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7/10

La Gente Che Sta Bene regia di Francesco Patierno

Commedia
recensione di Alice Grisa

Umberto Dorloni, avvocato d'affari, si ritrova tutto ad un tratto colpito dai tagli della crisi. Inizialmente preso dal panico, non vuole accettare la perdita del lavoro e del benessere e quando a una festa incontra il potente collega Patrizio Azzesi, capirà che una grande occasione può portare benefici come grossi rischi.

 

La “gente che spera” degli anni ‘90 e primi 2000 (Quando crollano i tuoi sogni campione/Vai cercando un po'di forza nel cuore/Quando il mondo che volevi migliore/Ti sorrise col suo ghigno peggiore/ noi gente che spera cercando qualcosa di più in fondo alla sera) ha fatto i conti con i sogni che non si sono avverati e con la necessità di anteporre il tornaconto all’ideale.  Andava di moda l’assoluto, il sacro e la fiaba; adesso si preferiscono il sarcasmo e il product placement. Patierno costruisce il suo microcosmo con gocce extradark della Milano secca e fredda della finanza, gente che non è solo banalmente ricca e vuota ma è anche diventata schiava di un senso dell’umorismo agghiacciante e di un relativismo che non vede più l’altro, perché nella giungla dei tagli e dei licenziamenti bisogna solo pensare a sopravvivere.

Il cinema della crisi è diventato ormai un sottogenere della dramedy italiana, al punto tale da esasperare con la rappresentazione le incertezze di una società in declino e (quasi?) senza speranze. La “gente che spera” è diventata “gente che annaspa” per non affogare, svelando in questo modo tutti i propri egoismi. Del resto, è sotto conflitto che un personaggio (o una persona) si mostra esattamente per ciò che è.

Umberto Dorloni, avvocato rampante, cinico e dallo humor gretto rappresenta il negativo del milanese-tipo e il brutto del made in Italy : un po’ Sordi, un po’ Tognazzi, un po’ chiunque là fuori, sui tram o sui taxi, Bisio dà vita a un idiota per cui non si riesce a provare solo odio, solo tenerezza o solo compassione e da cui non si può completamente dissociarsi perché, per quanto poco nobile, ha caratteristiche familiari a tutti. L’ “arte di arrangiarsi” si declina nelle azioni di Dorloni in colpi più o meno bassi al prossimo, in un divertimento strillato e cercato, in una rete di compiacimenti e ipocrisie dove di puro sembra non essere rimasto più niente, neppure il disegno di un bambino.

Meno idiota ma ancora più sgradevole è Patrizio Azzesi, deus ex machina con le corna (da diavolo e non solo), un Abatantuono dosato nella perfidia e sbrigativamente italiano nel suo gioco di gatto col topo tra Milano e Berlino.

Regnano situazioni e battute dove, scrostando la patina brillante rimane un boccone amaro (“Il Conte di Montecristo oggi sarebbe il Presidente di Unicredit”). Come nella centrale di polizia di Carlo Buccirosso, destabilizzante come le unghie sulla lavagna. Come alla festa di Abatantuono in cui ognuno assume l’identità di un cartone animato o di un fumetto, maschere più ridicole che divertenti della Milano che sta bene.

Una in nero e l’altra in rosso nella locandina, Carla-Margherita Buy e Morgana-Jennipher Rodriguez sono la breccia nell’anima nera degli uomini: intimista e sensibile la Buy, dolce e fragile la Rodriguez, costituiscono la nicchia di “possibile futuro migliore” in una società che sembra sul viale del tramonto morale.

In ogni caso, nonostante la pubblicità anti-buonismo, il protagonista non può esimersi dal compiere il percorso di redenzione, completamente italiano, che lo porta a ribaltare la situazione e, soprattutto, a ribaltarsi riabilitandosi come uomo. Patierno non compie una rivoluzione ma sa dosare i tempi comici e grazie al ritmo serrato e ai bravi interpreti, confeziona un film piacevole da guardare.

Il cinema italiano è ormai un quasi totale binomio tra humor e inaspettata salvezza: sarebbe bello se nella vita reale ogni tanto prevalesse la salvezza (e l’inaspettato), o se si riuscisse a compiere la difficile catarsi di Dorloni accettando le conseguenze senza frustrazioni e rimpianti.

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