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7/10

Il Volto di un'Altra regia di Pappi Corsicato

Commedia
recensione di Alice Grisa

Bella è l'affascinante conduttrice di un programma che mostra gli interventi di chirurgia plastica. Le operazioni sono eseguite in diretta dal marito René, proprietario di una clinica nel Sudtirolo. Irritata per il suo licenziamento, causato dal calo degli ascolti, viene coinvolta in un incidente d'auto che le sfigura il viso. Quello che sembrerebbe un dramma si rivela però un'occasione di rilancio...

 

“Vi sarebbe un modo per risolvere tutti i problemi economici: basterebbe tassare la vanità”. (Jacques Tati).  Questa storia è la rappresentazione della società che odia le scarpe ballerine. È un Narciso 2.0, che, invece che contemplare la propria immagine, contempla il gradimento popolare della propria immagine.

Dopo Il seme della discordia, Pappi Corsicato prosegue sulla stessa linea e raccoglie i suoi personaggi nella casetta di Hansel e Gretel (tra i prati e le mele fiammeggianti del Sudtirolo) appetibile all’esterno quanto inevitabilmente mostruosa. La società delle vetrine, l’essere inteso (solo e unicamente) come essere percepiti, la corsa alla bellezza assoluta sono trattati con i toni della commedia nera. Il regista napoletano dichiara di essersi divertito a rimescolare e ridisegnare i generi: rom-com hollywoodiana, noir, grottesco, farsa, satira di costume, echi almodovariani per produrre un patchwork di citazioni che danno un’idea di cinema figlia dei tempi postmoderni. La locandina stessa è un richiamo nostalgico ai tempi perduti.

La clinica di René, una fabbrica di bellezza dove si svolgono gli interventi di chirurgia plastica, è ritratta come un ridicolo ospedale psichiatrico. I suoi personaggi, sia i pazienti che il personale, sono volutamente tipizzati e arrancano tra oggetti e costumi nel terreno dell’esagerazione. I degenti bendati che saltano insensatamente per il prato come animali allo scopo di rassodare le rotondità ricordano molto le atmosfere di Morti di salute (Alan Parker, 1994) e il salutismo sfrenato del dottor Kellogg, precedente analogo sul discorso dell’ibrido medical-comedy-horror. Lo humor è onnipresente e affidato a situazioni paradossali e slapstick, in un film che colpisce per l’originalità visiva (alcune inquadrature ricordano opere della pop-art). La protagonista Laura Chiatti dà vita a una Bella-bambola sintetica che parte da pellicce e grossi occhiali da sole e si ritrova a vagare per i lussuosi corridoi della clinica in vestaglie di seta e decolleté pitonate: una presentatrice il cui volto ha stufato ma che poi, colpita al viso da un water (!) e sfigurata, si troverà ad affondare in una pozzanghera con un’inattesa possibilità di riscatto. Il marito Preziosi, per l’occasione biondo e semi-intellettuale (una maschera adatta al ruolo del medico star che partecipa a un programma televisivo), un dottore con la sala operatoria in bianco e nero, la tratta proprio come una Barbie, finché lei da oggetto non diventa soggetto, nonché avversaria di visibilità e fama. Scrostando la presentazione dei personaggi da Commedia dell’Arte rimane ben poco: non c’è un’anima, c’è la possibilità di un riscatto non punitivo, ma alla fine nessuno di loro fa un percorso di redenzione.

Il tema è pre-masticato e frequente nei film degli ultimi decenni: per apparire chiunque farebbe qualunque cosa, come infrangere la legge, tradire la propria famiglia, i propri ideali (la sottotrama dell’operaio-cantante Tru Tru, pieno di ideali ma in fondo meschino come gli altri). L’Italietta degli approfittatori ormai è un cliché. Più interessante è il discorso, solo accennato, della stupidità di una massa schiava dell’agenda setting, che interiorizza qualunque messaggio venga passato dai media. Il pubblico viene sedotto con la bellezza ed è facilissimo da ingannare, se allestisci uno spettacolo con le luci giuste e gli abiti di scena sontuosi (per questi ultimi il regista dichiara di essersi ispirato al mondo della moda e al cinema giapponese). Ancora più meritevole, a un livello più profondo, è la riflessione sul volto, sull’identità celata , camuffata e svelata, la necessità di mascherarsi per ritrovare sé stessi e ri-svelarsi, affine a La pelle che abito di Almodovar ma con sostanziali differenze: se il regista spagnolo incantava con una poesia vagamente surreale e dai toni delicati, ne Il volto di un’altra si enfatizza tutto giocando con il simbolismo e la bulimia degli oggetti (wc, animali impagliati, camper, scarpe, giostra, zucchero filato). Emerge una rappresentazione della realtà visivamente molto caricata(come nella particolare “esplosione” finale) ma non altrettanto nel discorso di fondo; forse Corsicato avrebbe dovuto osare di più. Il risultato è comunque godibile e non perde mai il suo status di fiaba grottesca, come se i mostri fossero disegnati con gli Uni Posca dei bambini.

 

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