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7/10

Mademoiselle C regia di Fabien Constant

Biografico
recensione di Alice Grisa

Documentario su Carine Roitfeld, fashion editor ed ex direttore di Vogue, nel momento di passaggio al "fashion book" semestrale CR.

 

Carine Roitfeld è un impasto pettinato di chic e shock. Ibrido tra “rive gauche” e inserto patinato, insieme ad Anna Wintour è la fashion editor più influente del mondo. Sovrana della tendenza, trendsetter dell’immaginario, iconoclasta per vocazione.

Irriverent è il titolo della sua autobiografia.

È stata per dieci anni direttore di Vogue Paris.

Ha due figli e lo stesso non-marito da 30 anni.

Madeimoiselle C è un documentario di Fabien Constant presentato in Italia in anteprima durante il Pitti e uscito nelle sale il 19 giugno. Racconta l’icona-Carine al lavoro e, al contempo, la sensibilità di una donna nel momento in cui diventa nonna (di Romy, come Romy Schneider). Qualcuno ha letto quest’opera come un ripulitore mediatico della fama del direttore: nel 2011 ha lasciato Vogue, ufficiosamente a causa di un servizio fotografico che ritraeva bambine sexy, succinte, ammiccanti, truccate e con tacco 12.

In realtà, il documentario non tocca il problema direttamente, ma affronta e confronta Carine pubblica e privata provando a delineare un ritratto di signora in fase di passaggio.

Il periodo di riferimento è il momento della gestazione di CR, “fashion book” semestrale che vede la luce nell’autunno 2012 con una tiratura di 50.000 copie, rinascita dell’editor Roitfeld che con un nuovo paio di ali saluta un nuovo inizio: nella doppia copertina metterà una super top model, Kate Upton, circondata da bambini e, dalla parta opposta, una bambina che tiene in braccio un neonato. È una celebrazione del lavoro di fotografi, stylist, volti di professionisti. Le immagini raccontano. Si sfoglia un microcosmo che allestisce vecchi significanti e significati cambiandone il senso o le fattezze.

Il fashion system è molto più che abiti e scarpe, è attivatore culturale secondo la teoria dell’articolazione di Hall (i concetti, le immagini si articolano e disarticolano continuamente aggregandosi in nuovi modelli che vanno a sviluppare le caratteristiche sociali). Miranda Priestly aveva provato a spiegarlo ne Il diavolo veste Prada: “Hai addosso un maglioncino azzurro perché ti prendi troppo sul serio per curarti di cosa ti metti addosso, ma quello che non sai è che il tuo maglione è ceruleo e nel 2002 fu Oscar de la Renta a realizzare una collezione di gonne cerulee. Quell’azzurro rappresenta milioni di dollari e di posti di lavoro”.

Roitfeld è, come Miranda, influencer e artista dell’unconventional. Nel documentario si dà molto spazio al concetto di “porno-chic” che le appartiene: modelle quasi nude in cimiteri, stile Holy Motors ante-litteram, suore fasciate in abiti aderenti, fiabe ricomposte dalle ceneri in versioni chic-horror, con creature postmoderne che vestono Dior e Chanel. Come la riscrittura de La Bella Addormentata, con l’innamorato superfashion con ali da angelo che veglia la fanciulla amata.

L’opera di Constant sottolinea più volte che la Roitfeld si dichiara tanto fuori dagli schemi sul lavoro quanto tranquilla e abitudinaria nella vita privata, come una sorta di angelo-diavolo sul trono glam. Accanto alla fashion editor c’è una mamma e nonna con un passato da modella (fu scoperta a diciotto anni), i ricordi di una famiglia borghese, la nonna russa e il sogno di diventare ballerina.

Poi ci sono le amicizie, i legami del cuore e sul lavoro: modelle, fotografi, Vanessa Paradis, Sarah Jessica Parker, il regista Guadagnino, Kanye West, Donatella Versace, Marina Abramovic, ma più di tutti Karl Lagerfeld, amico e co-autore di veri e propri mondi.

Karl e Carine hanno firmato Little Black Jacket, mostra-evento che scopre e reinventa il mondo della giacca Chanel come simbolo di eleganza eterna e, allo stesso tempo, incredibilmente, di punk-chic, di casual raffinato, di erotismo inaspettato. Gli scatti mettono in evidenza “l’indumento passpartout”, inquadrandolo tanto Champs-Élysées quanto prato di campagna, tanto Oriente quanto Occidente. Era la giacca di Coco Chanel, dopo la mostra diventerà molto di più.

Nella vita Carine è sottile e sobria: porta tre colori: nero beige e grigio, gonne dal taglio classico, scarpe slanciate. Come le creature della Nouvelle Vague, ama mischiare capi da uomo e donna per creare un effetto di gran classe ma completamente personale.

Riprese, tagli, montaggio sullo stile classico di genere girano le pagine di un album che non pretende di restituire una soggettiva immacolata, ma punta a spiegare un punto di vista. Quello di Carine Roitfeld, che è parte di quell’ingranaggio sociale e culturale che contribuisce alla trasformazione dei tempi.

 

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