mentre i due ex coniugi attraversano l’Europa tra frettolosi paesaggi simil-cartoline e canzoni da hit parade, si assiste a un parossismo esagerato dell’odio reciproco, al punto tale da diventare una macchietta noiosissima, per il fatto che i personaggi perdono di credibilità e di verosimiglianza: i battibecchi tra Alain e l’ex moglie non fanno ridere (nonostante la “faccia di gomma” physique du rôle di Valérie Bonneton) perché sono tra il forzato, l’artificioso e l’esagerato a tutti i costi. Il grottesco si può scegliere, ma non è quasi mai un coefficiente per misurare o innalzare l’humor.

La commedia si sgretola progressivamente quando i due incontrano il camper di un fanatico religioso, quando Alain vaga per una camera d’albergo della Slovenia dissanguato da una freccia conficcata nella spalla e ancora di più quando cedono a una poco (ma veramente poco) probabile passione. Il vulcano appare solo nel titolo, mette in moto la storia ma se ne disinteressa, lasciando i personaggi in balia di una sceneggiatura inverosimile, prevedibile e, a tratti, immotivatamente zuccherosa.

Il film raggiunge un finale annunciato a caratteri cubitali, al punto tale che si vorrebbe arrivarci prima e con meno fatica. Si sarebbe apprezzato, pur in un copione già strutturalmente incanalato verso una conclusione che può dirsi “classica”, un piccolo tocco che potesse distinguerlo come un prodotto autonomo, “brandizzato” dalla presenza silenziosa del vulcano.

In Tutta colpa del vulcano,  un “incidente di percorso” sicuramente da dimenticare, si salva la più universale delle tematiche: la (ri)scoperta, mediante prove più o meno adeguate, dell’essere genitori, una sensazione profonda e forte che riesce a trasparire da un film pieno di incertezze.

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