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10/10

Pulp Fiction regia di Quentin Tarantino

Pulp
recensione di Maurizio Pessione

Una coppia di rapinatori da strapazzo,  Zucchino e Coniglietta, sta per compiere un colpo dentro un ristorante. Due killer, Vincent e Julius, discutono amabilmente fra loro di questioni risibili mentre vanno ad eliminare alcuni balordi che hanno fatto uno sgarbo al loro boss Marcellus. Nello scontro a fuoco restano illesi miracolosamente e Julius interpreta questo fatto come un miracolo. Marcellus tratta un incontro di box truccato con un pugile, Butch ed intanto incarica Vincent di accompagnare a cena sua moglie Mia. Al ritorno lei scambia la cocaina con l’eroina e dopo una sniffata finisce in overdose. mostra spoiler

Vincent la salva per un pelo precipitandosi a casa del suo spacciatore e praticandole una iniezione di adrenalina diretta nel cuore. Butch, prima del match, sogna un militare che gli ha consegnato l’orologio di suo padre morto in Vietnam e che nella sua famiglia è tramandato da generazioni, poi anziché perdere l’incontro, uccide addirittura il suo avversario e fugge, certo di essersi arricchito con le scommesse. Vincent e Julius hanno completato la loro missione ed hanno risparmiato un ragazzo che è in auto con loro. Scappa inavvertitamente un colpo a Vincent ed il ragazzo muore, sporcando vistosamente l’auto con il suo sangue. Julius devia presso la casa di un amico e poi chiama il boss che gli invia un certo signor Wolf, specializzato nel sistemare velocemente e meticolosamente le grane più difficili ed imbarazzanti. La compagna di Butch, nella fuga, ha dimenticato il prezioso orologio in casa e Butch, non volendo rinunciarci, corre a recuperarlo. In casa trova Vincent che sta uscendo dal bagno e lo uccide con la sua stessa mitraglietta. Nella fuga in auto incappa casualmente in Marcellus che lo insegue sino dentro un negozio,  gestito però da una coppia di stupratori sadici e perversi. Imprigionati e legati entrambi, Marcellus subisce la violenza dei due, mentre Butch riesce a liberarsi e con una katana uccide il proprietario, consentendo anche a Marcellus di reagire ed evirare l’altro. La triste comune esperienza serve a stabilire un accordo fra Butch e Marcellus. In precedenza Vincent e Julius, sistemata l’auto, erano tornati verso il centro della città ed entrati in un ristorante dove, poco dopo, Zucchino e Coniglietta avevano iniziato la loro rapina. Una volta disarmati facilmente, Julius aveva consentito comunque ai due di fuggire, lasciandogli una parte del bottino, inclusi i soldi del suo portafogli, avendo deciso nel frattempo di cambiare vita.     

Cosa si può dire di Pulp Fiction che non sia già stato detto? Niente, probabilmente, quindi il compito è veramente difficile se non impossibile, ma dopo averlo rivisto per l’ennesima volta con lo stesso piacere della prima, è inevitabile qualche considerazione.

Partiamo dicendo allora che non è ‘un’ film: è il film o, se vogliamo, il miglior biglietto da visita che il cinema degli ultimi venti anni può presentare per raccontare se stesso, la sua maturità espressiva e l’evoluzione del linguaggio cinematografico. La classica opera dell’umana creatività artistica da spedire nello spazio perché altre forme di vita prima o poi possano riceverla, certi che, dopo un iniziale sconcerto, non potrebbero che apprezzarla pure loro.

A parte gli scherzi, Quentin Tarantino, al quale piace certamente scherzare e non prendersi troppo sul serio, così che lo stesso atteggiamento si riflette poi anche nei suoi film, arricchendoli, anziché indebolirli, è certamente il più importante regista moderno del cinema internazionale. Appassionato, prima ancora che interprete, della settima arte, in tutte le sue forme, generi e protagonisti, con quest’opera ha realizzato un capolavoro assoluto.

Pulp Fiction ha innanzitutto una struttura… labirintica, ma al contrario del labirinto stesso, che per sua natura dovrebbe mettere in difficoltà chi cerca di uscirne, una volta entrato, qui nei panni di Arianna ed il suo prezioso filo c’è un autore che si esalta invece in questo dedalo per armonizzare e, paradossalmente, semplificare la sua opera, in un meccanismo ad orologeria dai tempi scanditi con meticolosa precisione.

Il film parte da una storia banale, la sviluppa e salta in un’altra, apparentemente ad essa estranea, quindi divaga in un parallelismo che non rispetta neppure la sequenzialità dei fatti, per infine virare e tornare da dove era partito, in un procedimento circolare a 360 gradi che solo alla fine, come in un giallo, si ricompone, spiegando in tal modo tutte le divagazioni, i retroscena e le pieghe del racconto. Lo spettatore è come se fosse finito in una sorta di ottovolante, pur stando seduto in poltrona, in un procedere incalzante e solo formalmente casuale che però, per miracolo, anziché generare confusione, lo ammalia, lo cattura e lo emoziona come capita solo davanti a quelle opere rare e particolari che rompono la consuetudine trasformandosi in modelli di riferimento ed esemplari unici.

Un altro aspetto che colpisce di questo metodo di lavoro è che per raggiungere un tale risultato l’autore non ha dovuto ricorrere ad iperbole di linguaggio, a metafore e simbolismi che solo i più capaci ed esperti possono raccogliere e comprendere, bensì attraverso uno spettacolo stratificato da vari livelli di lettura che però, anche rimanendo al più basso, più immediato e facile, diverte, attira, coinvolge, attraverso un viaggio che tocca vari generi del cinema, confondendoli fra di loro. Tant’è che diventa difficile catalogare quest’opera in un genere specifico, ma ogni tassello s’incastra nell’altro come in un mirabile puzzle che alla fine appaga tutti i gusti, dal più semplice a quello più esigente. È quindi un’opera universale che contiene tutti gli ingredienti del cinema, che sorprendentemente convivono e si esaltano fra loro, anziché stridere ed andare in conflitto.

Sfido chiunque a trovare una sequenza, una scena, un particolare fuori posto in Pulp Fiction. Eppure a ben vedere alcuni dialoghi, se presi a se stanti, sono risibili, come le discussioni fra i due killer Vincent Julius, rispettivamente interpretati da John Travolta e Samuel L. Jackson, soprattutto se considerate nel contesto nel quale si svolgono. Ad esempio quella sulla possibilità che un massaggio ad un piede della moglie del boss possa essere malinteso dallo stesso e giustificare la defenestrazione del suo malcapitato o ardito autore, proprio mentre stanno per entrare in un appartamento per far fuori alcuni balordi che si sono impossessati dei soldi riciclati del loro boss. Alcune ambientazioni sono eccessive (Tarantino è tutt’altro che un moderato), come la sequenza nel locale kitsch, che è anche una specie di museo del cinema e delle cere, ma ‘vive’, nel quale Travolta, autocitandosi e Uma Thurman si esibiscono in una gara di twist. Alcuni momenti sfiorano l’assurdità ed il paradosso: la barzelletta raccontata da Mia a Vincent al ritorno a casa dopo essere sopravvissuta per miracolo ad una overdose, grazie all’iniezione di adrenalina al cuore. Oppure la storia che Christopher Walken racconta al bambino stupefatto riguardo l’orologio che gli sta cerimoniosamente restituendo, conservato a tutti i costi durante la prigionia in Vietnam, che apparteneva al padre e da generazioni alla sua famiglia. Si potrebbe continuare a lungo sulla stessa falsariga, ma tutto questo, opportunamente assemblato, diventa non solo plausibile ma anche necessario nella composizione di un giocattolo che sull’assurdità degli avvenimenti e di certe situazioni poggia le sue fondamenta ed è allo stesso tempo allegoria e caricatura della società, dei suoi principi, delle sue risibili e stridenti contraddizioni. Una per tutte, la recita del passo della Bibbia che Jackson declama, con enfasi mistica riguardo l’effetto fonetico ed il significato recondito di quelle stesse parole, a precedere le esecuzioni delle vittime designate durante le missioni di regolamento dei conti in coppia con Travolta, come se fosse un postino che consegna semplicemente una lettera al destinatario. Salvo poi redimersi quando Jackson stesso si convince di aver ricevuto un segnale preciso da Dio nel momento in cui, secondo lui, è intervenuto per deviare le pallottole che avrebbero dovuto ucciderlo, mentre il suo compagno di lavoro, meno cerebrale e più pratico, minimizza l’evento affidandolo unicamente al caso. E giù un’altra discussione in merito fra i due che si trascinerà fino agli ultimi istanti che precedono il finale.

Non so se esiste il precedente di un’opera nella quale l’autore ha avuto l’idea di girare dentro lo stesso ambiente (nello specifico il ristorante con i sedili rossi imbottiti) scene diverse, contemporanee, montandole poi in momenti temporalmente differenti dello stesso film, per infine farle combaciare e legare, come fossero l’effetto del caso, solo nell’istante della  ‘resa dei conti’ finale. Non so se esiste un altro film che, senza mai fare riferimento ad una storia ed alcuni eventi accaduti in precedenza, fa morire in maniera violenta un personaggio (John Travolta) per poi farlo riapparire nel finale, con avvenimenti che cronologicamente si riferiscono alla sua metà o giù di lì, e senza che ciò sembri strano, asincrono o peggio ancora assurdo. Perché Pulp Fiction non è un film surreale, che in qualche modo giustificherebbe un andamento libero da ogni sceneggiatura standard, ma un’opera sin troppo legata al reale, esplicita, pratica e carica di pathos, ma anche di momenti drammatici e comici allo stesso tempo.

Pulp Fiction è come un cubo. Ogni lato è un film diverso: comico, drammatico, poliziesco, sociologico, metaforico… Sta allo spettatore coglierne ogni aspetto oppure anche uno soltanto. Lo spettacolo è garantito comunque.

Quentin Tarantino è uno straordinario affabulatore capace di inserire nei dialoghi argomenti di disarmante futilità facendoli apparire come funzionali alla trama e comunque interessanti a prescindere dal contesto, non fosse altro per la disarmante lucidità e coerenza con la quale sono espressi. Come succede con i bambini quando non vogliono dormire e s’improvvisa lì per lì una favoletta, così Tarantino è abilissimo nel sedurre lo spettatore con storielle e discussioni tanto insulse nei contenuti quanto irreprensibili nella loro logica e rigore di ragionamento, anche se poi non c’entrano nulla con quello che sta per avvenire nei fatti di lì a breve.

D’altra parte lo stesso titolo dichiara la natura di questo film ed il suo più immediato significato. Pulp significa in pratica rimescolamento di tempi e luoghi e davvero in quest’opera tale espressione raggiunge il suo più completo significato. Si potrà sospettare che tutta questa originalità espressiva generi disordine, una sorta di improvvisazione, pur elegante e fine, ma senza una logica definita ed invece la chiarezza espositiva e la geometria della sua opera, sono ancora una volta fra i punti di forza del concetto di cinema di Tarantino, il quale, per meglio raggiungere l’obiettivo, qui come in precedenza e poi ancora in seguito, è solito dividere il racconto in alcuni capitoli ed ognuno di essi caratterizzarlo con attori di gran talento e carisma, impreziosendo con queste illustri presenze ogni singolo episodio affinchè possa restare più facilmente impresso nella memoria dello spettatore.

Contrariamente a quello che potrebbe far ritenere la geniale struttura di quest’opera in senso circolare che si diceva in precedenza, Tarantino, che è un assiduo cultore della storia del cinema, non è un innovatore in senso stretto, ma in ogni suo film, e Pulp Fiction non fa eccezione, è frequente l’utilizzo di riferimenti e citazioni a sequenze, autori, registi ed interpreti che lui ama, non necessariamente fra i maggiori. Andarli a cercare e scoprire, può diventare persino un divertimento ed una sfida, soprattutto per qualche cinefilo appassionato. Travolta che balla sulla pedana, pur essendo in quest’opera un personaggio tutt’altro che votato alla danza, rimanda immediatamente al film che l’ha reso famoso, cioè La Febbre Del Sabato Sera. Christopher Walken in divisa militare sembra appena tornato da Il Cacciatore così come lo stesso racconto della prigionia in Vietnam che narra al figlio del commilitone che non ce l’ha fatta; Harvey Keitel nei panni di colui che risolve con precisione e velocità i problemi dei boss in difficoltà, sembra uscito da Il Padrino o da Quei Bravi Ragazzi e via di questo passo.

Pulp Fiction è sostanzialmente diviso in tre capitoli principali che s’incrociano e s’intersecano fra di loro in un gioco di scatole cinesi dopo un’iniziale sequenza nella quale una coppia di rapinatori da strapazzo, che fra loro si chiamano Zucchino e Coniglietta (tanto per rimarcare ancora una volta il tono semiserio di Tarantino anche riguardo i personaggi dei suoi film, magari inseriti a bella posta proprio nei momenti più drammatici), stanno per compiere un colpo, dopo aver discusso a lungo riguardo l’opportunità e l’effetto sorpresa della loro azione. Ogni episodio perciò è legato in qualche modo all’altro, anche se non è rispettata l’esatta cronologia delle situazioni che vengono rappresentate. A volte il legame si realizza attraverso delle coincidenze, in altre invece grazie a personaggi in comune, oppure seguendo la normale sequenza degli eventi. La trama parte e si conclude nel ristorante con i sedili rossi imbottiti nel quale Vincent e Julius si ritrovano infine, vittime loro stessi della coppia di imbranati rapinatori, che i due killer compari, forti della loro esperienza e sangue freddo maturati sul campo, neutralizzano in quattro e quattr’otto, pur lasciandoli infine romanticamente liberi di fuggire, portandosi appresso anche una parte del bottino che avevano raccolto, inclusi i soldi dello stesso Julius.

Tutto ciò sarebbe ineccepibile se non ci ricordassimo chiaramente di aver assistito in precedenza alla morte violenta di Vincent…. Qual’è allora l’inizio di questo storia e qual è la sua fine, al di là di quello che l’autore ci mostra nelle due ore e passa della durata? Confusione? Esibizionismo? Colpo di teatro? Tutt’altro, perché Pulp Fiction è, appunto strutturato in forma labirintica e circolare, ma armoniosamente compiuto e logico ed ogni volta, nel suo apparente vagare senza una meta precisa, è come se mettesse il punto su un paragrafo che era rimasto sin lì in sospeso. Semmai conferma che in Tarantino nulla è scontato, nulla è banale o come uno si aspetta che sia, tutto può essere realtà e fantasia allo stesso tempo, basta che funzioni (direbbe Woody Allen, per citare il titolo di un suo film). E qui funziona, eccome se funziona… a meraviglia!

Bravissimi gli interpreti, tutti, nessuno escluso, ma spicca per personalità la breve quanto divertente ed illuminante comparsata di Harvey Keitel nei panni del Signor Wolf, oltre ovviamente alla coppia irresistibilmente assortita Travolta-Jackson, il duro e rissoso Bruce Willis ed un convincentissimo Christopher Walken che riesce persino a farci sorridere, da serio e compunto, quando annuncia pomposamente al bambino che suo padre è morto in Vietnam, ma ha salvato il prezioso orologio tenendolo nascosto dentro l’ano per tre anni, pur di non farselo trovare e portar via, e poterglielo quindi lasciare in eredità. Si potrà supporre perciò che sia morto per le torture dei Vietcong? Macchè, ironicamente e grottescamente, il padre del bambino è morto per via di una banale dissenteria. Due avverbi (ironicamente e grottescamente) che in Pulp Fiction sono come una sorta di didascalia.

Una curiosità finale: tutto il corso del film è caratterizzato dalle coppie: i due killer, i due rapinatori da strapazzo, il pugile e la sua compagna sciocchina, il boss Marcellus e la moglie Mia, interpretata dalla brava Uma Thurman che s’accompagna a sua volta a John Travolta ed infine i due stupratori sadici. Difficile dire se c’è un messaggio subliminale al riguardo, quando per definizione tutto è fiction ma è anche pulp

 

 

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Voto degli utenti: 9,5/10 in media su 25 voti.

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bargeld (ha votato 10 questo film) alle 23:36 del 9 marzo 2011 ha scritto:

Poco da aggiungere!

Peasyfloyd (ha votato 10 questo film) alle 10:22 del 4 aprile 2011 ha scritto:

uno dei miei film preferiti. L'apice di Tarantino senza dubbio. Uno di quei film che ti cambiano il modo di guardare il cinema

Marco_Biasio (ha votato 9 questo film) alle 17:39 del primo giugno 2011 ha scritto:

Il film "tragicomico" che più mi piace, assieme al Grande Lebowski dei fratelli Coen. Recensione stratosferica.

Sydney (ha votato 10 questo film) alle 20:16 del 10 settembre 2011 ha scritto:

Semplicemente uno di quei film che ti rendono la vita migliore, e ho detto tutto.

dalvans (ha votato 9 questo film) alle 0:26 del 12 ottobre 2011 ha scritto:

Ottimo

Ottimo film

ffhgui (ha votato 9 questo film) alle 9:42 del 11 maggio 2012 ha scritto:

Meraviglioso, con "Le Iene" di gran lunga il migliore di Tarantino che per il resto trovo assai sopravvalutato.