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5/10

Paranormal Stories regia di Andrea Gagliardi, Gabriele Albanesi, Marco Farina, Omar Protani, Roberto Palma, Stefano Prolli, Tommaso Agnese

Horror
recensione di Alice Grisa

Una cornice per cinque episodi sul tema horror. I figli di uno scrittore, dopo il suo funerale, devono fare i conti con un suo terribile episodio passato; Un ragazzo chatta con un amico che però si è suicidato il giorno precedente; Una medium truffatrice viene perseguitata dagli spiriti; In un piccolo paese, nel 1984, n bambino malato di cuore e muto viene preso di mira dai coetanei; Tre ragazze in auto di ritorno da una vacanza investono qualcuno per sbaglio e non si fermano a controllare.

 

Il genere “spaghetti-horror”, che fa leva sulle storie di paura, anglosassoni di nascita e trapiantate con necessari riadattamenti socio-culturali, in Italia ha un passato sufficientemente glorioso e “orrorifico” da aver generato un filone qualitativamente prolifico.

Tra gli anni ’70 e ’80 Mario Bava, Dario Argento, Lucio Fulci hanno regalato dei gioiellini di paura nostrana tali da dare un tono personale a un genere nato nella culla espressionista tedesca e, una volta esportato in Italia, inevitabilmente da contestualizzare su un territorio con specificità e contraddizioni.

A questo proposito, il merito di questi cinque episodi ghost è proprio quello di provare a rappresentare l’orrore incarnato nello squallore del quotidiano, nei guasti che il nostro Paese si trascina da decenni come una zavorra, nella superficialità di certi meccanismi socio-relazionali. Il resto, però, presenta diverse perplessità.

Prodotto da Gabriele Albanesi nel 2011, distribuito in home video e uscito nelle sale solo lo scorso 10 luglio, è un esperimento di visione “fresca” (ma lo è veramente?) a opera di cinque giovani registi sul tema dell’orrore made in Italy, sostenuti dall’Università di Tor Vergata per mezzi di produzione e post-produzione.

La struttura è una classica ring composition: un bambino che, rimasto a casa da solo, guarda un DVD di paura fino all’epilogo finale che forse stupisce ma non soddisfa completamente. La tematizzazione (del DVD) è imperniata sul ritorno dei morti per “regolare conti” con i vivi, ma in termini che non sempre hanno né un senso né una giustificazione.

La sceneggiatura presenta diverse incoerenze, soprattutto nel primo episodio. 17 Novembre di Tommaso Agnese scivola via rapidamente tra inquadrature e montaggio convenzionali, senza lasciare traccia e soprattutto senza imprimere un senso forte al capovolgimento finale.

Il secondo episodio, Offline di Andrea Gagliardi si concentra sulle tecnologie del digitale, il mondo delle chat, le nuove forme di comunicazione ipermediata(mostruose, in senso non solo metaforico?) per mettere in scena uno scambio online tra un ragazzo (Daniele De Angelis di Last Minute Marocco) con l’amico (Primo Reggiani) che si è appena suicidato. Non si vuole identificare il medium con il messaggio, ma l’impatto è forte, così come la tesi: la vita è solitudine, la morte è solitudine. Non c’è un posto dove si stia bene, non c’è uno spiraglio. Posto che la conclusione è più terrificante dell’horror stesso, il modo in cui si arriva al finale, anche qui, come nel precedente, estremo è troppo frettoloso e difficoltoso da seguire, colpevole forse la breve durata dell’episoio. In ogni caso, Offline non è un soggetto originale: è il remake breve e nostrano (e senza tutte le implicazioni filosofico-esistenziali) di un film giapponese, Kairo (2001), già a sua volta remakizzato nel 2006 dagli USA con Pulse.

Passa sottotraccia il terzo episodio, La medium di Roberto Palma, prevedibile nel rappresentare la fake medium perseguitata dagli spiriti che fintamente dichiarava di contattare, e con un uso della luce che è più amatoriale che sperimentale. Incolore, insapore, come un piatto di riso scondito tra portate non eccezionali ma comunque più interessanti.

Il più interessante dei cinque è Fiaba di un mostro di Stefano Prolli, il quarto in sequenza. La storia, ambientata nel 1984 in un piccolo paese, è inquietante e quasi dolorosa, come una sorta di Io non ho paura maligno. C’è un’altra cornice nella cornice della visione del DVD, la storia del bambino “particolare” Celeste raccontata da una nonna alla nipote, con risvolti fantasy, simbolici e patetici e un finale non sorprendente ma curato.

Si arriva infine a Urla in collina, di Marco Farina e Omar Protani, una sorta di revival degli horror teen americani anni ‘90, con le amiche più e meno sregolate di ritorno da una vacanza in Toscana da filmare con la videocamera e da raccontare in termini di conquiste sessuali. È proprio il video del video, l’autoriflessione, il vero tema della storia, unito alla realtà filtrata dalla macchina da presa (con i risvolti social-youtubbiani nominati più di una volta come aggancio alla realtà digitale del momento). Eppure, nonostante le tre ragazze facciano emergere le profonde differenze tra di loro, corrono verso la stessa conclusione. Come se un senso non ci fosse, come se il male agisse indipendentemente dal rank più o meno negativo di comportamento (ma allora perché affannarsi a mostrare quella più e quella meno assennata?).

C’è qualcosa di promettente in queste storie paranormali (che sono tutte storie di fantasmi): c’è la voglia di giocare con la luce e il suono, coinvolgere le tecnologie in nuove forme di moderni orrori, e soprattutto ragionare sul più universale dei sostrati di genere: il mostro è dentro di noi, mai fuori. Eppure la sceneggiatura presenta troppi problemi, la luce non rende come si vorrebbe e la recitazione, in alcuni punti, sembra amatoriale.

È un tentativo corale (dove, come sempre, c’è chi riesce meglio), gli spunti ci sono, il resto può (deve) migliorare. I grandi maestri (italiani, senza parlare di quelli stranieri) sono ancora lontani.

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