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7/10

Il cappotto di Astrakan regia di Marco Vicario

Commedia
recensione di Francesco Carabelli

Il giovane Piero, vince un torneo di biliardo nella natia Luino e si mette in viaggio verso Parigi. Qui incapperà subito in una disavventura e sarà costretto a trovare un alloggio a poco prezzo.

Farà così la conoscenza della signora Lenormand e di altri personaggi a lei legati.

Al ritorno in patria le avventure parigine diventeranno argomento di discussione con gli amici del bar....

 

Tornato in auge di recente, in occasione dei cento anni della nascita, e grazie alll’uscita al cinema della trasposizione del suo romanzo Il pretore, Piero Chiara, rimane un autore sui generis che fa delle sponde del lago Maggiore il suo campo di indagine, mettendo nei suo racconti la vita di provincia,  che ha come proprio fulcro il bar e il gioco del biliardo.

Con una delle sue opere Chiara varca però i confini nazionali, fino ad arrivare in  Francia ,  a Parigi, ove è ambientato il romanzo Il cappotto di Astrakan, nato dalle esperienze parigine negli anni '50 dello stesso scrittore luinese.

Il film di Marco Vicario (padre di Stefano e Francesco) riprende il romanzo di Chiara, modificandone in parte la narrazione, introducendo delle variazioni che adattano la storia agli inizi degli anni '80 e favoriscono la recitazione ironica  e scanzonata di Johnny Dorelli.

Ad esempio,  nel film la signora Lenormand, impersonata dall’attrice Andréa Ferreol, non è la madre, bensì la moglie di Maurice Lenormand, presunto sosia del protagonista luinese. Ciò aggiunge pepe alla storia, permettendo un rapporto tra Piero e la Lenormand, rapporto che sfocia anche in una passione erotica, che ricalca la passione di Maria per il marito che , come scopriremo, ha lasciato Maria ad una vita solitaria e ricca di rimpianti.

La sceneggiatura insiste sul tema del doppio, del sosia, più di quanto faccia il romanzo di Chiara, introducendo anche il lavoro di pittrice di copie, come professione di Valentine, amante di Piero e, prima di lui,  amante di Maurice (a sua volta artista, scrittore, inventore.  Anima artistica che si nasconde sotto le vesti di un annoiato bancario, che si dà alla malavita perché stanco della routine).

Il film, come il libro, ha un incipit e una conclusione a Luino, sulle sponde del lago maggiore, paese natale di Chiara e del protagonista del romanzo, ma l’ambientazione principale rimane quella parigina, con begli scorci della città transalpina, curati dalla fotografia di  Ennio Guarnieri.

La pellicola si avvale della recitazione dei già citati Johnny Dorelli e Andréa Ferreol e di una giovane Carole Bouquet, appena scoperta da Luis Bunuel, in Quell’oscuro oggetto del desiderio. Anche gli attori di contorno recitano in modo molto professionale, contribuendo ad un’atmosfera rilassata e quasi farsesca, che però non eccede mai. Questo potrebbe incidere negativamente sulla pellicola causandone una certa monotonia ma, a giudizio dello scrivente, contribuisce a dare semplicità e linearità al film, riprendendo in ciò la linearità del romanzo che, pur lasciando spazio a frequenti colpi di scena, legati alle sorti alterne del protagonista, non divaga in approfondimenti psicologici o descrittivi, ma vive dell’intensità delle emozioni dei protagonisti, che emergono sincere dalla penna di Piero Chiara, come dalla regia di Marco Vicario, capace di confezionare un film leggero e gradevole, mai volgare pur nella riproposizione della nudità dei protagonisti.

Dicevamo del tema del doppio, del sosia, del rapporto tra copia e originale.  Il film sembra far intravedere la speranza anche per colui che si accorge di vivere la vita di un altro (Piero che rivive la vita di Maurice),  di arrivare a vivere  in modo originale, forse dimenticandosi di essere sosia e pertanto vivendo appieno la propria vita, così come la copia di un quadro famoso vive di vita propria influenzando la vita di colui che la realizza (vedi ad esempio il padre di Valentine o la stessa Valentine) e le vite di coloro che la fruiscono.

E proprio questa originalità spinge Piero alla fine a dire addio all’amore per Valentine e alla grande città, per tornare a vivere la sua vita provinciale sulle sponde del lago,  assieme agli amici del bar.

Allo stesso modo il film non è solo copia del romanzo di Piero Chiara, ma vive di una sua originalità che ce lo fa apprezzare maggiormente e permette anche al lettore dell’opera dello scrittore luinese, di essere sorpreso dall’inventive di sceneggiatura e dell’ironia attoriale, non scontentando la voglia di novità dello spettatore.

 

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