A Luis Bunuel - Monografia

Luis Bunuel - Monografia

Il lavoro è una maledizione, Saturno, abbasso il lavoro che si è costretti a fare per guadagnarsi la vita. Quel lavoro non ti nobilita, come dicono alcuni. Serve soltanto a riempire la pancia degli sporchi sfruttatori. Solamente quello che si fa per il proprio piacere riabilita l'uomo. Magari tutti potessero lavorare in questo modo. Prendi me, io non lavorerei neanche morto e come vedi vivo male ma vivo senza lavorare.

(L- Buñuel – Tristana)

Luis Buñuel è stato senza dubbio uno dei registi più dissacranti della storia del cinema. Le sue opere hanno offerto vari estratti della società del ventesimo secolo , con rappresentazioni perentorie delle diverse classi sociali sudamericane ed europee unite a un raffinato simbolismo e a una brillate ironia che hanno reso il suo stile unico: Nella sua lunga carriera ha affrontato vari temi passando da opere surreali ad altre più classiche ed inserendo sempre elementi simbolici e citazioni che fanno si che i suoi film si prestino a molteplici interpretazioni.

Per meglio descrivere il potere del suo tempo ne L’angelo sterminatore (1962) e ne Il fascino discreto della borghesia (1972) Buñuel sceglie un classico rito della società borghese, ovvero l’invito a cena, che permette di rappresentare al meglio i vizi e le meschinità dei rappresentanti di questa classe sociale. Ma se per Ferreri il pasto era il modo più degno per staccarsi dalla società, come descritto ne La grande abbuffata per Buñuel questo momento concentra tutti gli archetipi attraverso cui la borghesia si mantiene in vita. Egli inserisce inoltre alcuni elementi surreali che rendono inconfondibili le sue opere come per esempio il momento in cui ne L’angelo sterminatore gli ospiti non riescono a uscire dalla sala dove si erano riuniti a banchettare dopo una serata a teatro. Il finale di quest’ opera si fa portatore del messaggio che vuole dare l’autore, con il parallelismo tra i borghesi chiusi nell’abitazione e i fedeli arroccati all’interno della chiesa, perfettamente simboleggiati dalle pecore che entrano in entrambi i luoghi, con la descrizione della polizia che in uno spazio aperto attacca i manifestanti che sono la degna rappresentazione della libertà repressa nel finale del film. Su questo tema è molto particolare anche Il fantasma della libertà (1974), in cui la condanna a morte del cecchino che spara sulla folla dal grattacielo consiste nel venire liberato, come se la cosa peggiore che ci possa essere sia vivere in questa società. Quest’ opera si caratterizza per uno stile narrativo unico, come se si trattasse di un viaggio in cui i vari personaggi incontrati diventano per breve tempo protagonisti di situazioni inverosimili in cui i ruoli si ribaltano come se fosse un viaggio di Alice nel paese delle meraviglie nella società moderna. Quest’ opera è un gioco filosofico in cui Buñuel prende goliardicamente in giro l’idea di ricercare un senso o una giustizia nelle cose che ci accadono. Con estremo surrealismo egli ci dimostra come tutto può essere trasformato e ribaltato in un continuo alternarsi di personaggi che compaiono e dopo un attimo spariscono. Curiosamente anche questo film come L’ angelo sterminatore si conclude con gli spari della polizia in sottofondo con in primo piano delle inquadrature di diversi animali.

Anche Il fascino discreto della borghesia, vincitore del premio Oscar come miglior film straniero nel 1972, parte da un paradosso culinario con le due famiglie altolocate, i Thèvenot e i Sénéchal, che continuano a scambiarsi inviti per un pranzo senza mai mangiare insieme a causa di diverse interruzioni dovute a situazioni più disparate come un funerale nel retro di un locale, l’arrivo di un gruppo di soldati che simulano una missione di guerra all’interno del loro giardino, con un soldato che racconta un sogno che mette in mostra il vortice dei traumi inconsci di un qualsiasi essere umano. Ciò che più lascia basito lo spettatore è il fatto che di fronte alle situazioni più assurde i protagonisti rimangano ancorati ad apparenze e ad abitudini che non vengono mai stravolte; allo stesso modo i dialoghi sono basati sul nulla, come se tutto scivolasse in uno strato di indifferenza a rappresentare ironicamente una classe sociale che non ha nulla se non il proprio potere, e la dimostrazione più evidente è la facilità con cui le due donne continuano a conversare amabilmente dopo che il ragazzo vicino a loro aveva confessato di aver ucciso il proprio padre. L’indifferenza dei borghesi chiusi nel loro microcosmo e totalmente disinteressati a ciò che li circonda è presente anche in Quell’ oscuro oggetto del desiderio (1977) in cui il protagonista è totalmente concentrato su Conchita da non dare la minima importanza agli attentati che si susseguono davanti ai suoi occhi. Non è un caso che quest’ opera si concluda con una fortissima esplosione, che rimanda a Zabriskie point di Michelangelo Antonioni e che mostra il desiderio rivoluzionario di spazzare via l’intera classe con annesso tutto il potere che ha in mano.

Il fascino discreto della borghesia racchiude gli elementi classici di tutto il cinema di Buñuel; particolarmente rappresentativa è la scena in cui i protagonisti camminano spediti verso una meta che non c’è, con il solo vento come colonna sonora. In questa rappresentazione come in tutta l’opera ci sono sia alcuni elementi surreali, che rimandano alla collaborazione con Salvador Dalì per i primi due film Un chien andalou (1929) e L’age d’or (1930), ed altri profondamente satirici che sollevano alla base un interrogativo assai inquietante su quale sia l’essenza del genere umano dietro la ritualità di tutti i giorni; per il cineasta nato a Calanda i più degni rappresentanti del degrado sono la Chiesa, lo stato e le forze dell’ordine che sono considerate vere e proprie essenze conservatrici ma non viene risparmiato nemmeno il popolo che viene spesso descritto privo di scrupoli dietro alla propria appartenenza di classe.

Buñuel ha infatti più volte mostrato i ceti meno agiati in modo tutt’altro che idilliaco: in Viridiana (1961), per esempio, i poveri entrano nella tenuta di Don Jaime approfittando di un momento di assenza dei padroni e si danno a un’orgia edonistica rappresentata con una composizione simile a L’ultima cena di Leonardo prima di tentare di violentare Viridiana nonostante ella si fosse prodigata per loro. L’idealizzazione di questo gruppo sociale, che nel film viene rappresentato con caratteristiche quasi animali, era stata la grande illusione della protagonista che si dovrà invece rassegnare alla sconfitta della propria utopia. Viridiana è il crollo dell’ideale di bontà di fronte alla realtà dei fatti; è la morte di Gesù Cristo, di Marx e di Rousseau e dovrà tristemente rassegnarsi a un’esistenza grigia alle dipendenze del viscido cugino Jorge. Il suo personaggio ricorda quello di Nazarin, protagonista dell’omonima opera: entrambi si fanno portatori di un cristianesimo molto vicino all’autenticità di Gesù Cristo che però non trova applicazione nella società in cui vivono; entrambi infatti vengono ostacolati ed osteggiati dai rappresentanti del potere ecclesiastico e statale e dallo stesso popolo che si dimostra estremamente ancorato ai dogmi tradizionali e alle proprie convinzioni conformiste senza rendersi conto che così facendo si rende estremamente controllabile da parte di chi detiene il potere. In Nazarin (1958) vi sono alcune scene rappresentative del rifiuto dei paesani di accettare un messaggio tanto puro e disinteressato, come l’ingiustificata violenza e le accuse gratuite fatte dai banditi al prete al momento della cattura e le insinuazioni fatte nei confronti delle sue discepole. La personificazione del popolano conformista e in balia della propria ignoranza è senza dubbio il protagonista di El bruto (1954) un essere che si autodefinisce “di pensiero lento” che facendo leva esclusivamente sulla sua forza quasi bestiale si trova in una serie di situazione che lo porteranno alla morte dopo essere stato utilizzato per realizzare gli interessi del padrone e delle diverse donne che incontra. Anche ne Le rive della morte (1954) è identificativo lo sguardo del protagonista che mostra in modo chiarissimo quanto spesso le consuetudini del popolo siano ingiustificate e ritualizzate osservando la situazione sulla base della sua profonda convinzione del fatto che solo la cultura può portare un reale progresso nell’ umanità.

La visione di Buñuel delle classi meno agiate è generalmente molto pessimistica poiché il conformismo e la violenza che essi attuano è spesso funzionale a una logica di mantenimento del potere anche perché paradossalmente spesso non si dimostrano in grado di comprendere modelli alternativi come quelli di Nazarin, Don Pepe in El (1952) e Viridiana, che sono destinati a venire sopraffatti dalla violenta disapprovazione di chi condivide la loro stessa condizione. Il popolo sembra quindi condannato a restare in un universo stretto e oscuro fatto di risse e scontri fratricidi come viene mostrato chiaramente in Le rive della morte. L’eterno divenire del popolo è tristemente simile a quello dei capponi dei Promessi sposi, destinati a scontrarsi inutilmente e morire eternamente sottomessi.

Emblematica da questo punto di vista è l’opera I figli della violenza (1950), un film apparentemente neorealista ambientato a Città del Messico. Quest’opera, così come i successivi Nazarin ed El bruto, si caratterizza per i luoghi lugubri in cui sono costretti a vivere gli abitanti e dal fatto che siano descritti personaggi senza alcuna speranza di salvezza, come l’ eccessivo Jaibo, l’ innocente Ojitos e Pedro, colui il quale cerca più di tutti la propria salvezza ma che allo stesso tempo appare come più ancorato ai valori propri del mondo in cui è cresciuto e che gli impediscono di staccarsi da quella che è la sua realtà. Anche in questo film non c’è redenzione e speranza per il popolo ma solo un po’ di umanità sotterrata sotto esistenze di traumi e di stenti, come ci mostra la disperata ricerca del figlio Pedro da parte della madre, il personaggio più odioso per gran parte dell’opera ma allo stesso tempo più indifeso di fronte alla vita. Buñuel utilizza uno stile descrittivo particolare in cui si inserisce il neorealismo con riferimenti ai grandi classici di questo genere come la scena dell’aggressione al signore paralizzato e al cieco o l’uccisione di Julian da parte di Jaibo ma sono presenti anche rimandi al surrealismo come l’uovo lanciato contro la telecamera, unite a un marcato simbolismo che sarà sempre presente nelle opere future del regista messicano. Significativi da questo punto di vista il rapporto di Pedro con le galline (accarezzate e protette quando si trovava in casa, uccise malamente nell’ esplosione di rabbia al riformatorio), lo psicanalitico menage a trois tra Pedro, Jaibo e la madre, alcuni paradossi come il fatto che Jaibo arrivi accolto da eroe nonostante poi in tutto il film si comporterà da codardo, aggredendo le sue vittime da dietro o prendendosela con handicappati e che il corpo di Pedro sia buttato nella spazzatura a simboleggiare il poco valore delle vite di questi personaggi. Buñuel a un certo punto della sua opera sembra entrare direttamente nella narrazione nell’affermazione del direttore del riformatorio che con rassegnato realismo afferma che “non andrebbero puniti loro ma la miseria”. In questa frase si può riassumere la visione delle classi meno agiate del cineasta di origine messicane che verrà confermata nelle opere successive a questa. Proprio la miseria è stata il tema centrale del suo unico documentario, Terra senza pane (1933), ambientato nel villaggio spagnolo di Las Hurdes. Pur volendo mostrare in modo autentico le condizioni disagiate della zona il regista mostra anche in quest’opera un certo lirismo con la contrapposizione tra le immagini della popolazione, la musica di Bach e la fredda voce narrante (introdotta solo in seguito, in una seconda versione del documentario).

Il cienasta nato a Calanda ha ambientato diverse sue opere su un’isola in cui i diversi protagonisti hanno occasione di esprimere sé stessi con un’ autenticità che sembra riportare allo stato di natura: ne La selva dei dannati (1956) cinque personaggi estremamente diversi tra loro si ritrovano a dover scappare dopo una rivolta dei cercatori di diamanti sedata con molto sangue dalle forze dell’ ordine e a dover sopravvivere con quanto viene loro offerto dalla natura: particolare tra tutti il destino di Castin che impazzirà uccidendo alcuni compagni di viaggio dopo aver abbandonato il sogno di rivedere la Francia; anche L’ isola che scotta (1959), considerato dallo stesso Buñuel il suo peggior film, ha come tema centrale l’insurrezione verso un potere autoritario ma, nonostante la buona riuscita e l’arresto con successivo suicidio del dittatore Gual, il liberale Ramon Vazquez verrà allo stesso modo sconfitto dai rimorsi della sua coscienza e dai fantasmi di un passato che non può controllare. Pur in contesti completamente diversi il liberale Ramon Vazquez (interpretato da Gèrard Philippe) ricorda molto Pedro de I figli della violenza per la difficoltà a staccarsi dal luogo in cui è nato e destinato a morire e non a caso i due personaggi condivideranno lo stesso destino. Caso a parte invece Violenza per una giovane (1960) opera sul concetto di bene e di male che si propone di superare una serie di tabù in tema di razzismo; spiccano in particolare il musicista di colore Travis, accusato di aver violentato una donna e la piccola Ewie, chiara rappresentazione di giovane ninfetta dalla profonda consapevolezza erotica. Bunuel sembra dirci che certi temi etici così importanti e complessi possono essere trattati solo su un’isola lontano dal mondo, in cui si può andare oltre il concetto di bene e di male ed affrontare ogni tema per quello che è. Anche nella rappresentazione cinematografica di Le avventure di Robinson Crusoe (1952) l’incontro tra il protagonista e Venerdì sembra una parentesi in un mondo immaginario in cui vengono racchiusi tutti gli elementi caratteristici del suo cinema con una miriade di simbolismi che si prestano a molteplici interpretazioni; allo stesso modo anche L’illusione viaggia in tranvai (1954) presenta una serie di elementi cari a Buñuel come i diversi crocifissi e le teste di bue che rimandano al periodo surrealista. Quest’ opera è la più nostalgica e sotto certi aspetti felliniana del cineasta messicano con il racconto della storia di due tranvieri che decidono di ripercorrere per l’ultima volta il tram 133 non accettandone la demolizione. In Cime tempestose (1953) sono presenti altri tratti che caratterizzano il regista messicano come la musica classica, l’uccisione da parte di un personaggio in un momento di delirio e la rappresentazione di scene particolarmente cruenti con al centro animali o insetti come il momento in cui la farfalla viene trapassata con uno spillo.

Oltre alle opere appena citate vi sono diversi altri film di Buñuel che si rifanno a soggetti letterari. Tra i tanti vanno ricordate Diario di una cameriera (1964) che prende spunto da un romanzo di Octave Mirbau e del quale era già stata fatta una versione cinematografica da parte di Jean Renoir nel 1946 e il dramma latino Una donna senza amore (1952) ispirato alla novella di Guy de Maupassant Pierre et Jean. Una citazione artistica evidente è inoltre presente ne Il fantasma della libertà che inizia con la rappresentazione del quadro Los fucilamentos di Francisco Goya

La figura femminile ha un ruolo rilevante in molte opere del regista messicano come nel caso di Diario di una cameriera in cui la protagonista interpretata da Jeanne Moureau dopo aver lottato inutilmente per ottenere giustizia per la piccola orfana Claire, la quale è stata uccisa barbaramente dal volgare Joseph dopo una violenza sessuale, assiste impotente nel finale del lungometraggio alla triste visione dell’assassino che, scagionato dalla giustizia, plaude ad una manifestazione antisemita. Proprio la scelta di dipingere Joseph come attivista di estrema destra, ma allo stesso tempo legato ai solidi valori della patria e della religione, è estremamente significativa perché vuole testimoniare come le ingiustizie che caratterizzano le grandi dittature antisemite abbiano la base del loro consenso nel microcosmo, dove si ripropongono nella loro essenza e i più deboli sono i primi a vedere delegittimate le loro idee. Risulta inoltre chiara la visione di Buñuel sul fatto che un qualsiasi potere, anche il più sanguinario, trova la sua giustificazione nel tacito assenso di stato e Chiesa; il temporale finale non è altro che un simbolo di brutti presagi per il futuro. Adolescenza torbida (1950), una delle opere del periodo messicano, analizza il conformismo di una famiglia molto legata alle tradizioni conservatrici religiose, ma allo stesso tempo estremamente ipocrita. Elemento di rottura nell’ opera è Susanna, giovane scappata dal riformatorio e capace di far perdere la testa a tutti gli uomini della tenuta di Don Guadalupe. La ragazza è una figura troppo complicata, nonostante la giovane età, a metà tra una benefattrice che “riporta l’amore nel paese” e un diavolo tentatore. La famiglia prima di arrivare al punto di non ritorno deciderà di considerare la ragazza perduta dando un colpo di spugna a tutte le ipocrisie sulla base dei buoni principi cristiani. È curiosamente complementare a quest’ opera Gli amanti di domani (1955), ambientata in Francia dopo quattordici film messicani, in cui un medico idealista decide di nascondere a casa sua un amico operaio che aveva ucciso il padrone e di lasciare la ricca moglie con cui stava, per iniziare una relazione con una giovane vedova. Le opere hanno in comune il fatto che entrambe le famiglie nascondono in casa più o meno consapevolmente una persona che ha fatto un crimine ma se in Adolescenza torbida l’ordine familiare viene privilegiato a discapito delle passioni, nel film antiborghese di metà anni cinquanta si descrive invece la voglia di sperimentarsi in qualcosa di diverso sulla base di ciò che viene considerato giusto.

Buñuel ha inoltre descritto in modo efficace altri personaggi femminili; Gloria in El e Tristana nell’omonimo film condividono una vicenda molto simile: entrambe sono due donne angelo che, così come la sfortunata Viridiana, incontrano un parente o un amante estremamente possessivo e perverso. I diversi personaggi si differenziano tra loro nel modo in cui affrontano la situazione perché se Viridiana è costretta ad ammettere la propria sconfitta e ad affidarsi malinconicamente al proprio cugino, Gloria per molto tempo rimane segregata nel proprio matrimonio con il feticista Francisco, dal quale non riesce ad uscire in un ambiguo scontro tra ribrezzo ed attrazione come se fosse afflitta da una perenne sindrome di Stoccolma. Anche dopo il ricovero in manicomio dell’ ex marito e il matrimonio con l’impeccabile e passivo Raul, Gloria non potrà fare a meno di chiamare il proprio figlio Francisco come se rimanesse per sempre ancorata a questo rapporto. In Tristana (1970) invece c’è una netta evoluzione del personaggio femminile che passa dalla relazione di sottomissione nei confronti dell’ anziano tutore (che si definisce come “un marito o un padre a seconda delle circostanze”) all’esserne la carnefice. Se per Gloria il matrimonio con Raul è da considerarsi emotivamente insignificante, il rapporto di Tristana con Horacio, l’artista interpretato da Franco Nero, è l’unico aspetto vitale della sua esistenza; non a caso nel momento in cui sopraggiunge la malattia e la menomazione fisica il personaggio interpretato da Catherine Deneuve decide di abbandonare ciò che per lei era realmente significativo per uccidere chi aveva cercato di rovinarle la vita in un ribaltamento caratteriale e dei ruoli che rendono il suo personaggio un emblema di perfidia e, allo stesso tempo, di riscatto.

Sempre nella descrizione dei personaggi femminili merita un capitolo a parte Bella di giorno (1967), anch’esso con Catherine Deneuve come protagonista. Questo è uno dei film più classici e lineari del regista messicano, ma allo stesso tempo si presta a una miriadi di interpretazioni e di simbolismi, in cui gli incubi della protagonista trovano una loro realizzazione nel resto della crescita. Indubbiamente il paradosso di Buñuel di mostrare la prostituzione come mezzo per arrivare a una risoluzione dei propri traumi interni è decisamente fuori dagli schemi per i tempi in cui uscì. Bella di giorno non può però considerarsi un film sui significati psicanalitici dell’adulterio ma piuttosto un’opera di crescita, come si può notare nella rappresentazione della protagonista che passa dall’essere una sorta di bambola frigida e schiava del proprio marito paternalista a donna capace di prendersi la situazione sulle spalle. L’opera non è certo un inno alla doppia vita o al libertinaggio, e il finale tragico può essere letto come una metafora di come immagine sociali e pulsioni non possano convivere. Indubbiamente però il regista messicano attua una riflessione profonda sull’inconscio, con il personaggio di Michel Piccoli magistrale nella sua arte maieutica perversa e disillusa. L’inquadratura finale sul carro, che si era presentato come l’inizio delle visioni persecutorie di Bella di giorno, ci fa vedere come non si possa uscire dai propri demoni ma si possa comunque affrontarli senza paura in un profondo viaggio dentro sé stessi. L’ ultima donna mostrata da Bunuel è la beffarda Conchita di Quell’oscuro oggetto del desiderio, che ha la particolarità di essere portata in scena da due diverse attrici contemporaneamente (Angela Molina e Carole Bouquet). La protagonista dell’opera è tra tutte le donne la più rivoluzionaria, perché con le sue contraddizioni e con la sua crudele scorrettezza è in grado di tenere in un palmo di mano un degno rappresentante della borghesia. Paradossalmente e ironicamente, se gli attentati non riescono a sovvertire l’ordine sociale, solo l’oggetto del desiderio per eccellenza è in grado di sconfiggere la borghesia e di fare in modo che si mostri in tutti i suoi difetti. Conchita è la risposta alle azioni del proprietario terriero in El bruto o alla ferma volontà del cugino di Viridiana e per il regista l’unico modo che hanno le classi sottomesse per ribellarsi è agire peggio di chi li comanda. È quindi inevitabile che il mondo non può far altro che esplodere come effettivamente accade nel finale del suo ultimo film.

Se i personaggi femminili sono per lo più soggetti complicati, con una psiche difficile da comprendere non si può dire lo stesso per quelli maschili protagonisti delle sue opere, che spesso hanno caratteristiche ben definite che li identificano chiaramente; essi hanno una serie di perversioni che li caratterizzano e che mascherano dietro ai modi garbati propri del loro ceto sociale, come il feticismo per il quarantenne Francisco in El , per il represso signor Monteil ne Il diario di una cameriera e per lo sventurato Archibaldo de La Cruz in Estasi di un delitto (1955): l’ opera è un magnifico artificio surreale dell’incompiutezza del borghese che non riesce ad uccidere le vittime che vorrebbe, rimanendo “in divenire” anche in questo. Sotto certi aspetti Estasi di un delitto è la dimostrazione a livello individuale della staticità e delle contraddizioni della borghesia del tempo che verranno poi messe in mostra in modo ancor più netto ne L’ angelo sterminatore e ne Il fascino discreto della borghesia.

I personaggi maschili che spiccano nell’accurata descrizione antropologica di Buñuel sono senza dubbio Francisco in El e Don Lope in Tristana: Francisco è imponente nella sua maestosa figura di quarantenne devoto a Dio e ai dogmi dell’epoca, la sua autorevolezza abbinata alla capacità di persuasione ha effetto anche sulla madre della compagna, che non esiterà a prendere le sue parti nei confronti della figlia. Ma questo è il Francisco pubblico.. quello privato è un vero e proprio Dottor Jekil/Mr. Hyde, funestato dalle proprie insicurezze che lo portano a segregare in casa la moglie Gloria. Il crollo avverrà nel modo più imprevisto, con una serie di visioni persecutorie durante una messa rappresentate da Buñuel con un geniale artificio. Il rapporto con la Chiesa è la sintesi della parabola di Don Lope in Tristana: egli, convinto anticlericale, si ritrova nel finale del film a fare merenda con due preti che lo compatiscono, prima di subire in punto di morte la vendetta della bella Tristana. Don Lope oltre ai caratteri tipici del borghese di Buñuel è la più chiara immagine del decadimento di un uomo. La vita dei due protagonisti è un tremendo incrocio di una parabola vitale, come capita nel rapporto tra genitori e figli. Il fatto che egli non riesca ad accettare il proprio invecchiamento lo mette in ridicolo agli occhi del mondo e tremendamente debole di fronte al mutato carattere della donna un tempo amata e comandata. Questo personaggio ne ricorda altri due interpretati da Fernando Rey ovvero l’anziano zio in Viridiana e il protagonista di Quell’ oscuro oggetto del desiderio. Entrambi viscidi e desiderosi di una donna più giovane entrambi morti con le proprie perversioni e le loro inconsapevoli debolezze.

Un legame a doppio filo presente in quasi tutte le opere del cineasta spagnolo è quello tra clero e borghesia: sia ne L’angelo sterminatore che ne Il fascino discreto della borghesia sono spesso unificati negli assurdi raduni, ma anche in altre opere sono descritti come emblema di incoerenza tra pensiero e azione e caratterizzati da una fortissima rigidità di pensiero come padre Lizzardi ne La selva dei dannati, che per gran parte del film sembra l’unico personaggio puro fino a quando si intasca buona parte dei tesori dell’aereo precipitato per devolverli al suo convento senza dir nulla agli altri naufraghi. Decisamente beffarda la rappresentazione dei preti ne Il fantasma della libertà in cui giocano d’azzardo, bevono e fumano prima di scandalizzarsi per la scena di sadomasochismo alla quale assistono. Buñuel è decisamente scettico per quel che riguarda l’esistenza di un messaggio puro e autentico in ambito religioso e si diverte in quasi tutte le sue opere a svelare contraddizioni e perversioni degli appartenenti al clero. Vi è in lui la profonda convinzione dell’impossibilità di farsi portatore del messaggio di Cristo senza essere o incoerenti o senza venire ripudiati dalla società. Nazarin e l’incompiuto Intolleranza: Simon del deserto (1965) hanno come protagonisti due personaggi che si avvicinano al divino nel loro modo di rapportarsi al mondo e nell’ascetismo che dimostrano nei comportamenti. Nazarin, come si è già detto, vede rivoltarsi contro le proprie idee e anche Simon (probabilmente uno dei personaggi del regista messicano più caratterizzati assieme a Marcel di Bella di giorno) dopo aver incontrato Satana in tutte le sfaccettature sul suo calvario in mezzo al deserto si trova ad affrontare la prova più dura e grottesca in un locale in della New York degli anni ’60, come se la modernità fosse l’ultima e più efficace tentazione alla quale è costretto a cedere. È chiaro che per Buñuel nemmeno Gesù Cristo può salvare il mondo nell’epoca in cui viviamo, e si mostra chiaramente come nelle due opere il dialogo tra Nazarin e Simon e la gente che li circonda sia basato su due linguaggi diversi, con il popolo estremamente ancorato nella propria ideologia di bene e di male e i due santoni troppo orgogliosi della propria purezza. Il rammarico è il fatto che Intolleranza: Simon del deserto sia rimasto incompiuto a causa di contrasti con il produttore Gustavo Alatriste; gli altri registi a cui venne proposto (tra cui Truffaut, Rocha, Bellocchio e Kubrick) rifiutarono più che legittimamente ma sarebbe stato comunque interessante la descrizione di Buñuel di un Cristo personificato in asceta dopo un viaggio della modernità.

E però evidente come il cineasta di origine messicane sia attratto dalla religiosità e da tutte le sue sfaccettature come ci dimostra il simbolico La via lattea (1968), opera a sé stante in tutta la sua lunga carriera. Il titolo si rifà al fatto che in molte lingue occidentali questo fosse il modo con cui veniva indicata la Via di san Giacomo, che corrisponde al pellegrinaggio alla volta di Santiago. A compiere questo percorso sono due vagabondi, Jean e Pierre, uno ateo e l’altro credente (il nome si rifà probabilmente ai due apostoli Giovanni e Pietro) ed è una sorta di viaggio in tutte le eresie cristiane. Il primo incontro, con un ignoto signore, è assai importante per provare a comprendere il significato dell’opera: il passante profetizza loro che una volta che giungeranno a destinazione faranno due figli con due prostitute che verranno chiamati “Tu non sei il mio popolo” e “Non sei più misericordia”. Facile leggere dietro questo episodio una metafora della Chiesa che si è prostituita verso il potere rinnegando Dio. La critica velata è presente in diverse scene dell’opera come quella del giovane monaco che si chiede se sia giusto che la Chiesa mantenga l’ordine pubblico utilizzando la giustizia degli uomini proclamata come volontà di Dio o nella disputa tra molinisti e giansenisti sul libero arbitrio che si trasforma in un assurdo duello che si conclude senza vincitori né vinti con i contendenti a scambiarsi reciproci complimenti a testimonianza della supremazia del mantenimento dell’ordine sulle legittime questioni di principio. Indubbiamente il potere della Chiesa si manifesta in modo rigido e austero, come ci mostra la famigerata scena degli anatemi a Bordeaux e si esercita con modalità talvolta violente; non a caso Gesù nella scena finale nel bosco dirà, citando il vangelo di Matteo, di non essere venuto a portare pace sulla terra ma spada. Questo passo è indicato come una delle frasi che testimoniano la forza e la bontà di Gesù nel portare avanti la parola di Dio; reinterpretato da Bunuel nell’ ottica di un’opera sull’ eresia assume tutto un altro significato, a testimonianza del fatto che la storia della Chiesa ha visto una serie di interpretazione delle Sacre Scritture ma che l’autorità della Chiesa è dovuta semplicemente al fatto che questa si sia posta in posizione dominante. Da questo punto di vista è molto significativo l’episodio del prete giudicato pazzo e portato in manicomio con l’ambulanza: egli appare inizialmente estremamente ortodosso quando afferma che dietro l’eucarestia c’è davvero il corpo di Cristo (senza considerare questo un simbolo) ma ciò che è più significativa è la sua presa di posizione che si rifà a quella degli eretici medievali in cui sostiene le tre principali religioni erano in realtà tutte e tre cattoliche e che la Chiesa di Roma, proclamandosi come unica, diventava paradossalmente a sua volta eretica. È chiara in tutta l’opera la presa di posizione verso la legittimità di un potere basato su quello che potrebbe essere un grosso inganno, come metaforicamente viene mostrato dal fatto che il corpo che giace al culmine del pellegrinaggio di molti fedeli non è quello di San Giacomo ma bensì di Priscillano, eretico fatto giustiziare in epoca romana.

La via lattea è senza dubbio l’opera più colta di Bunuel e allo stesso tempo di più difficile interpretazione vista la molteplicità di significati che si possono attribuire ai personaggi e alle diverse figure incontrate. Il regista in ogni caso basa tutto il suo parallelismo su citazioni bibliche e su un accurato studio delle diverse eresie. Non mancano però scene tipiche del suo cinema, come il dibattito sulla verginità di Maria, il dialogo tra De Sade e la cameriera e la visione di uno dei due pellegrini durante la scena degli anatemi che si immagina l’uccisione del papa davanti a un plotone di esecuzione.

Il più grande merito di Luis Bunuel è quello di non rimanere etichettato su un unico genere ma di evolversi nel corso della sua carriera quasi quarantennale realizzando opere estremamente variegate. Nella sua carriera ha realizzato opere a basso costo e grandi produzioni, dirigendo sia attori del calibro di Michel Piccoli, Catherine Deneuve, Fernando Rey e Jeanne Moureau che interpreti semi professionisti ed assolutamente sconosciuti. Oltre al già citato premio Oscar per il miglior film straniero per Il fascino discreto della borghesia nel 1972, ha vinto a Cannes la Palma d’ Oro con Viridiana nel 1961 e il Premio per la miglior regia nel 1951 per I figli della violenza. A Venezia Bunuel ha conquistato il Leone d’ oro nel 1967 per Bella di giorno e il Leone d’ argento nel 1964 con Intolleranza: Simon del deserto oltre al Leone d’oro alla carriera nel 1982, un anno prima del decesso.

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