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8/10

La Ragazza Del Lago regia di Andrea Molaioli

Thriller
recensione di Maurizio Pessione

Una bella ragazza viene trovata cadavere lungo le rive di un laghetto del Friuli. Nuda ma senza segni di violenza, sembra quasi che sia stata depositata con cura in quel luogo. Conosciuta ed amata da tutti nel paese lì vicino, protagonista della squadra di hockey femminile, la sua morte sembra non avere un movente.

Le vicende legate alla cronaca nera stanno avendo un momento di grande popolarità e visibilità, in particolare in TV. Lo scopo più evidente è quello di catturare il maggior numero di spettatori davanti allo schermo da dare in pasto a quella sorta di minotauro che corrisponde al nome di audience. Alcune trasmissioni, a scadenza settimanale o anche spot, si alternano a trattare sin nei minimi dettagli i casi più clamorosi e spesso irrisolti di omicidi e sparizioni improvvise.  L’opera del regista Andrea Molaioli, girata nel 2007, sembra anticipare l’attualità, pur con una notevole differenza di approccio, vale a dire in punta di piedi, senza clamore ed enfasi ma non per questo in maniera meno efficace.

Programmi come ‘Chi l’ha Visto?’ e ‘Quarto Grado’, tanto per citarne un paio a caso, analizzano gli episodi più clamorosi, come quelli recenti di Yara Gambirasio, Sarah Scazzi, Amanda Knox, procedendo in parallelo alle indagini degli organi ufficiali, vivisezionando ogni dettaglio con l’aiuto di vari esperti che sono diventati nel frattempo figure familiari. Purtroppo a volte tutto questo esagerato interesse attorno a determinati eventi provoca un accanimento al limite della morbosità, a scapito innanzitutto della vita privata delle persone più vicine per affetti e parentela alle stesse vittime. Il pubblico a casa, sollecitato ed immerso in queste vicende che scavano continuamente alla ricerca di ogni possibile sviluppo, supposizione e motivo di discussione a quel punto non si limita più a seguirne passivamente l’evoluzione indiziaria e giudiziaria ma partecipa in prima persona al dibattito mediatico sentenziando e pronunciandosi sui presunti colpevoli ed innocenti.

La spettacolarizzazione dei casi più drammatici che si sono succeduti negli ultimi tempi rende ancora più evidente il contrasto con la misura e la pacatezza dei toni che sono peculiari invece di La Ragazza Del Lago, anche se pure in questo caso l’indagine è concentrata su una morte misteriosa ed a suo modo clamorosa, considerando il piccolo centro dove avviene e le modalità del fatto. Si tratta infatti del delitto di una giovane e bella ragazza trovata nuda in riva ad un laghetto di montagna in Friuli, non lontano dal paesello che è la ‘location’ del film e del quale non si conoscerà mai il nome durante la visione dello stesso.

La storia è tratta da un romanzo di Karin Fossum, ‘Lo Sguardo Di Uno Sconosciuto’, che è ambientato fra i fiordi della fredda Norvegia ma anche trasposto fra le montagne, i fiumi ed i terreni carsici del Friuli non mostra poi una gran differenza, anche perché i toni pacati e la sensazione di una profonda solitudine provenienti da alcuni scorci della zona, che estesi alle persone si può definire invece come senso di riservatezza, offrono all’opera uno stile decisamente compassato ed in linea con i caratteri tipici del nord Europa.

L’inizio oltretutto sembra andare in tutt’altra direzione, con una bambina che ha tutta l’aria di essere destinata ad una brutta fine nelle grinfie di un uomo, Mario, un ritardato mentale del posto, che potrebbe avere anche tendenze pedofile. L’angosciante ricerca della bambina, quando la madre si rende conto del notevole ritardo nel tornare a casa da scuola, è esasperata ad arte dall’autore grazie ad una serie di inquadrature volte ad indirizzare la tensione verso una svolta drammatica, avvalorata da un paio di affermazioni dall’ambiguo e sospetto significato sospeso (‘Dov’è la bambina?’ chiede il padre infermo al presunto orco appena rincasato; ‘Non c’è più… sei contento adesso?’, risponde Mario mentre si sta lavando il viso, come a pulirsi da una colpa e poi rincarando la dose ‘…e la giacca dove l’hai messa?' chiede ancora il padre; ‘l’ho persa…‘ è la risposta del figlio). Salvo ritrovare la piccola poco dopo, seduta dentro l’auto di un ispettore del luogo che la sta riaccompagnando a casa dopo averla individuata mentre stava tornando dall’abitazione appena fuori dal paese dove abita Mario, dal quale aveva accettato in precedenza l’offerta di un passaggio, trascorrendo poi la mattinata assieme a lui in campagna. La sua scomparsa ha però richiamato dalla vicina città sino all’ordinato paesino friulano che si trova all’interno delle zone devastate alcuni anni fa dal terribile terremoto (come evidenziano le foto appese in Comune) anche il commissario Sanzio (Toni Servillo) il quale, risolto felicemente e velocemente questo caso, se ne ritrova immediatamente fra le mani un altro ben più drammatico perché la bambina, durante il colloquio per appurare se comunque Mario ha abusato in qualche modo di lei, ha accennato riguardo la presenza di un corpo femminile steso lungo la riva di un laghetto di montagna lì vicino, dentro il quale le leggende del posto sostengono che si nasconda un serpente che incanta le persone e le addormenta per sempre.

A partire da questo momento La Ragazza del Lago cui si riferisce il titolo, che si chiama in realtà Anna (Alessia Piovan) e viveva in quel luogo fin troppo tranquillo sino a quel momento,  conosciuta ed apprezzata da tutti, diventa il personaggio attorno al quale gravita il resto della storia. Inevitabile ritrovare qualche analogia, seppure gli sviluppi sono poi molto differenti, con il caso di Brembate che riguarda Yara. La differenza e la stranezza della morte di Anna è infatti determinata dal fatto che, pur essendo stata trovata nuda e quindi presumibilmente oggetto di un delitto a sfondo sessuale, non risulta sia stata oggetto di violenza, anzi l’autopsia rivela che è ancora vergine, seppure bellissima e maggiorenne, protagonista nella locale squadra femminile di hockey. Una di quelle che, osservandola, diresti che è il ritratto della serenità, della salute e con un futuro radioso davanti, sicuramente corteggiata da molti. Invece alcuni segni sul collo sono stati inequivocabilmente provocati da chi l’ha annegata, anche se il patologo è certo che in quel momento lei non ha reagito, come se la morte l’avesse liberata da una pena. Un bel rebus insomma per il commissario Sanzio, che è comunque convinto del fatto che chiunque l’abbia messa in quella posizione le voleva comunque bene, perché è stata come adagiata compostamente sulla riva e le ha poi girato la testa in maniera innaturale, probabilmente per non essere ossessionato per sempre da quel viso con gli occhi sgranati.

Il commissario Sanzio è un uomo apparentemente scorbutico, annichilito dal dolore per la moglie ricoverata in un istituto per malattie nervose progressive. Egli abita in una città vicina con la figlia Francesca (Giulia Michelini) che considera ancora troppo giovane e fragile per poter sopportare la verità sul destino segnato della madre e quindi non ha un rapporto facile con lei che sta vivendo una profonda crisi interiore con evidenti ripercussioni negli scarsi risultati scolastici e nell’apatia in generale verso qualsiasi interesse. Una sottile e curiosa comunione nel dolore e la malattia lega infatti i protagonisti della storia, per superare i quali evidentemente non basta il semplice suggerimento dato al commissario dalla sorella della vittima, Silvia (Heidi Caldart), quando afferma che ‘basta tenersi alla larga dai dolori…‘. Anna, ad esempio, era molto legata ad un bambino del posto, di nome Angelo, dal carattere molto difficile, che si era però molto affezionato a lei che gli faceva da baby sitter. Il bimbo è però morto poco tempo addietro in circostanze assurde, soffocato da un biscotto e la stessa Anna, si verrà a sapere in seguito, nascondeva un atroce segreto personale. I genitori di Angelo, Chiara (Valeria Golino) e Corrado (Fabrizio Gifuni), non ce l’hanno fatta a loro volta a superare quel peso, il senso di colpa e si sono quindi separati.

Nonostante ciò  il commissario, uomo di notevole esperienza, è estremamente concentrato nel condurre le indagini, puntiglioso ed esigente con i suoi collaboratori (‘ …non mi pare non va bene, c’erano delle analisi cliniche?‘ chiede seccamente all’ispettore interpretato da Fausto Maria Sciarappa a proposito di una perquisizione a suo dire non eseguita con la necessaria attenzione) seppure angosciato dai suoi stessi problemi familiari. Senza compiere azioni di forza ma agendo con grande tatto e riservatezza, scavando puntigliosamente in ogni direzione, egli si ritrova però ben presto immerso in quella realtà, tipica dei piccoli centri, nei quali ‘tutti sanno tutto di tutti’ ed a fare i conti con l’apparenza di un paese pulito, ordinato e tranquillo che nasconde in realtà fatti spiacevoli e situazioni personali di grande disagio. In lui c’è un pò di Simenon, del tenente Colombo e del commissario Adamsberg reso celebre dai racconti di Fred Vargas.

Roberto (Denis Fasolo) è solo di poco più anziano di Anna e sembra il maggiore sospettato dell’omicidio dato che ha passato l’ultima notte in casa sua e, ad una specifica domanda alla quale risponde con non poco fastidio, dichiara di avere avuto rapporti sessuali con lei. In casa di Roberto, durante una perquisizione, sono stati trovati documenti molto personali e persino dati informatici della ragazza morta che, data la riservatezza, sembra strano lei gli avesse dato il compito di tenere. Fra di essi ci sono persino alcuni cd-rom protetti da password contenenti una sorta di diario che la ragazza stava scrivendo. Ad aumentare i sospetti viene scoperto dietro casa sua lo zainetto che Anna portava la mattina prima della sua scomparsa. Fermato per essere condotto in questura, Roberto tenta persino un’improbabile fuga ma viene raggiunto e catturato poco dopo. Insomma ce n’é abbastanza per incastrarlo e considerare chiuso il caso, che in realtà invece è ancora piuttosto lontano dalla soluzione.

Alcune tracce ad esempio portano a percorrere piste molto differenti. Il ruolo di Mario, che ha trovato assieme alla bimba scomparsa il cadavere di Anna e che ha coperto il corpo nudo con una sua giacca, è inevitabilmente soggetto a sospetti. Roberto nega di essere l’autore del delitto, ma si comporta in realtà come se nascondesse segreti e verità inconfessabili. Lo stesso padre di Anna, pur inconsolabile nel suo dolore, si scopre autore di alcuni filmati ritenuti morbosi ripresi con la videocamera durante una vacanza al mare, con insistiti primi piani sul viso ed il corpo della ragazza, nonostante lei dopo un pò mostri anche un certo fastidio, ignorando invece completamente la figliastra Silvia, anche se è ugualmente una bella ragazza.

Con uno stile scarno ed allo stesso tempo spigliato e snello, dialoghi diretti e senza sottintesi, La Ragazza del Lago mette in mostra un meccanismo narrativo che procede in maniera distaccata, se si esclude la prima sequenza della bimba smarrita, nella quale prevale l’emotività. Quando il commissario si reca a casa dell’assassino per smascherarlo, essendo arrivato alla conclusione in un procedimento ad incastro, proprio scandagliando con acume e metodo episodi di un recente passato che legano fra loro i vari personaggi coinvolti, il dialogo che si svolge fra i due è di una insolita pacatezza, quasi si trattasse di un peccatore davanti al suo confessore, perchè ad un certo punto, dice lo stesso commissario, chi si porta dietro un peso così grande non ce la fà più a tenersi tutto dentro.

Un’opera inusuale nel panorama del cinema italiano, agli antipodi non solo rispetto alle commedie chiassose e ridanciane che escono a cadenza fissa in coincidenza con le feste natalizie o durante le vacanze estive, ma anche nei confronti di tanti film di genere simile, giallo/thriller che si basano su continui colpi di scena e duri colpi ad effetto nell’intento di colpire gli spettatori. La Ragazza del Lago non contiene una sola sequenza di violenza esplicita nè toni in alcun modo alterati. La musica stessa che accompagna le scene ad opera di Teho Teardo, è in linea con l’intonazione del film. Essa sottolinea, attraverso una serie di jngle, brevi incisi, ritornelli ripetitivi, effetti e rumori stranianti, la natura dei posti e la sensibilità dei protagonisti.

Andrea Molaioli, sin qui collaboratore in particolare di Nanni Moretti, ha messo in scena un film riflessivo, elegante, dai toni grevi; qualcuno sostiene non distante da alcune atmosfere di David Lynch (si pensi a Twin Peaks in particolare), nel quale ambiente e persone formano un tutt’uno, indissolubilmente legate. Un’opera attraversata da un senso di dolore, disagio e sofferenza interiore, nel quale prevalgono i colori tenui e slavati di quei luoghi, grazie alla bella fotografia di Ramiro Civita, che scava nell’universo di una piccola comunità di provincia per riportare alla luce imbarazzanti verità nascoste dietro un’apparente ed immutabile tranquillità. Suggestiva dal punto di vista formale la sequenza girata sul luogo del delitto con i personaggi della scientifica che appaiono e sfumano durante i rilievi del caso in un luogo incantato dal punto di vista paesaggistico che sembra davvero appartenere ad una fiaba. 

Bravissimo Toni Servillo nel raffigurare lo sforzo del commissario nel far convivere i doveri derivanti dal suo ruolo con il dramma personale che sta vivendo. Breve ma intensa l’apparizione di Omero Antonutti nei panni del padre infermo di Mario, un uomo scolpito nella pietra, rancoroso verso i suoi simili e la vita che gli riservato un destino che non è mai riuscito ad accettare. Straziante ed equivoco il ruolo dei genitori di Angelo che Valeria Golino e Fabrizio Gifuni interpretano con sicurezza. La Ragazza del Lago ha vinto nel 2008 ben 10 David di Donatello: fra i più significativi, miglior film, regia, attore protagonista, sceneggiatura di Sandro Petraglia, fotografia e montaggio di Giogiò Franchini. Davvero meritati per un film che abbina qualità e misura. 

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Marco_Biasio (ha votato 6 questo film) alle 11:00 del 23 novembre 2011 ha scritto:

Recensione torrenziale ma molto centrata e curata, complimenti ancora Maurizio. Io, personalmente, ho più riserve di te su quest'opera prima. Qualcuno, è vero, ha paragonato la grana di Molaioli a quella del Lynch di "Blue Velvet", per come la tematica di fondo sia grossomodo speculare (rovistare nel sommerso di una piccola realtà cittadina per portare allo scoperto il marcio che si occulta dietro una superficie impeccabile), ma i risultati sono comunque distantissimi tra di loro, anche qualitativamente. Il film per me è discreto, girato sicuramente molto bene, con delle location meravigliose - i laghi di Fusine sono incantevoli - ed è sicuramente un altro punto a favore, come più volte hai avuto modo di sottolineare, la pacatezza ed il distacco con la quale viene affrontato il tema durante tutto lo svolgimento del film, molto facile a patetismi ed esasperazioni varie. Detto ciò, ci sono anche alcuni difetti importanti. Troppe storie incastrate una dentro l'altra, anzitutto. La tensione che si concentra tutta nei primi minuti e poi si perde completamente per strada, così che non si ha veramente interesse nello scoprire il colpevole e nel capire i perché del suo gesto: e anche quando lo si scopre, la soluzione "confessionale" adottata non è delle migliori. Toni Servillo bravo, ma anch'egli un po' al di sotto delle aspettative, forse il suo personaggio non è stato gestito al meglio. Dovessi scegliere un attore che lascia veramente il segno, perso nel suo mondo di favola, innocenza, mistero e repressione, è Franco Ravera, che interpreta Mario. Molaioli farà comunque di meglio con "Il Gioiellino" (film, bisogna dirlo, d'impostazione molto sorrentiniana)... sebbene io non abbia capito se si tratti di un nuovo talento del cinema italiano o di una semplice meteora.

maupes, autore, alle 14:29 del 25 novembre 2011 ha scritto:

Come sempre utilissimi, analitici e stimolanti Marco i tuoi commenti. Le tue perplessità sul risultato globale di quest'opera sono rispettabilissime, soprattutto alla luce di quelli che tu definisci i suoi limiti. Giustamente sottolinei il fatto che ad un certo punto non appaia più così importante, contradditoriamente, scoprire il colpevole. Ma più che un difetto io in questo caso lo vedo piuttosto come una scelta narrativa controcorrente, così come lo è d'altronde il film globalmente nei toni rispetto allo standard del genere. Quelle che vengono ad assumere maggiore significato, nello sviluppo dell'indagine, sono le analisi ambientali e caratteriali, le quali diventano preponderanti persino rispetto al classico obiettivo della scoperta dell'assassino, la sua esecrazione e condanna. L'identificazione del colpevole rappresenta a quel punto soltanto la naturale ed inevitabile conseguenza di un teorema già dimostrato. Anche il colloquio finale da 'confessionale' a sua volta manca infatti di un requisito fondamentale: la volontà punitiva. Il commissario si dimostra infatti quasi comprensivo e paternale nei suoi confronti del colpevole, senza nemmeno più la determinazione e la 'cattiveria' che aveva dimostrato in precedenza con il primo sospettato. Sembra quasi che voglia concedergli delle attenuanti, insomma, non considerandolo semplicemente un mostro stanato e da sbattere in galera, punto e basta. E ciò proprio in conseguenza di quello che ha avuto modo di appurare immergendosi a fondo nella natura di quella specifica realtà locale. Grazie e ciao