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5/10

Outing - Fidanzati per sbaglio regia di Matteo Vicino

Commedia
recensione di Alice Grisa

Federico e Riccardo sono pugliesi e sono amici d'infanzia. Federico è rimasto nella sua terra natale ed è disoccupato, mentre Riccardo ha sempre sognato di fare lo stilista, anche se per il momento ha un lavoro insoddisfacente a Milano e una fidanzata che lo spinge a emergere. Venuti a conoscenza della possibilità di un finanziamento da parte della Regione Puglia ai giovani imprendiori che però siano coppie di fatto, i due amici devono fingere di essere gay per riuscire ad aprire insieme una casa di moda.

Una grossa fetta della produzione cinematografica italiana è come un equilibrista su un filo fragile e sottilissimo: se quest’ultimo si spezza (cosa che accade molto più spesso di quanto si possa esserne pienamente consapevoli) si annega nell’universo liquefatto dei luoghi comuni. Outing-Fidanzati per sbaglio è l’acrobata maldestro che dal filo scivola non una, ma più volte,  ancora prima di spezzarlo, e il risultato è un pastone incompleto che lavora abbozzando troppi temi senza portarne a termine uno in modo conchiuso e coeso.

La trama riprende l’americano Io vi dichiaro marito e… marito, i due buddies (qui in realtà molto meno buddies: le basi dell’amicizia maschile, i motivi del rapporto speciale tra Riccardo e Federico sono completamente omessi) che devono fingere di essere gay per raggiungere l’obiettivo finale, in questo caso dei fondi per aprire una casa di moda. Da una struttura classica della commedia degli equivoci si srotolano gag più o meno divertenti, alcune già predigerite dal vasto repertorio delle risate all’italiana, altre inopportune, spesso anche mediocri banalizzazioni della dicotomia etero-omo.

Nel calderone si butta un po’ di tutto: in primo luogo il provincialismo a Milano, metropoli-icona trendy nell’immaginario dove il fashion game si gioca tra “slang” pugliesi e cattivo gusto e dove il sottobosco degli “addetti ai lavori” è una schiera di persone arroganti, ignoranti e opportuniste. Il Nord “arrivato” e ostentato si contrappone a un Sud picaresco (troppo picaresco: si insiste per rappresentare un altro lato della Puglia, che non siano “orecchiette e dolci al miele”. Va bene, ma allora fatelo!); questo argomento probabilmente avrebbe dovuto essere il nocciolo duro del film, un punto di partenza da cui sviscerare una tesi interessante, come quella di industrializzare il Sud invece che trapiantarlo al Nord. Un altro spunto non trattato in modo esauriente è il problema della valorizzazione del talento e dell’impossibilità di emergere, che in questo caso si risolve con un terrificante e grave deus ex machina (del tipo io sono uno stilista, sono onesto e non ho un soldo, ma “fortunatamente” un altro stilista mi ruba la collezione, io lo ricatto e da lì posso lanciarmi sul mercato). Infine si cerca di parlare di corruzione, scandali, inchieste coraggiose e controcorrente, ma in modo davvero troppo sbrigativo; inoltre la figura della giornalista impegnata interpretata da Giulia Michelini è completamente sprecata nell’economia narrativa, e la sua “storia d’amore” (?) con uno dei protagonisti sembra sbucata dal nulla, senza un motivo e senza un senso.

Si può rendere onore alla voglia di parlare di quello che in Italia non funziona, ma lo si fa nel modo sbagliato, e il taglio comico, invece che dare una spinta propulsiva al motore della storia, l’archivia nella vasta schiera del “già visto, non fa neanche tanto ridere e soprattutto alla fine non mi ha lasciato niente”.

L’effetto complessivo è una confusione generale e anche una sensazione di straniamento (non brechtiano, purtroppo) che trascina lo spettatore verso un finale sconcertante e anche scorretto, al punto tale che l’unica cosa che si può fare è concentrarsi sulla ciotola dei pop-corn o delle caramelle gommose e aspettare che si riaccendano le luci.

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