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A Quentin Tarantino

Quentin Tarantino

“Quando le persone mi chiedono se ho frequentato una scuola di cinema, io dico: no, sono andato al cinema" (Quentin Tarantino)

“Le cose importanti da ricordare sono i dettagli. I dettagli rendono la storia credibile” (Quentin Tarantino)

“I grandi artisti non copiano, rubano” (Tarantino, citando un aforisma di Igor Stravinskij)

Queste tre citazioni (un termine che ricorrerà spesso parlando di questo autore) certamente non riassumono in toto il personaggio Quentin Tarantino ma, seppure ne forniscono una visione parziale, fissano alcune indicazioni esemplificative ed importanti della sua figura d’autore.

Una breve sintesi della sua storia personale e d’autore

Pur avendo sangue italiano nelle vene per parte del padre Tony (musicista ed attore), quest’ultimo ha già lasciato la madre sedicenne Connie (di origini irlandesi e cherokee) quando Quentin nasce il 27 marzo del 1963, a Knoxville in Tennessee. A proposito, pare che il nome Quentin la madre glielo abbia dato in omaggio ad un personaggio interpretato da Burt Reynolds. Due anni dopo Connie sposa il musicista Curt Zastoupil, che adotta Quentin, diventando un riferimento molto importante per lui. Il matrimonio fra Curt e Connie dura otto anni durante i quali Tarantino, pur giovanissimo, trascorre molto tempo a guardare film ed a leggere fumetti, appassionandosi agli spaghetti-western ed in particolare ad un regista che è tuttora da lui venerato, Sergio Leone.

A soli 14 anni scrive una prima sceneggiatura, ha già frequentato un paio di scuole ed ha svolto qualche lavoretto saltuario, ma è nel 1981 che Tarantino mostra la prima vera intenzione di avvicinarsi seriamente al mondo del cinema prendendo alcune lezioni di recitazione al Theatre Company di Los Angeles. Più ancora di questa esperienza però sarà formativa per lui quella che tre anni più tardi ha modo di maturare lavorando presso un negozio di videonoleggio nel quale può approfittare del materiale a disposizione per vedere innumerevoli film di tutti i generi ed autori, discutendone con i clienti ed avvicinandosi al regista-produttore Roger Avary, conosciuto nel frattempo. Intanto egli continua a pagarsi il corso di recitazione presso l’Actors’ Shelter a Beverly Hills, convincendosi però ben presto che le sue reali inclinazioni sono volte semmai verso la sceneggiatura piuttosto che la recitazione. La strada per diventare uno dei più importanti directors viventi è ancora lunga, ma la traccia definitiva dalla quale non si sposterà più nel prosieguo è stata delineata, pur con le difficoltà inevitabili di chi sta cercando la via giusta per affermarsi definitivamente.

La conferma arriva nel 1987 grazie alla sceneggiatura di ‘Una Vita al Massimo’, scritta assieme all’ormai amico Roger Avary e che Tarantino vende per 50.000 dollari, non trovando finanziatori per realizzarne un film in prima persona e che viene quindi portata sullo schermo da Tony Scott. Anche la seconda ed ancora più significativa sceneggiatura di ‘Natural Born Killers’ viene trasposta in film da Oliver Stone nel 1989, con il quale però Quentin entra in aspro conflitto, accusando il regista di essersi preso troppe libertà sul testo, sino a richiedere di essere citato nei titoli solo come autore del soggetto. Nel 1990 egli scrive anche la sceneggiatura di ‘Dal Tramonto All’Alba’ dalla quale Robert Rodriguez (in seguito amico e suo co-autore) nel 1995 trae l’omonimo film che vede Tarantino anche nel ruolo di attore. Intanto, oltreché sceneggiatore di successo, egli è diventato anche apprezzato revisore di testi altrui ed è ormai pronto per il grande salto dietro la macchina da presa.

È il vecchio regista Monte Hellman, dopo aver letto la sceneggiatura di ‘Le Iene’, che aiuta Tarantino a trovare i finanziamenti e come co-produttore a volerlo alla regia. Girato il film in sole cinque settimane, anche con l’importante contributo finanziario dell’attore e co-produttore Harvey Keitel, esso viene presentato al Sundance Film Festival di Robert Redford ed ottiene un successo straordinario. Sulla cresta dell’onda Quentin viene cercato e tentato da molti produttori hollywoodiani ma egli respinge le sirene delle loro proposte e si concentra invece sulla sceneggiatura dell’opera seconda. Il risultato è ‘Pulp Fiction’, un film straordinario, che naturalmente dirige lui stesso e che vince la Palma d’Oro al Festival di Cannes nel 1994 e l’Oscar 1995 per la stessa sceneggiatura. Con quest’opera, uno dei punti più alti dell’intera cinematografia mondiale degli ultimi venti anni, Tarantino diventa un autore cult che può contare su schiere di ammiratori in tutto il mondo.

Le opere successive: ‘Jackie Brown’, ‘Kill Bill’, ‘Grindhouse’ e ‘Bastardi Senza Gloria’, intervallate da numerose partecipazioni come sceneggiatore, interprete e produttore in film di autori diversi e persino telefilm TV, pur non raggiungendo la perfezione di ‘Pulp Fiction’ si mantengono, con alterni risultati, su livelli altissimi che contribuiscono ad accrescere ulteriormente la considerazione nei riguardi dell’autore e l’aspettativa per ogni sua nuova opera.

Considerazioni sul personaggio Quentin Tarantino ed il suo rapporto con il cinema

La prima affermazione posta in alto all’inizio di questa biografia riguardo la formazione cinematografica dell’ormai celebre regista americano rivela in maniera molto semplice la genesi dell’autore Tarantino e la sua rivendicazione di autodidatta. Può sembrare la boutade di una personalità stravagante, pure un po’ diseducativa se vogliamo, alla quale piace far colpo sul pubblico con affermazioni sorprendenti. In realtà, analizzando la sua filmografia ed entrando nei dettagli di ogni sua opera, ci si rende conto immediatamente di quanto queste sue frequentazioni cinematografiche come spettatore ed il vasto panorama di opere alle quali egli ha assistito negli anni di maturazione e probabilmente continua a vedere pure oggi, trovano poi puntualmente riscontro nei suoi film, laddove essi sono infarciti di innumerevoli citazioni (ecco il termine che ritorna) non certamente adoperate per snobismo, bensì come stuzzicanti spunti per alimentare la sua fertilità creativa ed il suo compiacimento nell’esprimerla. Le stesse citazioni comunque, anche quando vengono ignorate dallo spettatore più distratto o meno addentro ai dettagli del mondo cinema, non sono comunque indispensabili per la comprensione e la normale fruizione delle sue opere.

Una dote specifica di Tarantino è quella infatti di essere un autore universale capace di soddisfare allo stesso tempo un vasto pubblico: da quello occasionale che s’accontenta di una storia originale e facilmente percepibile, a quello invece in grado di riconoscere ed interpretare i diversi piani di lettura ed i suggerimenti che essa può contenere. In ogni caso senza ricorrere mai a concetti e reconditi significati che sono propri di autori ermetici completamente diversi da lui nello stile e nei contenuti.

Le storie che egli rappresenta nei suoi film sono una metafora del cinema stesso, che per sua natura rende possibile quello che normalmente non è. Da ciò deriva la sua personalissima visione di un mondo reale che diventa virtuale e fantasioso, nel quale i personaggi, spesso figure negative che vivono al di fuori delle regole civili comuni, hanno nomi simili ai cartoni animati (Mr. Pink, Mr. Orange, Mr. Orange in ‘Le Iene’, ad esempio, oppure ‘Zucchino e Coniglietta’ in ‘Pulp Fiction’). La parola moderazione nel suo modo di comunicare attraverso il mezzo cinematografico non esiste. Un personaggio da fumetto diventa una donna samurai in carne ed ossa, come Uma Thurman in ‘Kill Bill’ e persino la storia può essere riscritta in ‘Bastardi Senza Gloria’ per farla tornare secondo suo desiderio e volontà.

Questa sua passione per il paradosso s’accompagna ad una missione di salvaguardia e testimonianza sul cinema, su un certo tipo di cinema perlomeno, dal suo stesso interno, dato che come espressione artistica in fondo è ancora relativamente giovane e quindi tutta da sviscerare, non tanto a livello storico quanto semmai dal punto di vista delle curiosità, in una riscoperta nostalgica di personaggi, oggetti, musiche, abiti e ‘graffiti’, verso le quali Tarantino dimostra di avere una predilezione di stampo quasi feticistico. In tal modo egli effettua in pratica una sorta di rivalutazione di generi ed autori spesso neppure di primo piano, la gran parte dei quali grazie a lui ritrovano una dignità, un ruolo ed un significato nella storia della settima arte. Allo stesso modo egli sta conducendo un’opera di rivitalizzazione e di ricollocazione nei confronti di alcuni attori simbolo di qualche tempo fa ma finiti nel frattempo un po’ in ombra i quali, grazie a lui, non solo ritornano prepotentemente in auge, ma proponendoli spesso in ruoli diversi dal clichè al quale sono stati da tempo associati, ne ridisegna l’immagine. Nel primo caso il riferimento è, ad esempio, a John Travolta, Kurt Russell e David Carradine; nell’altro a Brad Pitt, Robert De Niro e Uma Thurman, la quale è diventata oramai per Tarantino una sorta di musa, come Laura Dern la è invece per David Lynch.

Quentin Tarantino ha maturato nel tempo una enorme conoscenza di svariate cinematografie e movimenti, come la ‘nouvelle vague’ ad esempio e, tanto per restare a casa nostra, egli è diventato cultore di sottogeneri come il cosiddetto ‘poliziottesco’ anni settanta che vede fra i suoi principali protagonisti autori come Fernando Di Leo, Enzo G. Castellari, Umberto Lenzi, Duccio Tessari, oltre agli spaghetti-horror di Mauro Bava e Riccardo Freda, per citarne ancora un paio fra i molti, presumibilmente misconosciuti a gran parte dello stesso pubblico nostrano. Interpreti come Lino Banfi, Barbara Bouchet ed Edwige Fenech (i primi due Quentin li ha incontrati ed omaggiati personalmente a Venezia nel 2010 nel corso di una premiazione, Barbara ed Edwige invece sono icone sue, e nostre, del genere erotico leggero di quegli stessi anni) rappresentano alcuni dei suoi miti personali per i quali non manca occasione di sottolineare il suo apprezzamento. Ciò non toglie che Sergio Leone sia sempre stato per lui un punto di riferimento fondamentale in molte sue opere (così come per Clint Eastwood), alla stessa stregua delle musiche di Ennio Morricone, con citazioni (ci risiamo…) a volte persino eccessivamente insistite.

Un dato distintivo di Tarantino inoltre è quello di essere un appassionato e scrupoloso consumatore di opere trash, anche quelle più arruffate ed arrangiate, oltre ad alcuni sottogeneri fra i più marginali del panorama cinematografico, al punto da avergli dedicato addirittura un’intera opera come ‘Grindhouse – A Prova di Morte’. Ciò sembrerebbe contrastare, ma in realtà non costituisce impedimento alcuno, con il fatto che egli è un perfezionista addirittura maniacale nella scelta dei particolari, che spesso sono più significativi ed evocativi del soggetto al centro della scena, delle inquadrature e delle angolature di ripresa, degli interpreti, delle musiche, insomma di tutte le componenti di ogni sua opera. In tal modo si comprende anche il senso, nel suo modo di comporre cinema, relativo a quanto riportato nella seconda affermazione citata all’inizio riguardo l’importanza dei dettagli. Contrariamente a molti altri suoi colleghi che si dedicano al ruolo di regista dietro la macchina da presa, lasciando ad altri i ruoli di contorno, egli invece non solo scrive i suoi plot, ma a volte firma la fotografia e sceglie personalmente le musiche per utilizzarle in maniera funzionale nelle varie scene, sia dal punto di vista evocativo riguardo un’epoca, che in maniera attiva anziché passiva come sottofondo alle immagini, avvicinandolo da questo punto di vista alla figura di un altro maestro del cinema come Stanley Kubrick (con il quale condivide pure il lungo lasso di tempo che impiega di solito fra un’opera e l’altra). Tarantino è un autore ‘tout court’ completo, praticamente in grado di realizzare in prima persona l’intero processo creativo di un film ed ancora abbastanza giovane da riservare parecchie sorprese ai suoi fans o comunque chi dal cinema richiede lo spettacolo nella definizione più completa ed etimologica del termine.

Tarantino comunque, pur nel rispetto dei film e degli autori di maggiore prestigio della storia del cinema, ha conservato sinora, allo stesso tempo, un rapporto molto sereno, compiaciuto e giocoso nei riguardi del mestiere che svolge.

I suoi film sono in genere definiti come violenti ma spesso si tratta di una sensazione apparente, più che un dato concreto, confermato dal fatto che non contengono alcuna ostentazione della stessa. Solo che la violenza, per Tarantino, è qualcosa di ‘normale’, nel senso che è parte integrante della nostra società e quindi lui non la nasconde, non la evita, anzi la considera ordinaria, al pari di altre manifestazioni di umana vitalità, come dialogare, ascoltare musica e relazionarsi. Emblematica al riguardo è la scena in ‘Jackie Brown’ nella quale De Niro uccide Bridget Fonda nel parcheggio del centro commerciale, perché infastidito dai suoi sfottò e si comporta come se fosse un atto di normale reazione conseguente ad un momento di insopportabile fastidio, giustificandolo in tal modo anche davanti all’esterrefatto (ma solo per un attimo) Samuel L. Jackson.

È anche costante nelle sue opere il tono ironico e sarcastico, tipico di chi non si prende mai troppo sul serio ed ha come obiettivo la realizzazione di qualcosa che deve risultare gradito ad iniziare dal primo spettatore in lista, cioè se stesso. Il risultato è un mix che è diventato proverbiale nella definizione di ‘tarantiniano’ con la quale si definisce qualcosa che include allo stesso tempo l’arte affabulatoria, un apparente disordine narrativo nel quale domina il carattere ‘pulp’ (rimescolamento di tempi e luoghi in storie che trattano di violenza, sesso e droga in modo volutamente aggressivo ed esagerato) con un forte retrogusto di umorismo grandguignolesco.

Quentin Tarantino è stato accusato di essere un cannibale del cinema, nel senso che lo divora dall’interno per farlo proprio. Non un autore innovativo quindi, ma un attento osservatore con particolari doti di sintesi, estrosità ed acume creativo nello sfruttare ciò che qualcun altro ha già prodotto e che lui è in grado di recepire, rielaborare e riproporre genialmente, rivalutandone spesso la natura ed il ruolo. ‘Le Iene’ è stato accusato di plagio nei confronti di ‘City On Fire’ di Ringo Lam, un autore noto in USA, sconosciuto in Europa e non certamente irrinunciabile. Tarantino, piuttosto che negare e scusarsi come chi di solito viene preso con le mani nel sacco, in replica ha citato un aforisma nientemeno che di Igor Stravinskij (vedi terza affermazione indicata nel ‘cappello’ in alto) per ribaltare provocatoriamente l’accusa, rivendicando il diritto alla presunzione che appartiene ad un artista consapevole dei suoi mezzi ed in grado persino di valorizzare la mediocrità altrui dalla quale ha colto ispirazione.

Le opere della maturità in breve

1992 - ‘Le Iene (Reservoir Dogs)’ L’opera che ha rivelato il talento come autore, qui alla prima vera regia, di Quentin Tarantino. È certamente quella più dura e rigorosa ed evidenzia tutta la ‘rabbia’ artistica dell’autore che vuole dimostrare quello che vale. Pur nella ristrettezza dei mezzi, egli è riuscito a dominare la scena con un’ambientazione di stampo teatrale, incentrata su di una rapina finita male ma della quale dinamica non si vede nulla. Un gruppo di gangster, inizialmente uniti e determinati verso il comune obiettivo, si sfalda, dopo aver compreso che fra loro c’è un traditore, accusandosi l’un l’altro. Il processo sommario che ne segue dentro uno scarno capannone mette a nudo le diverse personalità ed i punti di vista che però non servono a chiarire i fatti ed i ruoli e ad scongiurare la drammatica faida finale. Una sequela adrenalinica di brutalità e cinismo da parte di un gruppo di ‘cani rabbiosi’ accumunati dalla stessa malvagità e dalla medesima (in)cultura della violenza, che nel loro caso diventa normalità e linguaggio.

1994 - ‘Pulp Fiction’ Un capolavoro di disarmante semplicità e di perfetta geometria, mascherata da un apparente disordine narrativo. Una serie di piccole storie le quali, in maniera labirintica e circolare, s’intersecano casualmente fra di loro per tornare infine a convergere sul punto di partenza. Un’opera capitale della cinematografia contemporanea che attraversa un largo spettro di generi: dal comico, al drammatico, al poliziesco, al sociologico ed al metaforico. Una mirabile sintesi del cinema contemporaneo come forma espressiva ed un gioiello che è un punto fermo ed un riferimento per tutto il linguaggio autoriale successivo. Un’opera sempre in bilico fra realtà e paradosso e nella quale serietà ed umorismo si fondono magicamente come se Tarantino fosse riuscito ad inventare un neologismo che ne racchiuda il significato senza che esso appaia minimamente contradditorio.

1997 - ‘Jackie Brown’ Oramai sulla cresta dell’onda, Tarantino vuole dimostrare di essere capace anche di cambiare totalmente stile narrativo rispetto a quello che l’ha reso famoso (dai preziosismi e l’esuberanza delle due opere precedenti ad una narrazione in tempi sequenziali che guarda ai classici del noir prediligendo però i toni medi). Rinunciando in gran parte alle divagazioni ed i funambolismi dialettici delle opere precedenti, egli privilegia un meccanismo ad incastro che trova la sua esaltazione nella ‘stangata’ finale e colpisce in pari misura il rappresentante della legge ed il suo rivale criminale a vantaggio della terza incomoda la quale, da vittima presa in mezzo da entrambi, diventa personaggio vincente. Una prova leggermente inferiore alle precedenti ma comunque maiuscola.

2003-2004 - ‘Kill Bill vol.1 e vol.2’ Divisa in due parti (e se ne annuncia prossimamente una terza) è un’opera nella quale Tarantino dà libero sfogo alla parte infantile della sua personalità e nella quale propone alcuni dei suoi miti giovanili: dai fumetti, ai cartoni mantra, ai film kung-fu. La prima parte è strutturata come fosse un musical sul tema centrale della violenza, caratterizzata dal mixaggio di alcuni generi e toni (drammatico, surreale, cinico, comico, grottesco…) fra di loro generalmente antitetici che invece in questo caso diventano complementari e convergono verso un lirismo di straordinaria eleganza formale al quale contribuisce l’ambientazione e l’estetica tipica orientale. Nella seconda parte prevale invece l’impronta usuale dei film western (fra l’altro si evidenzia ancora una volta, nella scelta delle musiche, la venerazione di Tarantino per Ennio Morricone) con uno sconfinamento nel thriller/horror ed una netta predilezione per l’eccesso, deliberatamente manifesto in alcune scene.

2007 - ‘Grindhouse – A Prova di Morte (Grindhouse - Death Proof)’ Secondo molti il punto più basso della filmografia di Tarantino che non ha soddisfatto l’aspettativa dei suoi ammiratori dopo la lunga attesa prima dell’uscita. Eppure è un’opera che rispecchia perfettamente il suo rapporto con il cinema, cioè quello che di questa forma espressiva lo appassiona di più. Fanatico di sottogeneri ed autori trash, con questo film egli ha voluto rendere un omaggio all’altro cinema, quello emarginato e marchiato con termini dispregiativi come ‘splatter’, ‘slasher’, ‘exploitation’, ecc... Tutte quelle serie le quali sono, per definizione, in antitesi al cinema d’autore classico. Tale è stata l’immedesimazione e l’immersione in questo ‘sottobosco’ di generi da condividerne persino i difetti, sia tecnici (i numerosi ‘fake’ utilizzati appositamente che hanno perplesso gli spettatori ignari) che di contenuti, in effetti inesistenti. La stessa violenza brutale che mette in atto il protagonista Stuntman Mike/Kurt Russell al volante della sua auto-killer e che gli ritorna indietro come un boomerang è così fine a se stessa che si sposa perfettamente ai frequenti dialoghi ‘non sense’ dei due gruppi di ragazze sulle quali Mike si accanisce.

2009 - ‘Bastardi Senza Gloria - (Inglourious Basterds)’ L’ultima fatica in ordine cronologico del geniale e versatile autore americano ripropone in grande spolvero le note salienti del suo stile eclettico e follemente illuminato che gli consente addirittura in questo caso di ridisegnare la fine del nazismo come sarebbe piaciuto a lui che avvenisse. A parte la figura straordinaria e destinata a rimanere per sempre un cult del comandante Landa delle SS: un ritratto di acuta sottigliezza psicologica e mefistofelica perfidia, tornano ad essere splendidamente rappresentate in questo film le contraddizioni dei toni e dei personaggi che avevano trovato il loro ideale in ‘Pulp Fiction’. Similmente a quest’ultimo ‘Inglourious Basterds’ si può considerare come un cubo nel quale al posto dei numeri nei singoli lati si può trovare via via un fumetto per adulti, un personaggio alla Indiana Jones seppure più cattivo e spietato, un apologo sulla guerra e la perversione del nazismo, l’immaginazione, il coraggio e la fantasia di rileggere la storia ed un thriller dalla tensione a volte quasi insostenibile. Il tutto condito dal sale dell’ironia, dal pepe del grottesco e dal peperoncino della caricatura e della provocazione.

Conclusione

Se si volesse infine ed in poche parole riassumere quello che rappresenta Quentin Tarantino per il cinema contemporaneo si potrebbe dire che siamo di fronte ad un autore maturo, preparatissimo sotto tutti i punti di vista, il quale però non ha dimenticato l’entusiasmo del bambino che ha scoperto nel cinema la sua passione di vita. Per quell’autore maturo e quel bambino divertimento, sarcasmo, originalità, dissacrazione ed immaginazione si abbinano idealmente e, se vogliamo, in maniera rassicurante ed inequivocabile, alla parola finzione.

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